Siamo nel pieno delle stagioni liriche. Roma, Milano, Napoli , Firenze e Venezia hanno iniziato negli ultimi mesi del 2015, ma – unicamente per fare alcuni esempi – il ‘Massimo Bellini’ di Catania ha aperto il 17 gennaio con una vera chicca (Fedra di Paisiello), Bologna inaugura  il 23 gennaio con Attila di Verdi (coprodotto con Palermo e Venezia), Parma e Bari (il 21 ed il 27 gennaio) con due differenti produzioni de Le Nozze di Figaro di Mozart, Ravenna con Il Turco in Italia di Rossini il 5 febbraio, Palermo il 28 gennaio con il Crepuscolo degli Dei di Wagner e Trieste il 29 gennaio con Norma di Bellini. E via discorrendo. Alcuni di questi spettacoli verranno recensiti su questa testata.



Tuttavia, credo che sia il momento di fare un discorso più ampio. Sino a prima della seconda guerra mondiale, gli annunci delle ‘stagioni’ e delle singole opere ponevano l’accento sulle voci, sui cantanti (i più noti dei quali in estate si spostavano nell’emisfero meridionale, al Colòn di Buenos Aires od al Municipal di Rio de Janeiro). Successivamente, c’è stata una fase in cui l’enfasi era sui direttori d’orchestra: i loro nomi erano al centro dei comunicati e delle recensioni ed anche loro, sino a quando il trasporto aereo si pensava che non giovasse alle prestazioni (e, quindi, non ci potesse essere una unica grande stagione nell’Atlantico del Nord), quando l’estate iniziava in Europa (e le ‘stagioni estive’ in arene e terme, venivano considerate di secondo rango), le bacchette prendevano il transatlantico alle volta della ancora ricca America Latina. E’, poi, venuto il momento delle regie, tanto che si parla di Anello del Nibelungo di Graham Vick invece che di Richard Wagner. Il teatro in musica è azione scenica (quindi regia), orchestra (quindi maestro concertatore) e canto (dunque voce).



Ora l’attenzione alle voci sta riacquistando rilievo, dopo anni in cui – occorre ammetterlo – la relativamente poca importanza data ai cantanti ha fatto sì che numerosi siano stati ingaggiati per ruoli poco appropriati ai loro registri, con esiti poco felici risultanti in carriere brevi.

Per gustare a pieno le voci all’opera non mancano manuali e testi specializzati. E’ giunto da qualche settimana in libreria un libro che parla della voce umana in teatro in musica pensato non per specialisti ma rivolto a tutti (Delfo Menicucci, La voce, d’altro canto. Etica ed estetica della voce nel canto pp. 228, Zecchini Editore 2015€ 25). Da vent’anni, Menicucci è titolare di cattedra al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano ed ha precedentemente insegnato canto in vari istituti. Tuttavia, è giunto all’accademia dopo aver calcato i palcoscenici per diversi anni. Il suo ‘repertorio’ include 62 ruoli operistici che spaziano dal barocco al contemporaneo. Si aggiungono oltre 200 concerti liederistici che comprendono tutta la gamma del canto, da quello medioevale al barocco, dal salottiero ottocentesco al ‘novecento storico’ ed al contemporaneo. 



Continuatore e studioso della singolare, ma non irripetibile, tecnica vocale di Mario Del Monaco, Menicucci non offre un vademecum od una guida per lettori non specialisti ma in sette capitoli fotografa la voce ‘cantata’ da sette differenti angolature. Solleva, giustamente, interrogativi a cui il lettore (pure non specialista) deve rispondere. Separa, con precisione chirurgica, ciò che sta dalla parte dell’opinione sulla voce da ciò che sta dalla parte della certezza.

Un testo che merita di essere letto e meditato da tutti coloro che vanno all’opera od a concerti liederistici.