Il 2 dicembre 2016, al Teatro Marinskij di S. Pietroburgo sotto la direzione di Valerij Gergiev, è stato eseguito un pezzo inedito di Igor Stravinskij, a lungo considerato perduto, ma riaffiorato in modo inaspettato dagli archivi del teatro Marinskij. 

È una scoperta straordinaria. La composizione per orchestra, datata 1908, è un omaggio di Stravinskij al maestro da poco deceduto e presenta il titolo di Canto funebre. Partitura, che presenta affinità per il timbro strumentale e coloristico dell’orchestra con le composizioni degli anni immediatamente seguenti (L’oiseau de feu Petrushka), è un omaggio commosso e tutt’altro che “formale”. Come emerge anche dalle Cronache della mia vita (l’autobiografia tradotta in Italia da Feltrinelli), il rapporto fra il maestro Nikolaj e l’allievo Igor è una delle pagine più interessanti di tutto il ’900 musicale. 



È un rapporto che va al di là del puro apprendistato musicale. Stravinskij ha iniziato a prendere lezioni dal maestro in forma privata, nell’appartamento del professore situato in Zagorodnij Prospekta S. Pietroburgo. 

Dagli inizi del secolo XX fino alla scomparsa del maestro si è sviluppata una collaborazione straordinaria. Attraverso la rigida disciplina di Rimskij (così attento a una orchestrazione che non fosse solo sfoggio sentimentale e ornamento vuoto, ma rendesse la complessità delle sfumature poetiche di un brano) il giovane Igor si ricollega al mondo della Russia del XIX, esemplificato dal Gruppo dei cinque, di cui Rimskij era uno dei maggiori esponenti. Viene a conoscenza di una musica non intellettualistica, non filo occidentale, ma viva, nutrita dei canti popolo russo. Igor Stravinskij emerge dunque, con una sensibilità e una originalità del tutto personale, nell’alveo della cultura musicale russa popolare. 



Se consideriamo la genesi del pezzo, osserviamo che esso aggiunge un prezioso documento alla formazione musicale del compositore. Al momento della morte del professore, avvenuta nella notte tra il 7 e l’8 giugno 1908, Stravinskij si trova a Uslig in Ucraina. Scosso dalla notizia, prende il treno per recarsi alla celebrazione delle esequie a S. Pietroburgo. La composizione del Canto funebreavviene in un breve lasso di tempo. 

La prima esecuzione pubblica avviene il 17 febbraio 1909 al Conservatorio in un concerto diretto da Felix Blumenfeld. Dopo la prima esecuzione la partitura andò perduta. Il compositore, negli anni ’50, confessò a Robert Craft (l’amico direttore americano) l’eventualità che la partitura del pezzo risiedesse ancora nella biblioteca musicale del Conservatorio di S. Pietroburgo: “Sarebbe bello che qualcuno a Leningrado cercasse la partitura, sarebbe interessante vedere che cosa ho composto proprio prima dell’Uccello di fuoco”.  



Solo recentemente, al primo piano della biblioteca del conservatorio, in mezzo a fogli non catalogati, è emersa la partitura orchestrale completa. Natalia Braghinskaya, la musicologa che ha preso in carico l’esame della partitura per l’allestimento dell’edizione critica, dice che non ci sono motivi per dubitare della sua originalità.

Da un punto di vista musicale, il Canto bene la sensibilità espressiva del giovane Stravinskij. Le due anime presenti, sin dall’inizio, nel giovane genio russo sono qui evidenti: quella legata alla tradizione nazionale, religiosa, folkloristica e quella moderna, legata a una sensibilità armonica e ritmica del tutto eccezionale. IlCanto funebre è una elegia piuttosto scura e ieratica all’inizio – attraverso l’uso del tremolo dei contrabbassi e dei suoni cupi degli ottoni, che sembra ricordare per i timbri l’inizio dell’Uccello di fuoco –  che si risolve in un canto molto luminoso e ampio nella seconda parte. Il motivo melodico che si avvia nella seconda sezione del pezzo è un omaggio alla cantabilità di certe composizioni di Rimskij, soprattutto quando la melodia prende il sopravvento con il lirismo degli archi. Sembra quasi emergere un inno alla vita, che viene cantato poco a poco dalle varie sezioni dell’orchestra con varie e leggere variazioni armoniche. 

Un culmine in fortissimo, un vistoso crescendo, non sembra arrivare mai (anche se più volte sembra essere accennato). Non pare esserci a chi ascolta un punto culminante, un momento centrale. Nella logica del pezzo, forse, questo aspetto è una spia significativa. Nel ricordo del maestro non cerca tanto il pathos e desolato, nemmeno le armonie scintillanti. 

Tutto è contenuto in un omaggio che ha il sapore di un canto liturgico ripetuto, tipico nella tradizione russa, quasi ad accompagnare una processione. L’iterazione del motivo melodico e il dialogo continuo fra le diverse sonorità dell’orchestra costituiscono gli elementi più significativi. In ultimo, ha il sapore di un malinconico addio l’ultimo accordo di la minore, che ripercorre in modo quasi circolare la struttura del pezzo, richiamandosi all’atmosfera dell’inizio. In una sintesi finale le due anime convivono: il lirismo di Rimskij e il “magma” sonoro di Stravinskij; in altre parole, rivive il lascito del maestro nella fantasia dell’allievo. 

In un’occasione Stravinskij, parlando della sua professione di compositore, ha affermato: “Per poter creare ci deve essere una forza dinamica. E quale forza è più potente dell’amore?”.

È proprio in questo legame fra maestro e allievo il cuore del pezzo, la sua tensione dinamica. È bello ricordare un compositore, e il rapporto fra due grandi musicisti del passato, con un ritrovamento tanto bello quanto inaspettato. Ricordando che ogni genialità espressiva non nasce mai isolata, ma in un rapporto di amore, legato dalla comune passione per la bellezza.

 Così è stato per Stravinskij. Questo omaggio postumo restituisce un tributo anche alla genialità di un didatta come Rimskij Korsakov, che ha saputo trasmettere “artigianalmente” quanto ha imparato. In un epoca come la nostra, dove i geni stentano ad essere maestri, certe scoperte ci aiutano a ricordarlo.