“Made in Italy”, l’atteso ventesimo disco, ed undicesimo di inediti, della carriera di Ligabue, è uscito ieri. «È una dichiarazione d’amore “frustrato” verso il mio Paese, raccontata attraverso la storia di un personaggio – afferma Luciano Ligabue – Si tratta di un vero e proprio Concept Album, il mio primo, ma comunque composto da canzoni. Canzoni che godono di una vita propria e che in quel contesto, tutte insieme, raccontano la storia di Riko, un anti-eroe».
Incontriamo per l’occasione Luciano Ligabue nel suo studio di Correggio, per farci raccontare questo suo nuovo lavoro.
“Made in Italy” è il tuo nuovo album. Un Concept Album. Come nasce l’idea e qual è l’impulso che lo ha caratterizzato?
Non sono partito dicendo adesso lo scrivo. Il tutto è nato attraverso l’esperienza con i concerti di “Giro del Mondo”. Dopo l’euforia nel avere il miglior giocattolo che si possa avere a disposizione, cioè suonare e girare il mondo facendo anche il turista, ho sentito nostalgia di casa. Dell’Italia e dei suoi difetti. Nel frattempo mi dicevo “ma guarda un po’ come funziona Tokyo, Shangai, Sydney e come non funziona casa nostra”. Poi ogni sera andavo su di un palco e trovavo un sacco d’italiani e mi chiedevo “sono qui per scelta o perché sono stati costretti? E quanta nostalgia provano per il nostro paese?” Poi suoniamo al mitico “Whisky a Go Go” in America, un tempio della musica. Il giorno dopo, registriamo nello studio dei Foo Fighters “Non ho che te”. In quella occasione si é creata una sorta di frizione emotiva in me. Guarda caso nella canzone parlo per la prima volta del personaggio in prima persona… mai successo in passato. Una persona che viene licenziata e che in qualche modo vive una crisi d’identità, un momento in cui ha bisogno di capire chi é, cosa succederà della sua vita. Poi rientriamo, facciamo Campo Volo per festeggiare i 25 anni di carriera e si spengono le luci. E li nel buio dei miei pomeriggi, a casa, viene fuori questa esigenza. Ho iniziato a giocare pensando “se fosse stata la vita che avrei vissuto se non avessi trovato qualcuno che mi avesse pagato di tasca sua il primo album? Oppure un mio alter ego? Oppure è la mia vita parallela che sta scorrendo in qualche altra parte dell’universo, oppure é una parte di me. Chi se ne frega. Mandiamo avanti lui.” Ed ho iniziato a dire cose che volevo dire, facendole dire a Riko, il personaggio della storia, che spesso é più incazzato di me, più diretto. A quel punto mi sono sentito completamente libero di giocare anche con i generi musicali. Il Soul, il Rhythm & Blues, il Reagge. A quel punto mi sono ritrovato questo giocattolo e le canzoni sono arrivate così, una dietro all’altra con estrema semplicità. Non stavo di certo pensando ad un nuovo album. Ecco! Ho sentito l’esigenza di raccontare il mio sentimento nei confronti di questo paese.
La copertina è un’insieme di immagini e colori e ricorda le copertine di grandi dischi del passato. Un vero e proprio collage. Come nasce?
Ho da diverso tempo, per le copertine dei miei dischi, alcune regole. La prima, mai la mia faccia in copertina. La seconda, o una immagine o tante immagini insieme. E poi che sia elaborata. Ho ancora l’illusione che chi compra il disco faccia come facevo io a 15 anni: non solo affezionarsi ad una canzone, ma anche interagire con la parte grafica del disco. La copertina é disseminata di indizi, anche enigmatici, su cui alcuni fan già iniziato ad elaborare le loro teorie ed ha scoprirne le logiche. Questa é quella parte che a me piace che rimanga. Di gioco e di mistero.
Noi siamo cresciuti con la dicotomia che “pubblico” e “privato” non potessero convivere, un po’ come il diavolo e l’acqua santa. Mi sembra invece che nel personaggio di Riko vi sia un’unione dei due aspetti molto forte. E’ così?
Certo! Per me il nocciolo dell’album é privato. Nella mia testa ho seguito il personaggio. Per esempio, il personaggio preferisce la disillusione cocente nel vedere che le cose sono andate nella direzione opposta rispetto a quelle che sperava ma comunque, avere avuto quel sogno ed averci potuto credere. Il prezzo della disillusione é un buon prezzo per averci creduto così tanto. Comunque Riko é anche il diminutivo di Riccardo che, guarda caso é il mio secondo nome. Quindi come vedi é chiaro anche questo ”giochino” facilmente svelato. Sono ancora un idealista e spero ancora che con la musica ci si possa confrontare con se stessi.
Quindi anche Luciano come Riko, ha il suo venerdì sera?
