Ritengo che il meglio della musica si trovi in teatri dall’ottima resa acustica, in circoli anonimi di periferia e talvolta in festival e arene dalla logistica infelice. O ancora il bello della musica lo si può trovare anche nella solitudine delle cuffiette dell’iphone, diffuso dalle casse di un auto o tra i solchi di un vinile. Manifestazioni come i Grammy Awards raramente catturano il mio interesse e difficilmente i vincitori riflettono i miei gusti musicali.  Gli artisti in nomination dei Grammy Awards spesso costituiscono il meglio della musica commerciale che mette in mostra e celebra soprattutto la bravura delle case discografiche a produrre degli artisti di successo in termini di vendite. 



Ad ogni modo volente o nolente ogni anno scopro dell’esistenza delle nomination e degli Award per poi dimenticarmene puntualmente. Quest’anno però sono state due le notizie relative ai Grammy ad aver catalizzato la mia attenzione. Anzitutto il fatto che sia stato coinvolto (o scomodato) il nome di Bob Dylan, e per me questo basta e avanza per riconsiderare e rivalutare l’intera edizione. Dylan è stato incluso in due “prestigiose” e improbabili categorie quali Best Traditional Pop Vocal Album con “Shadows in the night” e Best Historical Album in cui è candidato “The Basement Tapes Complete: The Bootleg Series vol. 11” (avrebbe meritato ampiamente l’inclusione anche The Cutting Edge 1965-1966 ma sono ammessi solo gli album usciti prima del 30 settembre). 



A me pare evidente che la giuria si sia distratta un po’ nel corso degli anni… Per quanto sia stato incluso innumerevoli volte nelle più disparate nomination, Bob Dylan ha vinto come miglior album dell’anno solo una volta e solo nel 1998 con Time Out of Mind.  Dylan in realtà non è nuovo al palco dei Grammy e sembra comunque non disdegnare affatto la manifestazione visto che si è esibito ben sette volte dal vivo, la prima nel 1980 e la più recente nel 2011 dove ha lasciato il segno con una esibizione memorabile in compagnia dei Mumford & Sons e degli Avett Bros. Andando a curiosare e a scorrere i vari premi, in realtà gli esperti della Recording Academy di statuette con il grammofono ne hanno da assegnare un po’ per tutti… le categorie sono ben 83, si va dal Best New Age Album al Best Latin Jazz Album, dal Best Children’s album al Best Regional Mexican Music Album… insomma l’impresa della Giuria non è solo di individuare il vincitore ma piuttosto di trovare e di includere gli artisti nella giusta categoria. 



Il secondo motivo che mi ha spinto a volerne sapere di più dei Grammy è che in una delle categorie più importanti, ovvero in quella dell’Album of the Year, ho apprezzato l’inclusione di un musicista che pensavo sconosciuto alle masse (ma sono convinto che lo sia ancora adesso). Tra gli aspiranti vincitori sono ricompresi oltre al rapper Kendrick Lamar, Taylor Swift e il suo 1989 (di cui conoscevo l’esistenza solo grazie alla rivisitazione dell’album da parte di Ryan Adams), gli Alabama Shakes tanto apprezzati anche dal mondo della musica rock e i The Weeknd di cui ho dovuto controllare più volte l’esatto spelling del nome prima di scriverlo. 

A questo punto mi aspettavo di trovare un altro nome noto ai più e a me sconosciuto. Invece con somma sorpresa ho ritrovato Chris Stapleton, un cantautore di musica country che pensavo popolare solo in qualche cittadina sabbiosa del Sud ma assolutamente di nicchia in tutto il resto del mondo. Il suo album Traveller con cui è candidato alla vittoria è l’unico disco che ho ascoltato dei cinque prima della pubblicazione della shortlist. 

