A 43 anni Dave Heumann ha colto l’occasione di una pausa degli Arbouretum per pubblicare il suo primo disco solista. Finora Dave Heumann è stato gli Arbouretum e la band di Baltimora è sempre stata essenzialmente Dave Heumann. Molti leader di band arrivano ad un certo punto della loro carriera e sentono l’esigenza di esprimersi diversamente, di svelare il loro lato più personale e di affrontare la prova della maturità. In qualche maniera queste potrebbero essere le stesse motivazioni che hanno spinto Dave alla prova solista.



Ho aspettato un po’ prima di ascoltare l’album per intero, ingannato forse dall’immagine di copertina, una foto in primo piano, in bianco e nero, di Dave con i capelli lunghi e la barba incolta che raffigura un folksinger o un fuorilegge d’altri tempi. Temevo di mettermi all’ascolto di un album acustico, introspettivo e magari pure depresso. Così me lo ero immaginato. Per carità a volte funziona, ma non per me, almeno non in questo periodo. Invece Here in the Deep mi ha sorpreso in positivo: è un album estremamente apprezzabile fatto di arrangiamenti articolati in cui Dave non dimentica le sue origini, il sound degli Arbouretum. Con questo disco Dave ha tirato fuori la sua anima più folk e pop finora nascosta e sommersa dai suoni progressive e psichedelici della band del Maryland. Ho avuto l’occasione di intervistare Dave per parlare di questa nuova esperienza e ovviamente degli Arbouretum.



Mi aspettavo di ascoltare un album acustico, invece Here in the Deep ha un suono da Band! In particolare nell’album si può apprezzare maggiormente la tua anima folk piuttosto che quella psichedelica tipica degli Arbouretum. Sei soddisfatto del risultato finale?

È vero gli arrangiamenti sono quelli di una band con tanto di basso, percussioni/batteria, synth ecc. perché le canzoni stesse lo richiedevano. Se avessi potuto esprimere tutte le mie idee solo con la chitarra acustica lo avrei fatto, ma tutte le melodie e le armonie  suonate dai vari strumenti erano necessarie per dare alle canzoni le stesse sensazioni che avevano nella mia testa. Per rispondere invece all’ultima parte della tua domanda, sì, sono molto soddisfatto di come è venuto l’album!



Le mie canzoni preferite sono Holly King on a Hill e Ends of the Earth, probabilmente quelle con il suono più vicino alle ultime produzioni degli Arbouretum. Il processo creativo è cambiato rispetto ai lavori con gli Arbouretum?

Ends of the Earth in effetti è una canzone degli Arbouretum, ho indicato i nomi dei componenti della band nei crediti. Ho voluto includerla nel mio album perché è l’unica nuova canzone degli Arbouretum composta durante il periodo di pausa e fa parte dello stesso ciclo creativo delle altre canzoni  incluse nel disco. Per la maggior parte dei brani il processo di scrittura è stato simile a quello che uso con gli Arbouretum ma è stato diverso per alcuni aspetti. Una prima differenza è che i membri degli Arbouretum solitamente forniscono dei feedback sulla struttura e le loro impressioni sulle canzoni, che ovviamente non ho avuto in questo caso. Un’altra cosa da evidenziare è che non impongo mai la modalità con cui gli Arbouretum devono suonare, in questo disco invece ho avuto l’opportunità di farlo, alcuni elementi come le parti di basso o di tastiera sono suonati esattamente come li avevo immaginati. Per esempio il basso a metà e alla fine di Holly King on a Hill è stato suonato da me nel mio studio di casa. Un altro esempio è l’arrangiamento sull’armonia vocale di Ideas of Summer. Non avrei provato a fare così con gli Arbouretum perché non abbiamo molti cantanti nella band, mentre ritengo che la riuscita della canzone dipenda molto dalle voci utilizzate. In questo disco da solo ho avuto l’opportunità di esplorare questo tipo di idee.

Quanto tempo hai impiegato per raccogliere le dieci canzoni dell’album? Erano delle Outtake di dischi precedenti, vecchio materiale oppure sono tutte canzoni nuove?

