Poteva essere un piccolo musical sul lavoro oscuro del sogno nella nostra vita, ma l’autore ha voluto addentrarsi oltre il sogno per trovare un altro se stesso in altri sguardi, corpi e cuori.
Questi altri se stessi sono le vite che calcano oggi le strade del mondo occidentale, quel nostro mondo che ieri significava possesso e controllo e che oggi assume il diverso significato di responsabilità e abbandono di vecchie e illusorie certezze.
Il milanese Hamid Grandi lo ha voluto fare chiedendo al compagno d’avventura violoncellista Alessandro Santaniello (già presente nel precedente disco “Corde“) un passo oltre. La sottile complicità dell’esordio si è così trasformata in un contributo più deciso di sangue, anima e muscoli. Nasce così il progetto 21Uno e il disco “Sveglio all’Alba”. Grandi autore e chitarrista classico, Santaniello co-autore e rifinitore, Giovanni Rosina (alter ego artistico di Amelie) alla consolle a focalizzare in maniera pertinente le intenzioni sonore.
Un piccolo ma intenso musical su sogno, vite secondarie, emigrazioni e false illusioni di benessere chiedeva questo surplus di condivisione e da lì ha preso corpo e anima. Qui troviamo sogno e realtà in un’alleanza inedita e anomala.
Le coordinate riposanti del sogno aprono il disco con le note lievi e calde della title track, una dolce, arcana e profonda overture che evoca le sonate per violoncello di Bach sul tappeto acustico e il recitativo di Grandi.
Chi è il sognatore sveglio all’alba di cui si parla? Un idealista? Forse, ma con un nuovo senso che questi tempi esigono. Lo si scopre con quel coraggio che richiede un disco che è l’esatto opposto del prodotto di facile fruizione o di buone sensazioni.
E’ una direzione che si svela in una canzone come Alcatraz dove si narra la storia di un ex detenuto di lungo periodo rimasto senza luoghi e affetti, come in certi caratteri del film “Le Ali della Libertà”. Una musica che restituisce le angustie di un cielo troppo stretto, quasi compresso, con cello e chitarra che disegnano una trama simile a un ronzio persecutorio. Una voce che agonizza come schiacciata da sbarre e mura di un cielo aperto senza orizzonte.
E’ l’umore prevalente del disco. Il giusto peso delle cose, con un piccolo e agile rondò da cantastorie regala un attimo di cantabilità e nostalgia ma con Croce di pietra si torna in trincea. Lo stacco è ora sulla miseria quotidiana dei rapporti di forza nel mondo occidentale.
La musica è una scia dolorosa dall’incipit quasi settecentesco, che riprende quasi subito un senso di agonia. C’è un cenno convinto di melodia nel refrain ma la sensazione è quella dell’ alveare sonoro che si ripropone in Ovunque tu sia, quasi un gesto di preghiera comune decisa da uomini di buona volontà di due tradizioni e storie differenti. La litania è sempre dolente con una musica che ad un certo punto sembra arrestarsi con un senso di impotenza.
Ruggine è in un certo senso seguito di quella preghiera dove l’obiettivo è puntato sulla ricerca faticosa di un unisono umano, un pezzo di strada insieme per andare a fondo autenticamente delle proprie identità senza maschere. In un susseguirsi di ritratti crudi senza alcuna concessione alla facile lusinga melodica, si possono incontrare le vite derelitte e sparite di Oasi di sole, lo sfruttatore marittimo di Caronte fino a un prontuario dei due differenti modi di approcciare la realtà del mondo di oggi.
E’ l’ Arrivati fino a qui dell’aut-aut “o bisognosi o annoiati”. Le furtive pennate barocche di Santaniello sembrano sottolineare una vena quasi canzonatoria.
Ma la poetica del duo va un passo oltre e tenta l’accesso ai pensieri più segreti per raccogliere briciole di umanità. Così almeno sembra emergere fugacemente da Di notte: misteriosa ma con l’incombenza di un imminente agguato, quasi una cronaca impietosa della terribile formazione di una mentalità in fondo ecumenica, uccidere l’altro perché trionfi il bene (in fondo anche il suo).
E’ un po’ l’altra faccia della medaglia di Quand’è miracolo, episodio conclusivo del disco d’esordio. Potrà far capolino nello spazio estremo della scelta umana un imprevisto sussulto di bene?