Chi è allora Chris Stapleton? Solo un artista country? Anzitutto bisogna sapere che Traveller è un’opera prima che è diventata subito un “Instant Classic”. Va aggiunto che Stapleton è stato nominato anche nelle categorie best country album, best country song e best country solo performance… ed è pure fresco della vittoria di tre premi al CMA Awards! In realtà Traveller non è solo country ma è anche molto blues, rock, bluegrass e soul… Sapientemente prodotto da Dave Cobb, il disco è decisamente “furbetto” non solo perchè coniuga diversi generi ma anche perchè raccoglie le principali tematiche della musica Sudista e della musica Country: si parla del Demonio e del Good Lord, si fanno i patti con il diavolo e si invoca il Signore in preghiera. L’amore e il ruolo importante della famiglia (che Chris ha costruito con la cantante country Morgane Hayes) sono descritti  in More of you: “Everything that you do, it makes me want more of you”.  E poi ancora l’amata terra, i viaggi, i sentimenti e le emozioni legati alla sconfitta e ad una rivalsa a volte possibile, il tutto ovviamente accompagnato da dell’ottimo whisky che scorre a fiumi tra le note di ogni canzone. Pertanto alcuni brani hanno forse il difetto di essere troppo melensi e stucchevoli ma nell’insieme l’album funziona e ha la capacità anche di commuovere. Attenzione poi, Chris Stapleton non è un prodotto creato a puntino nei laboratori dei reality, anzi di gavetta ne ha fatta parecchia e di chilometri ne ha macinati tanti prima di raggiungere questa visibilità. Come racconta lui stesso nella stupenda The Devil Named Music: “Abbiamo guidato tutta notte fino a Billings, Montana, volato nello Utah dove abbiamo dormito tutto il giorno, non mi ricordo nemmeno di essermi fermato a Denver”! e ancora bellissimo: “Vivo nell’illusione che qualcuno abbia bisogno che io suoni”! Quindi la mancanza della famiglia a causa della musica, di quella musica di cui proprio non può fare a meno: “Sometimes I’m drunk, Sometimes I’m Stoned… sono stufo di essere da solo, mi manca mio figlio (figlia), mi manca mia moglie, ma il diavolo chiamato musica sta prendendo la mia vita”.

Stapleton di anni ne ha 37 e prima di comporre un album solo a suo nome ha scritto parecchio per molti altri musicisti Country e ha collaborato anche con Adele e Sheryl Crow. Dal 2008 al 2010 è stato il lead singer della band bluegrass SteelDrivers con cui ha pubblicato due album e successivamente ha fondato una band di Southern Rock gli Jompson Brothers. Le 14 canzoni di Traveller sono state scritte nell’arco di 15 anni ovvero dal 2001, alcune delle quali già prestate ed incise da altri artisti country. 

Daddy doesn’t pray anymore, dedicato al padre scomparso nel 2013, è un pezzo decisamente toccante: “Anche quando i momenti erano difficili mi ricordo che ringraziava Gesù per tutto quello che aveva, di una buona moglie e di tre figli e del cibo nei nostri piatti…papà ora non prega più, mi sa che è finito a parlare direttamente con il Signore…credo che alla fine stia camminando con il Signore”.

Outlaw State of Mind e Parachute sono i pezzi più rock e meritevoli di menzione anche le due cover Tennessee whisky che mi ricorda I shall be released ma cantata da Van Morrison e Was it 26 interpretata in passato anche da Charlie Daniels. La voce di Chris, pregevole in ogni canzone, la si può apprezzare al meglio in tutta la sua estensione nell’ultimo brano, un pezzo soul blues “Sometimes I Cry” registrato dal vivo negli RCA Studio A di Nashville.

Finora la storia di Chris Stapleton è stata quella di un ragazzo del Kentucky trasferito nel Tennessee che “ha venduto l’anima parecchio tempo fa per metterla in una sei corde e in una triste melodia”. Il 15 febbraio, la sera dei Grammy, io so bene per chi fare il tifo. Perchè quella di Chris Stapleton è la storia di un ragazzo”…la maggior parte delle volte perdente…” ma c’è chi giura “…qualche volta vincente”!