Alcune canzoni come Cloud Mind e Ideas of Summer nascono da alcuni semi piantati un paio di anni prima di essere registrate. Switchback è nata da un’idea che ho avuto la stessa notte delle melodie originali di canzoni degli Arbouretum Renouncer e All at Once, the Turning Weather, ma ho pensato che fosse un po’ troppo “poppy” per essere un pezzo degli Arbouretum. Altre canzoni, in particolare i brani strumentali, sono stati scritti contestualmetne a quando sono stati registrati o poco prima.

 

Prestando attenzione ai tuoi testi, anche in questo disco, sembra che tu non scriva da un punto di vista personale. Mi sbaglio?

Le canzoni non sono scritte con l’intenzione di avere una angolazione personale, ma credo che parte del materiale possa funzionare per tutti. In generale preferisco scrivere da una prospettiva trascendentale. In inglese la parola “transpersonal” può avere diverse connotazioni o significati a seconda di chi lo usa e perché. Sono giusti tutti i significati che conosco del termine poiché ben definiscono il mio stile di scrittura.

 

L’album è stato mixato da John Parish (PJ Harvey, Tracy Chapman, Giant Sand). Come sei entrato in contatto con lui?

L’ho incontrato alcuni anni fa dopo che ci siamo conosciuti ad uno spettacolo in Inghilterra. Non è stata mia l’idea iniziale di collaborare con John, ma ho avuto l’occasione di entrare in contatto di nuovo con lui perché ha mixato alcune canzoni di un altro artista che lavora con la Thrill Jockey. Poiché ho da lungo tempo una grande stima per il suo lavoro, ho pensato che sarebbe stata davvero una bella esperienza lavorare con lui sull’album. E così è stato.

 

Greenwood Side è un’altra canzone tra le mie favorite, una canzone tradizionale cantata anche da Joan Baez. È una “murder ballad”, la vicenda drammatica di una madre che uccide i figli. Perché l’hai voluta includere nell’album?

Credo che parte del suo fascino sia legato al fatto che sia sempre stata considerata una canzone “pericolosa” a causa del tema trattato, per questo motivo non sono molti gli artisti della scena folk degli anni sessanta che l’hanno interpretata.  E così è una canzone poco conosciuta rispetto ad altre più coverizzate, come Matty Groves per esempio. A farmela conoscere è stato il mio amico Walker, che l’ha conosciuta dal nostro amico Ned che, a sua volta, gli è stata presentata da un comune amico di nome Bob… Poi avevo una melodia in testa, diversa, basata su un’altra canzone folk chiamata Dreadful Wind and Rain. Ho pensato che con un piccolo riarrangiamento potessi adattare il testo a questa melodia. Questa è sostanzialmente l’idea della canzone.

 

Hai registrato parecchie cover ed alcune fanno stabilmente parte delle setlist degli Arbouretum. In particolare ho apprezzato molto la vostra versione di She Moved through the Fair version e le canzoni di Bob Dylan The Wicked Messenger e Tomorrow is a long time. Come le scegliete solitamente?

È tutta una questione di credibilità. Il pubblico ha bisogno di credere che il brano sia suonato spontaneamente e deve percepire chiaramente che la canzone è suonata anche con una finalità genuina. È davvero difficile trovare Cover che funzionino per noi. Abbiamo provato molte canzoni che alla fine abbiamo dovuto scartare, solitamente, perché sentivamo che c’era qualcosa di poco autentico nel recitare quel ruolo. E’ un po’ come la parte di attore. A prescindere dalle sue capacità di recitazione, non vorremmo mai vedere Bill Murray nella parte di Han Solo di Star Wars.

 

I componenti degli Arbouretum sono cambiati molto nel corso degli anni. E’ facile far coincidere gli Arboretum con Dave Heumann. Chi sono gli Arbouretum oggi?

Guardando la composizione della band negli anni è immediato pensare che gli Arbouretum siano un progetto Dave Heumann-centrico. La lineup è cambiata molto nel corso dei primi tre album ed io sono stato l’unico elemento di continuità. Negli ultimi anni invece la situazione si è cristallizzata. A partire dalla fine del 2009, oltre al sottoscritto, gli altri componenti sono Corey Allender, Brian Carey e Matthew Pierce. In questo nuovo contesto, più stabile, è anche aumentata la decentralizzazione: maggiore è il tempo che si suona insieme come un’unità e maggiore diventa la democrazia all’interno del gruppo. Gli altri componenti stanno contribuendo sempre di più in termini di idee e anche su come le cose devono essere finite.

