Giovanna d’Arco è la seconda opera presentata a Parma nel quadro del Festival Verdi dedicato all’interazione tra il compositore e Schiller. Non è, però, stata allestita al Teatro Regio ma al Teatro Farnese, struttura costruita per essere destinata a feste di Palazzo con una serie di ‘gradoni’ che si affacciano su una vasta platea da utilizzare per giochi equestri ed anche battaglie navali. In effetti, non è mai stata destinata a questi scopi. Semidistrutta la vasta struttura è servita un paio di volte per concerti ed alcuni anni fa il Festival Verdi vi propose Falstaff con un semplice allestimento scenico di tele dipinte.
Giovanna d’Arco è opera molto amata da Riccardo Chailly il quale, dopo decenni di oblio la ripropose a Bologna nel 1989. E’ stata poi ripresa al festival verdiano di Parma nel 2008 con Bartoletti sul podio e la regia di Gabriele Lavia, nonché al festival estivo di Valle d’Itria. L’anno scorso ha inaugurato la stagione della Scala con un cast d’eccezione; oltre a Chailly sul podio, Anna Netrebko, Francesco Meli e David Cecconi, nonché soprattutto la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier, le scene di Christian Fenouillat ed i costumi Agostino Cavalca. In effetti, rispetto ai lavori verdiani che la precedono (Nabucco e I Lombardi alla Prima Crociata) è sempre stata poco apprezzata.
E‘, sotto molti aspetti, un passo indietro nell’evoluzione del compositore, anche se qua e là si percepiscono i germi di capolavori futuri. Noto un saggio di Massimo Mila (uno dei maggiori studiosi di Verdi) che la faceva letteralmente a pezzi.
Giovanna d’Arco è tratta da una tragedia di Friederich Schiller, Jungfrau von Orléans, del 1801. Si era ben lontani da una lettura mistico-religiosa della vicenda della fanciulla diventata condottiera nella fase finale della Guerra dei Cent’Anni. Nel lavoro del poeta e drammaturgo tedesco, l’interpretazione è, da un lato, nazional-popolare e da un altro liberal-libertaria.
La Pulzella è combattuta tra la missione di dare unità nazionale alla Francia e la propria natura umana. Nel libretto di Temistocle Solera, la tragedia di Schiller è sintetizzata (i personaggi diminuiscono da 27 a 5, di cui due meri comprimari) e la vicenda è ridotta ad un fatto di passione amorosa (per il Re di Francia) e di risorgimento nazionale. Nata per essere un “colossal” (come Nabucco e I Lombardi) con grandi tableaux storici e parate militari, la Pulzella d’Orléans che non era stata ancora canonizzata (ciò avvenne all’inizio del Novecento) poteva essere presa, in quegli anni, per un’Anita Garibaldi anzi tempo. Giovanna d’Arco era stata argomento di opere di Michele Carafa, Nicola Vaccai, Giovanni Pacini, tutte più o meno basate su Schiller ed in chiave risorgimentale.
In effetti, oltre al nesso Verdi-Schiller, l’opera viene proposta perché Saskia Boddeke e Peter Greenway si sono letteralmente innamorati del Teatro Farnese. Vent’anni fa, proposero un film ambientato nella grandiosa struttura. Ora propongono un videomappig che riveste tutto lo spazio, capovolgendone la disposizione della scena e della platea. All’ingresso del Farnese, viene posto un palcoscenico circolare con accanto l’orchestra proprio davanti alla gradinata che diventa così l’elemento di base dello scenario.
Il pubblico è in un ampio declivio che termina di fronte al palcoscenico circolare abbracciato dalle gradinate e dagli archi. Come nell’edizione di Moshe Leiser e Patrice Caurier, la trama è vista come un sogno. Saskia Boddeke e Peter Greenway fanno grande uso di proiezioni : da gallerie di quadri rinascimentali a foreste. Inoltre, Giovanna è affiancata da due ballerine che rappresentano il suo intimo contrasto: una è guerriera e l’altra bambina. Uno spettacolo quando mai insolito, anche perché il Teatro Farnese ha un’acustica secca più adatto forse a musica contemporanea ed elettroacustica. Non per nulla, in maggio vi verrà eseguito Prometeo, tragedia dell’ascolto di Luigi Nono.
In Giovanna D’Arco, la scrittura musicale e vocale di Verdi è diseguale. Nella prima parte, eccellono l’ouverture (una vera e propria breve sinfonia in quattro movimenti), la ‘cavatina’ di Giovanna ed il duetto d’amore tra la protagonista e Carlo VII. Il resto è frammentario e la stessa figura del padre non assume una forte connotazione. Più coesa la seconda parte, dal concertato iniziale alla dolente conclusione con la morte di Giovanna. L’orchestra I Virtuosi Italiana si è ben cimentata nonostante l’ìmpervia acustica. Buoni il tenore (Luciano Ganci) ed il baritono (Vittorio Vitelli) Poco adatta alla parte il giovane soprano coreano Vittoria Yeo, un soprano lirico mentre il ruolo della protagonista è stato scritto da Verdi per un soprano “anfibio” Erminia Frezzolini, (ossia con una vocalità molto estesa) e per lei sono composte le pagine più belle, pagine . Efficace il coro diretto da Martino Faggiani.