D’Annunzio definì Un Ballo “il più melodrammatico dei melodrammi”. Bernard Shaw lo accusava di possedere tutto ciò di cui Wagner aveva liberato il teatro. Ma si è detto anche che Un Ballo è il Tristano e Isotta o il Don Giovanni di Verdi. Tante sono state le parole spese sull’opera, così come i pareri e le letture nel corso degli anni, spesso diametralmente opposte tra loro. 



Ma al di là delle interpretazioni, Un Ballo rappresenta l’unico caso in cui Verdi accettò di rielaborare il libretto (ben riuscito) di un’opera che ancora era rappresentata sulle scene, ovvero quel Gustavo III in cinque atti, scritto da Scribe per Auber, e ispirato a un fatto realmente accaduto: la congiura e l’attentato contro il sovrano illuminato e filo francese Gustavo III di Svezia.,



Le ragioni della scelta di Verdi possono essere state le più varie: sicuramente la più semplice è l’urgente necessità di un testo. L’opera fu rappresentata per la prima volta al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio del 1859, anno molto importante anche per le vicende personali di Verdi: conobbe Cavour e sposò Giuseppina Strepponi, con la quale (scandalosamente!) conviveva da quattordici anni.

Ma prima del debutto l’opera passò attraverso numerose vicissitudini con la censura. La storia è quella di un marito che per vendetta e gelosia uccide il presunto rivale in amore (e suo amico), niente meno che il re di Svezia. Fin dall’inizio Verdi sapeva che rappresentare un regicidio non sarebbe mai stato permesso nella Napoli borbonica o nella Venezia o Milano austro-ungariche ed ancor meno nella Torino dei “bigotti” (almeno ufficialmente) Savoia.



Inizialmente intitolata Una vendetta in domino, l’opera fu considerata troppo “oltraggiosa” ai poteri costituiti dell’epoca. Fu così proposta alla più “tollerante” Roma, accordandosi però su modifiche parziali: Verdi trasferì l’azione nel Nordamerica del Seicento e Gustavo III  venne divenne il Governatore di una  Boston da caricatura. 

Non sono stati, quindi, Damiano Michieletto e Pierluigi Pizzi i primi a spostare l’azione di Un Ballo in America sotto il profilo temporale e spaziale. Michieletto, alla Scala ed al Teatro Comunale di Bologna, portò l’azione ai nostri giorni; Pizzi, a Piacenza e Macerata, ai giorni dell’assassinio di Kennedy a Dallas. L’idea fu di Giuseppe Gioacchino Belli, nella sua veste non di poeta ma di presidente della Commissione di Censura dello Stato Pontificio a metà Ottocento.
Secondo l’editore Ricordi, Belli era molto sensibile “all’idea di quel metallo” (un verso notissimo del rossiniano Barbiere di Siviglia) che lo stimolava a dare il meglio di sé. Suggerì lo spostamento di luogo e di epoca che permise a Verdi (e a Ricordi) di far debuttare l’opera a Roma nel marzo 1859 al Teatro Apollo a Tor di Nona (successivamente distrutto da un incendio; oggi una stele sul Lungotevere ricorda il luogo dove era stato eretto). Non che Belli intascasse volgari “bustarelle”, ma nella Roma del Papa Re gli alti burocrati avevano stipendi da fame che integravano con doni da fare aguzzare il cervello.

In effetti, il luogo dell’azione cambiò spesso: nel 1861 l’opera fu ambientata a Firenze. Lo stesso anno, in scena a Londra, fu ambientata a Napoli. Nelle rappresentazioni degli ultimi decenni è spesso restaurato l’ambiente storico di Stoccolma e di una Corte dove, anche a ragione di avere un Re proto-illuminista, il clima era più libertino che liberale (e non piaceva quindi ai tradizionalisti luterani). Pare che, nella realtà effettuale delle cose, Gustavo III fosse “libertino assai” (si direbbe a Napoli) e avesse orientamenti bisessuali (per questa ragione, nell’opera, il paggio Oscar è un soprano lirico di coloratura). Quindi, proprio l’antitesi della intelligentsia puritana a Palazzo

In Italia, prima di Michieletto, Pier Luigi Pizzi, in una versione presentata a Piacenza, Madrid, Palermo e Macerata, ha situato Un Ballo nella Dallas nei giorni dell’assissinio di Kennedy (22 novembre 1963). Negli Stati Uniti, per ragioni di economia, si è spesso alternata l’opera Willy Stark del 1981 di Carlside Floyd (ispirata al Governatore della Louisiana del romanzo e film di successo Tutti gli Uomini del Re) con Un Ballo al fine di utilizzare gli stessi costumi e le stesse scene; quindi, inserendo la vicenda in una campagna elettorale senza esclusione di colpi- daHouse of Cards Anni Cinquanta.

Nella coproduzione  con l’Opera di Malmö del verdiano Un Ballo in Maschera in scena a Roma l’azione è riportata nella Svezia de 1792. Il regista Leo Muscato e i suoi collaboratori (Federica Parolini per le scene Silvia Aymonimo per i costumi) hanno fatto questa scelta non solo perché la produzione è od in quanto in numerosi Paesi dell’Europa centrale e negli Stati Uniti si opta per l’ambientazione svedese ma anche per ragioni musicali. La struttura musicale di Un Ballo è un’abile fusione di due stili: il melodramma italiano ed il grand-opéra che Verdi aveva imitato in Les Vêpres Sicilienne. Del grand- opéra utilizza l’orchestrazione  complessa (sia le voci di coloratura non solo per il paggio Oscar ma anche per il tenore protagonista che impersona Gustavo III). Dal melodramma, il soprano drammatico (Amelia) ed il mezzosoprano-contralto (Ulrica). Molto efficace la scene ed i costumi di Muscato e della sua squadra-

La concertazione è affidata a Jesús López-Cobos il quale mette in risalto la ricchezza dell’orchestrazione, l’utilizzazione del contrappunto e dei ‘motivi conduttori’). Il coro, diretto da Roberto Gabbiani, ha un ruolo da protagonista ed interviene sapientemente nell’azione al primo ed al terzo atto.

Franceso Meli (più volte applaudito a scena aperta) è un maturo ed abile Riccardo: la sua ‘coloratura’ ed i suoi ‘legati’ sono  bellissimi per chiarezza, trasparenza e capacità di tenere a lungo note difficili – Oscar è Serena Gamberoni frizzante e piena di agilità non solo vocale ma anche scenica. Hui-Hue è un’Amelia altamente drammatica e Dolores Zaijick Ulrica – al passare degli anni, ha arricchito il proprio registro sino a scendere a livello da contralto. Simone Piazzola (Anckaström) è, come sempre un ottimo baritono verdiano. Pubblico entusiasta.