Dopo l’annullamento del concerto del 24 gennaio dovuto alla tempesta di neve che si è abbattuta su New York e al blocco dei veicoli privati e pubblici quello al Madison Square Garden è stato il terzo concerto del The River 2016 tour in supporto all’uscita del cofanetto commemorativo di The River.
Springsteen è accompagnato dalla E Street Band con la formazione “standard” dopo le dipartite di Danny Federici e Clarence Clemons, quindi con Charlie Giordano, Soozie Tyrel e Jake Clemons.
Non vedevo Springsteen suonare in un palazzetto dal 2007 ad Assago con il Magic Tour (visto che poi in Italia da quella data in poi ha fatto solo concerti in spazi aperti) e devo dire che forse sarebbe il caso di riapprezzarlo in teatri e palasport anche in Europa, non sarà la stessa cosa dell’epicità di un San Siro, ma molte sfumature si raccolgono meglio. Capisco che sarà difficile a causa dei problemi dei posti limitati e dei fan che rimarrebbero senza biglietto, oltre al fatto che i costi dei biglietti lieviterebbero a dismisura.
Qui a New York un biglietto poteva costare dai 73 ai 155 dollari a cui poi andavano aggiunti altri 20 dollari circa di tasse e varie, ammesso che uno lo riusciva a prendere tramite il rivenditore ufficiale; e visto che tutto il mondo è paese anche qui biglietti sono finiti apparentemente dopo pochi secondi per riapparire immediatamente sui mercati secondari a prezzi di oltre 5000 dollari. Polemica che ha avuto anche strascichi legali ancora non arrivati a una sentenza.
Il leggendario Madison Square Garden è sold out pieno fino all’inverosimile.
Sistemato alla transenna del pit mi godo il boato che accompagna l’ingresso a coppie dei membri della E Street e poi l’urlo liberatorio che accoglie Bruce. Dopo aver salutato New York chiede se siamo sopravvissuti alla tempesta di neve; come per dire adesso ci penso io a farvi fuori. Si parte con Meet in the City che dal vivo è potentissima. Subito dopo si passa alla esecuzione integrale di The River; album che come un fiume ha momenti calmi con ballate struggenti e momenti di piena come in Ramrod o Sherry darling.
Le canzoni fluiscono nella sequenza ben conosciuta dai suoi estimatori. Noto che gli arrangiamenti sono molto impostati sulle armonie vocali che chiamano Little Steven, Soozie, Nils e Patti a fare dei delicati tappeti di accompagnamento. Jake si sobbarca sempre meglio la parte che era di Clarence e l’ho trovato molto cresciuto e sempre più generoso nei suoi assoli.
Bruce scorrazza sul palco duettando specialmente con Steven e Jake.
Su Hungry Heart surfa sul pubblico come di solito succede negli show americani. Point Blank ha una intensità paurosa e la voce da sessantaquattrenne molto più roca infonde una inquietudine maggiore rispetto alla versione su disco. Drive all night è stata fatta in una versione più veloce.
Finito the River con Bruce che spiega come il fiume sia da interpretare come la nostra vita che scorre e quindi pensando a realizzare quello a cui si tiene si parte con She’s the one e Candy’s room, il Madison è in visibilio.
Born to run sconquassa The Garden e poi via con Dancing, Rosie e per chiudere quella Shout che fece divertire San Siro un po di anni orsono.
In conclusione, anche se a distanza di un’ora la parte emozionale ha ancora il sopravvento, quello visto stasera è uno show molto intenso nella parte del full album, le ballate sono tutte delle perle che Bruce interpreta con convinzione e dando con la maturità un nuovo spessore al suo lavoro. Nei pezzi veloci sono ritornati i sobri giochi con la E Street che negli ultimi anni avevano lasciato spazio a troppi gigioneggiamenti. Menzione speciale per Little Steven che non vedevo in forma così da anni. Adesso resta solo l’attesa che questo fiume arrivi anche in Italia per poter godere nel nostro paese di questa nuova fase di Springsteen.
(Leonardo Rescic)