Cadono uno a uno, come i soldati di un battaglione malconcio che va verso i fucili puntati. Questo gennaio 2016 probabilmente passerà alla storia come quello dei tanti eroi del rock morti uno dopo l’altro. L’età naturalmente, la vita che fa il suo corso ovviamente, anche le conseguenze di tanti abusi fatti con incoscienza da giovani. Che quando si è giovani si pensa che la morte non ci riguarda e ogni sfida è possibile. Non è così naturalmente, ma che bella vita hanno vissuto queste persone. C’è chi dice che il rock non morirà mai, che come l’araba fenice si risolleva sempre dalle proprie ceneri. Non è così. Quello che ci dicono queste morti (l’ultima, ieri, quella di Paul Kantner, 74 anni, visionario dell’epopea hippie della San Francisco pacifista e psichedelica degli anni 60) è che un’epoca storica irripetibile è giunta alla fine. 



Francamente nessuno degli attuali protagonisti della scena musicale, ma anche quelli degli ultimi vent’anni, lascerà il vuoto che stanno lasciando queste morti. Vite, storie, personaggi irripetibili perché appartenuti a momenti della storia dell’umanità irripetibili e unici. Facciamocene una ragione. Così come nella musica classica non è più nato un Beethoven o un Mozart o nella musica jazz un Miles Davis, non nasceranno più dei David Bowie o dei Paul Kantner.Tre decenni che hanno avuto un significato uguale a poche altre epoche dell’umanità, gli anni 50, 60 e 70 del Novecento. Viverli da protagonisti è stata una esperienza straordinaria. Le canzoni non hanno cambiato il mondo, ma hanno raccontato in presa diretta quello che succedeva nel mondo. E fondare un gruppo rock nel 1965 a San Francisco voleva dire essere al cuore di questi cambiamenti epocali. 



Quando un buon cantante della Bay Area , Marty Balin, compra una pizzeria in Fillmore Street a San Francisco convertendola in sala da concerto, il Matrix, cerca altri musicisti per formare una band. Il primo che incontra si chiama Paul Kantner, un folksinger dei tanti di quell’epoca. San Francisco, per la sua storia di città liberale, aperta, amichevole e anche incantevole per quella sua posizione al centro della Bay Area dominata dal Golden Gate Bridge sta richiamando da tutti gli States tanti giovani innamorati del nuovo sound portato dai Beatles nel mondo. In breve si aggiungono il chitarrista blues Jorma Kaukonen, la cantante Signe Anderson, il bassista Jack Casady. Nascono i Jefferson Airplane che poi poco dopo vedranno l’arrivo di una nuova bellissima e inquietante cantante, Grace Slick. San Francisco è diventata la città in cui tutti i giovani di tutto il mondo vogliono andare, magari portando un fiore nei capelli, come cantava Scott McKenzie  “San Francisco è un certo numero di chilometri quadrati circondato dalla realtà” dirà Kantner.



Droghe psichedeliche prese con l’intento di allargare l’area della coscienza e le capacità di conoscenza, gli acid test (Kantner si dichiarerà sempre contro la cocaina e l’alcol, sostanze che, diceva, ammazzano mente e corpo), il profumo della marijuana. Ma soprattutto l’dea, semplice e utopica, che basti l’amore per cambiare un mondo spaventato tra la paura nucleare e il massacro del Vietnam. “Peace and love”, pace e amore, dicono, inventandosi nel gennaio del 1967 una estate di sogni e speranze, la Summer of Love. Free music, concerti che durano anche due giorni, centinaia di gruppi, musicisti che entrano e escono da un gruppo all’altro o che suonano tutti insieme, jammando con libertà, rifiutando le regole del business commerciale. Non ci sono regole, “music is love”, solo buone vibrazioni. I Jefferson Airplane sono i più dotati di tutti e i primi ad arrivare in vetta alle classifiche. Il primo meraviglioso disco Surrealistic Pillow è l’inno dell’estate dell’amore, con White Rabbit e Somebody to Love a dettarne i ritmi. Poi arriveranno lavori più complessi e esplicitamente politici: Volunteers, noi siamo i volontari dell’America nuova.
Paul Kantner da sempre innamorato della fantascienza ha un sogno: costruire una astronave che porti via da questo pazzo mondo i giovani che credono nell’amore. Navi di legno per fuggire in alto mare prima, poi una astronave vera e propria e l’Airplane dei Jefferson diventa una Starship. Un disco capolavoro, nel 1970, manifesto di questo sogno, Blow against the Empire, dove accorre a suonare la crema della scena di San Francisco. Un altro californiano doc, Jackson Browne, scriverà una canzone in risposta a Wooden Ships. Si intitola Before the Deluge e dice che invece di fuggire la realtà bisogna starci dentro per cambiarla. E’ un segnale. 
Blow Against the Empire, con il rock quasi punk di Mau Mau (Amerikon), denuncia durissima dell’amministrazione sanguinaria Nixon, è anche il canto del cigno. La profezia amara era già arrivata poco prima, dopo la celebrazione di Woodstock, con la tragedia di Altamont. La violenza batte l’amore. Al concerto organizzato dai Rolling Stones suonavano anche gli Airplane. Il servizio d’ordine degli Hell’s Angels terrorizza il pacifico pubblico, Marty Balin si getta giù dal palco mandando a quel paese uno di loro e in cambio viene atterrato da un cazzotto in faccia. Kantner ferma la musica: avete picchiato il mio cantante, ce ne andiamo. Poi durante l’esibizione degli Stones ci sarà anche un morto.

Ci vorrà del tempo prima che si capisca che l’estate dell’amore è finita per sempre, ma Kantner non lo accetterà mai. Nei decenni successivi alla guida di un esemble di musicisti che cambia sempre continuerà a cantare la sua delicata utopia. Chi scrive ebbe la fortuna di vederlo esibirsi a Milano, nel 1995, in una formazione che comprendeva anche altri due membri originari, Marty Balin e Jack Casady. Fece tenerezza quando accettò da uno spettatore uno spinello, tirandone alcune boccate per poi ripassarglielo. Come fossimo ancora all’angolo di Haight Ashbury.

Non era uno sciocco, Paul Kantner, tra le sue utopie era ben chiara la realtà che lo circondava come quando nel brano We should be Together, ispirato dal nascente movimento delle Pantere Nere, noto per i suoi atti di violenza, scrisse: “We are obscene, lawless, hideous, dangerous, dirty, violent and young/But we should be together.”

Era un musicista sperimentale, capace di mettere insieme le radici folk del suo paese con le sonorità psichedeliche ed elettroniche, e scriveva canzoni bellissime, come la delicata Baby Tree, solo voce e banjo, dedicata alla figlioletta avuta con Grace Slick.

A North Beach, il quartiere italiano di San Francisco dove era nata la scena dei poeti beat, e poi quella dei locali folk, era facile incontrarlo, seduto all’aria aperta bevendo un cappuccino, intrattenendosi con chiunque. Era un uomo libero, figlio di quella città che non ha mai lasciato. 

L’amico Marty Balin lo ha ricordato così: “Gli piaceva fare l’avvocato del diavolo, ma adesso ha certamente guadagnato le ali di un angelo”.

Nell’ultima canzone del loro ultimo disco degno del loro nome, Earth del 1978, Paul Kantner aveva già lasciato, 37 anni prima di morire, l’epitaffio suo e della sua generazione: “Sometimes the music’s a doorway out of the darkness into the light”. A volte la musica è un portone, che dall’oscurità conduce alla luce.