Le liste dei dischi migliori dell’anno andrebbero pubblicate alla mezzanotte del 31 dicembre dell’anno in corso. Succede infatti che nei giorni immediatamente successivi all’aver compilato a fatica le suddette liste e ad anno ancora in corso arrivino sulla scrivania dischi talmente belli che avresti voluto ascoltare prima. Ma così funziona e va bene lo stesso. 



Per tutti gli amanti del songwriting di classe, vintage, legato alla tradizione americana più pura, vale allora la pena mettersi a cercare questi due dischetti. Il primo è a firma Ethan Johns, figlio dell’illustre Glyn Johns, collaboratore e produttore negli anni 70 di nomi del calibro di Stones, Led Zeppelin e tanti altri. rthan ha seguito la strada del padre ed è uno dei più affermati produttori “giovani”(in realtà viaggia sui 45 anni di età) dell’ultima generazione. Tra le sue abili mani sono passati Ryan Adams, Kings of Leon, Jayhwaks, Counting Crows, Ray LaMontagne, Rufus Wainwright ma anche artisti più stagionati tipo Joe Cocker e Tom Jones. La sua peculiarità sta nell’essere rimasto alle ambientazioni soniche dei tempi del padre, quel suono purissimo, analogico e oggi purtroppo considerato vintage che appartiene alla golden age del rock, gli anni 70.



Ogni tanto però si diverte a fare dischi a suo nome e questo “Silver Liner” è il suo terzo tentativo. Un disco ottimo, caldo, intimista, dallo spessore profondo e raffinato, che si apre con il brano che intitola il disco e che potrebbe essere la canzone migliore che Neil Young non incide da anni. Il giro d’accordi apre subito il libro dei ricordi, così simile a Don’t Let it Bring You Down del cantautore canadese. Se poi ci aggiungete una solista calda e pastosa in stile “Zuma”, avrete un brano sì carico di nostalgia sonora, ma di bellezza avvolgente. Ethan Jones, la cui voce ricorda a tratti quella di un altro canadese, Bruce Cockburn, nel prosieguo si sofferma su atmosfere più rarefatte, a volte pianistiche, sempredi grande effetto. Canzoni di intensità rarefatta, corde d’acciaio piegate all’accordatura aperta, paesaggi sonici che ricordano maestri come John Martyn. Belle canzoni, che Ethan Johns grazie alle sue qualità sa adornare di suoni ed effetti da produttore di classe altissima.



Diversa invece la storia di questo giovanotto, Sam Outlaw, che è al suo esordio con l’album “Angeleno”. Cresciuto con un padre un po’ oppressivo, uomo dalla fede rigidamente impostata, non aveva il permesso di ascoltare la radio se non quando trasmetteva le antiche canzoni country. Crescendo però riesce lo stesso a scoprire quegli artisti che hanno rinnovato la tradizione, anche se il suo idolo rimane un grande nome del passato, George Jones.

Dopo aver cominciato una brillante carriera come pubblicitario, Sam però ha una profonda crisi esistenziale da cui esce convinto di una cosa soltanto: vuole scrivere canzoni e cantarle. Fortunati noi del risultato di questa crisi perché il suo esordio è uno dei migliori da molti anni a questa parte. Prodotto da leggendario Ry Cooder e dal figlio Joachim, è una splendida collezione di canzoni di country della California del sud, con George Jones, Gram Parsons e Hank Williams bene nel cuore. 

Ry Cooder, tornato per un momento ai suoi inizi carriera, quando suonava nei dischi di tantissimi artisti, da Arlo Guthrie agli Stones, ci mette il suo tocco chitarristico di classe sopraffina confezionando un disco di moderno country losangeleno (da cui il titolo) a metà tra sonorità latine e country purissimo dove fiati mariaci, una pedal steel deliziosa e intrecci di chitarre acustiche dipingono un paesaggio perfetto. Un disco destinato a mantenere viva la tradizione più vera e onesta di questa grande musica, in cui Sam Outlaw passa con facilità estrema da ballate affogate di malinconia a honky tonk music di classe. Prendendosi il lusso di ironizzare sul padre con la brillante Jesus Take The Wheel (And Drive Me to a Bar).