John Carney potrebbe tirare fuori un film dalla vita di Eva Cassidy. Probabilmente il regista irlandese ha usato parecchio della cantante scomparsa esattamente vent’anni fa per ambientare i suoi due splendidi film “Once” e “Tutto può cambiare”. Tutti e due infatti raccontano di cantanti sconosciuti pronti a giocarsi la vita nella scommessa apparentemente impossibile di portare al mondo la propria musica. Una necessità sentita più per rimanere in vita loro stessi che per avere successo commerciale o quel “glam” che da sempre circonda gli artisti, ad esempio rifiutando di piegarsi al cliché di “una notte di sesso” e via, per sentirsi vivi. I protagonisti di “Once” e quelli di “Tutto può cambiare” sono tutti personaggi di strada o di piccoli oscuri e puzzolenti club, abituati più a passare inosservati da chi passa loro accanto o siede al bar, apparentemente sconfitti dalle circostanze, mentre urlano o sussurrano il loro bisogno di vita. Che corrisponde alle loro canzoni. In questo modo riescono a comunicare che la vita è qualcosa di più grande, capace di contenere tutto: che sia una canzone o un amore.



Probabilmente erano questi, magari in modo inconscio, i pensieri e le urgenze di Eva Cassidy quando quel 3 gennaio del 1996 entrava al Blues Alley, uno dei tanti locali della sua città, Washington DC, per esibirsi nella seconda di due serate. La prima si era tenuta il giorno prima. Concerto che sarebbe stato pubblicato nel suo secondo disco, “Live at Blues Alley”, che resterà il secondo disco che incise da viva. Sarebbe morta infatti meno di un anno dopo, i primi di novembre di quell’anno, il 1996. Quei due concerti sono stati adesso pubblicati integralmente in un doppio cd e un dvd (che riprende alcune performance di quelle magiche serate), “Nightbird”.



Il primo disco di Eva era uscito quattro anni prima, inciso con il pianista funk Chuck Brown, “The Other Side”, un titolo profetico. Nella sua breve vita Eva Cassidy era vissuta come una anticipazione di quell’altro lato della vita, quello eterno. Le sue meravigliose e purissime capacità vocali, il senso di malinconia e nostalgia insostenibili che la sua voce sapeva esprimere, rimandano realmente a una eternità e a un cuore troppo grande per essere contenuto nella limitatezza della vita terrena. Dopo quel primo disco aveva tentato diverse avventure musicali, tutte insoddisfacenti dal punto di vista commerciale e artistico. Quando arriva al Blues Alley è conosciuta solo da pochi appassionati: ne uscirà come una regina dal futuro musicale radioso.



Il suo repertorio era basato unicamente su standard e canzoni altrui, facendo di lei probabilmente la più grande interprete degli ultimi trent’anni, degna di figurare nell’olimpo delle grandi voci femminili di tutti i tempi. Il suo segreto era la semplicità: si appoggiava alla chitarra acustica come una delle tante folksinger, ma quando cantava poteva essere Billie Holiday. Era talmente naturale che proprio la semplicità del suo approccio fece alzare la gente in piedi dalle seggiole quando la sentiva cantare.

Per quel poco tempo che la vita le diede per esibirsi Eva Cassidy fece di più di quanto le stelline prefabbricate che oggi vendono milioni di dischi sanno fare, con una umiltà e un senso di servizio alla musica come espressione di sé e degli altri che raramente si è mai potuto ascoltare. Un mese dopo che “Live at Blues Alley” era stato pubblicato, nel maggio 1996, a Eva fu diagnosticato un melanoma che si era ormai diffuso in modo aggressivo nei polmoni e nelle ossa. 

Nonostante cure molto forti, sarebbe morta poco dopo, il 2 novembre, dopo aver registrato il suo primo e unico album in studio che sarebbe uscito postumo, e aver fatto la sua esibizione finale a un concerto di beneficenza per pagarle le cure. L’ultima canzone che avrebbe cantato dal vivo sarebbe stata Oh What a Wonderful World, il testamento più bello e significativo che avrebbe potuto lasciare al suo pubblico: un mondo meraviglioso, quello in cui era stata chiamata a vivere, nonostante tutto. Quel futuro radioso che attendeva sarebbe arrivato solo dopo la morte, ma in fondo che differenza fa se dentro di te lo hai vissuto ogni giorno della tua vita? Che cosa è quella mancanza che fa piangere un ragazzino di 14 anni quando ascolta una canzone alla radio pur non avendo ancora mai baciato una ragazza, la stessa mancanza che ha un uomo di mezza età che di donne ne ha conosciute mille e ancora non è abbastanza, perché, come diceva Shakespeare, ogni volto “seppur bellissimo” è rimando di qualcosa d’altro? Questa mancanza era la cifra artistica della voce di Eva Cassidy.

“Nightbird” adesso è il documento finale di una artista totale, di cui dissero i critici del tempo che avrebbe potuto cantare qualunque stile, dal jazz al pop all’R&B e farlo apparire come lo stile musicale definitivo. E pensare che la Cassidy non era soddisfatta di quelle performance, per via di un raffreddore, e non era d’accordo a pubblicarle.

Vederla esibirsi nelle immagini contenute nel nuovo dvd è un tuffo al cuore. Da Autumn Leaves a Over the Rainbow, il suo impeccabile tocco vocale jazzy unito alla semplicitià folk che la contraddistingueva, fanno di queste performance tra le più commoventi e intense della storia della musica moderna, dotate di una autorevolezza unica. Il repertorio presentato in questi dischi poi la dice lunga della conoscenza e della voglia di superare gli stili musicali: da Van Morrison (Caravan) a Dusty Springfield (Son of a Preacher Man), It Don’t Mean a Thing (If It Ain’t Got That Swing) (Duke Ellington), Bridge over Troubled Water (Simon & Garfunkel), People Get Ready (Curtis Mayfield), Chain of Fools (Aretha Franklin) per dirne alcune, in questi due dischi c’è il meglio della musica americana del 900.

Quando è morta, Eva Cassidy aveva 33 anni soltanto. Non era un fiore che stava sbocciando, era sbocciato meravigliosamente in quelle due serate al Blues Alley, e adesso tutto il mondo può contemplare quel talento, voce di un rimando all’“altro lato”. Dietro quella porta di quel club, per le strade di Washington, ancora risuona quella voce. Vent’anni dopo è tutto conservato in una bellezza che appartiene solo “all’altro lato”. Lei era stata mandata qui per quei pochi anni che visse ad annunciarla.