Guarda! Da trenta/trentacinque anni frequento un gruppo di amici e per poterci frequentare abbiamo affittato una casa. Li abbiamo ricreato la nostra idea di bar. C’è il biliardo, il calcio balillla, i tavoli per le cene e quelli per le partite a carte. Siccome buona parte di loro sono operai, contadini, impiegati ed anche imprenditori, potete immaginarvi le lunghissime discussioni sulle trattenute, sugli spostamenti delle pensioni, sull’ingiustizia fiscale, Un argomento che loro in qualche modo, più che chiunque altro, sentono. Quindi queste informazioni le ho di “prima mano“ raccontate da loro e vedo la loro vena sul collo. Come vedi questo é il mio venerdì sera. Certo meno spericolato di Riko, ma é il posto in cui rido di più in vita mia.
Nel disco ho notato che vi sono molti “rumori”. Da quello dei bambini, della strada a quello delle gocce che cadono. Che importanza hanno nella narrazione?
Ci piaceva! Giocando con l’idea di Concept Album, avere l’accompagnamento di rumori di vita era parte integrante. Un modo per entrare in questa vita, quella di Riko, quella che racconto. Tra l’altro sono rumori che abbiamo registrato fedelmente noi, a parte il corteo che non era chiaramente possibile da creare. Questo perché volevamo che tutto il disco fosse registrato e nulla creato al computer. Come tutti i suoni dell’album, ogni suono é stato suonato da un musicista e non creato artificialmente.
In alcune canzoni dell’album ci sono degli sguardi, concedimi, cattivi rispetto al mondo: chi perde il lavoro, meno male a lui e non a me. Insomma un po’ cacciatori o cacciati, come dici in uno dei brani. Pero per sopravvivere bisogna cambiare. Qual è questo cambiamento? Che cambiamento possiamo fare noi?
Credo quello di una maggiore consapevolezza. Capire noi stessi ed il nostro posto nel mondo. Credo che il cambiamento di ognuno porterebbe a dei cambiamenti importanti in generale
Ma qual è la Giungla di Luciano Ligabue?
Personalmente sono uno che vive male il fatto che … si sanno le mie simpatie politiche. Si sa che sono cresciuto negli anni settanta e che ho creduto fino in fondo che la politica modellasse questo mondo in modo che avesse la capacita di essere equo, giusto. Cioè, in modo che gli ultimi avessero delle possibilità e che la forbice tra ultimi e primi non fosse aperta in maniera orribile. Questo in sintesi. Ovviamente molte promesse di quella politica sono state disattese. Io non ho gli strumenti e tanto meno la voglia di capire più di tanto le colpe. Vedo il mondo per com’è. Quella forbice si é allargata tantissimo e quindi per me sapere che il sistema bancario, soprattutto il sistema dell’altissima finanza, e che la maggior parte della ricchezza del mondo sia in mano ad una parte esigua di persone e l’indigenza sia cosi diffusa, e ovviamente per me motivo di fallimento non solo di un sogno, ma di una civiltà. Dopo di che questa é un’opinione normale ed anche facilmente condivisibile e quindi “G come Giungla” é comunque anche il mio pensiero, anche se Riko lo esprime da un punto di vista più incazzato.
Ascoltando questo nuovo disco mi é tornato in mente il tuo primo lavoro “Ligabue” in cui l’urgenza creò un disco con tanta energia e tanti singoli. E’ una sensazione calzante?
Mi piacerebbe. Nel senso che mi piacerebbe fosse così, poi non sono obbiettivo per fare questo. Diciamo che il primo album é stato un insieme di ingenuità artistica e colpi di culo. Poi un bravissimo Paolo Panigada, pace all’anima sua, ha gestito un suono che nel frattempo avevamo realizzato nella nostra sala prove. Questo ha fatto si che uscisse un disco grezzo ma con una sua identità, che é stata riconosciuta immediatamente. Ora non posso pensare di avere la stessa energia perché dopo tanti dischi non c’è l’incoscienza del primo lavoro, ma c’è comunque l’esperienza di venticinque anni di carriera. Pero c’è stato lo stesso impulso fortissimo, lasciando che le cose andassero da se. Certo un’energia diversa, ma altrettanto forte.
In che modo Luciano vive questo suo alter ego, visto che in fondo il sogno tanto sperato forse lo ha vissuto e realizzato?
Non rinuncio alla speranza. Questo album si chiude con un coro di bambini che dice “ci sarà quello che ci sarà. Si vedrà, certo che si vedrà”. Io sento di doverlo fare artisticamente. Cioè, sento in qualche modo di dover suggerire la speranza. Se ci pensi, in questo momento, é il sentimento più da sfigati che tu possa trovare mediamente in rete. Eppure uno é fatto com’è fatto. Io son fatto cosi ed in qualche modo preferisco passare o per ingenuo o come ti pare, ma io voglio trasferire quello. E questo non a caso chiude questo album. Una speranza, un altra realtà.
Qual è la morale di questo album “Made in Italy”?
Se stessi. La prima rivoluzione di cui ci dobbiamo occupare é quella con se stessi. Questa é un po la morale di questo disco. L’odissea che compie Riko é in quella direzione. E poi capire quanto il mondo esteriore e quello interiore contribuiscano alla nostra felicità o infelicità. Il personaggio cerca di darsi una risposta e nel suo piccolo si attiva. E proprio questo attivarsi fa si che qualcosa accada e che questo influisca in senso positivo al corso della vita. Un’azione che genera un cambiamento.