 

Per fortuna questa non è la fine degli Arbouretum e si è trattato solo di un anno sabbatico. State già lavorando a nuove canzoni? È in previsione un nuovo album prossimamente? 

Non saprei dirti quanto presto perché ancora non abbiamo registrato l’album, ma abbiamo pianificato di realizzarlo nel 2016. Sono molto gasato per le nuove canzoni degli Arbouretum che stanno prendendo forma. Stiamo sperimentando molto e sembra davvero che il tempo lontano dal suonare regolarmente insieme sia servito ad ampliare le nostre prospettive. Non vedo l’ora di registrare la nuova musica e di mettere insieme il nuovo disco!

 

Gli Arbouretum hanno un suono davvero unico. Nell’ultimo album “Coming out of the fog” e parzialmente nel tuo album solista si colgono le influenze dei Greateful Dead, Neil Young e dei Fairport Convention. È questa la musica che stai ascoltando?

Gli artisti che hai citato sono proprio quelli che ascolto da più tempo, sebbene sia giusto precisare che non ho mai dedicato molto tempo all’ascolto dei Fairport Convention in sè, piuttosto mi è sempre piaciuta la musica dei membri della band come Sandy Denny e Richard Thompson. Inoltre ci sono un mucchio di artisti folk inglesi/irlandesi di cui sono fan come Martin Carthy, Planxty, Maddy Prior…

 

Molte band statunitensi hanno maggiore successo in Europa che in USA. Mi sai dare una spiegazione? È un motivo di competizione nel mercato US, di etichetta o altro? Se non sbaglio questo è anche il vostro caso. Ad ogni modo sia Uncut che Mojo spendono sempre delle belle parole per voi!

Sono molto contento della visibilità che Uncut e Mojo, al pari di altre riviste specializzate meno cosciute, hanno dato agli Arbouretum e al mio album. Da quando faccio musica non sono mai riuscito a farmi un’idea chiara sul perché questa musica sia accolta meglio in Europa rispetto agli Stati Uniti. Una parte della spiegazione può essere legata all’affollamento di artisti che girano negli Stati Uniti. Non credo comunque che questa sia l’unica ragione. Sembra che sia anche una questione di sensibilità del pubblico europeo che in qualche maniera, coglie meglio l’origine e lo spirito della canzone rispetto ai pari americani. Per quanto riguarda i concerti, abbiamo sempre trovato difficoltà a fissare delle date in alcuni Stati fatta eccezione per poche città. In Europa è più facile, favoriti anche da agenzie (in Italia la DNA Concerti) particolarmente motivate a fissare date per noi. Negli Stati Uniti invece al momento non abbiamo un’agenzia di booking, pertanto fissiamo gli spettacoli direttamente per conto nostro.

 

Nel recente tour per presentare Here in the Deep non sei passato dal nostro paese, con gli Arbouretum invece sei venuto spesso e volentieri. Hai qualche aneddoto da raccontare?

Si ne ho uno bello per te. Gli Arbouretum dovevano suonare al Sidro Club di Savignano Sul Rubicone (FC). Solitamente scrivo la scaletta ogni sera e poi prima dello spettacolo chiedo agli altri della band se per loro va bene o se preferiscono fare dei cambiamenti. Tuttavia per questo show erano tutti indaffarati pertanto ho scritto solo quattro brani e poi ho pensato di decidere sul palco cosa suonare successivamente. Bene, eravamo sul palco a suonare e giusto a metà della quarta canzone si è verificato un blackout in tutta la strada e la corrente è andata via anche nel Club e per questo abbiamo dovuto interrompere lo spettacolo. Corey, la bassista, poi mi ha detto: “Che roba strana che è successa a metà dell’ultima canzone che hai messo in lista”! Da quel giorno mi sto domandando cosa sarebbe successo se avessi scritto una setlist intera!