Il 26 dicembre 2015 moriva Lemmy Kilmester, cantante e leader dei Motorhead. Si apriva così, anche se nessuno poteva immaginarlo, una scia di morti “illustri” nel mondo del rock e del pop che ha attraversato tutto il 2016 e ha avuto (speriamo) l’epilogo esattamente un anno dopo, la notte di Natale scorsa. Da Bowie, scomparso i primi di gennaio, passando per Glenn Frey degli Eagles a Greg Lake e Keith Emerson (questi due appartenenti pure alla stessa band, gli EL&Palmer) a Leonard Cohen e altri ancora, muore adesso a soli 53 anni George Michael.
Un anno di lutti “pesanti” che se da una parte ha visto la scomparsa di personaggi che avevano una certa età, lascia attoniti dalla giovinezza dell’ex cantante degli Wham, solo 53 anni. Si parla al momento di un infarto, ma dietro le canzoni spensierate, l’immagine da copertina di riviste di moda, in realtà in molti avevano colto una sofferenza profonda, culminata negli ultimi anni con una serie di scandali ed eccessi. Dall’arresto nel 1998 in un bagno pubblico di Beverly Hills, dove aveva fatto proposte sessuali a un poliziotto, senza sapere che lo fosse, cosa che lo aveva costretto a fare coming out, rivelando che l’idolo di milioni di ragazze era gay, agli incidenti per guida sotto uso di stupefacenti (una volta era finito con la macchina dentro la vetrina di un negozio) e l’uso di alcolici. Dietro al bel volto e al fisico scultoreo, l’usuale maschera di sofferenza di chi non riesce a gestire il successo e la propria autentica identità. Non a caso dei suoi video si ricordano le ragazze mozzafiato, le e top model: se avesse messo degli uomini non avrebbe mai avuto lo stesso successo, l’ipocrisia tipica del mondo patinato di Mtv.
Ricoverato per cause mai chiarite, sembra una polmonite, pochi anni fa interrompendo un tour, per chi del mondo dello spettacolo conosceva qualcosa, era chiaro che c’era dietro a tutto questo qualcosa di più grave. Viveva quasi da recluso ormai, pochi concerti e pochi dischi. Fino alla morte la notte di Natale: ironico, per chi aveva composto e portato al successo uno dei brani natalizi più di successo della storia, la canzone Last Christmas, diventato un tormentone equamente odiato e amato.
Perché in sostanza George Michael era stato così: amato dal pubblico giovanile negli anni 80 quando era il cantante gli Wham, uno dei tanti gruppi dell’era facile e adolescenziale di quel decennio (ma anche il primo gruppo occidentale a esibirsi nella Cina comunista, probabilmente proprio perché gruppo musicale “innocuo” a livello di contenuti) e odiato da chi rimpiangeva il rock e la canzone “nobile” del decennio precedente, Michael era però un cantante di altissimo livello, e si sarebbe capito nel corso della carriera solista.
Capace di ridare dignità alla musica pop e soul più ricca di sfumature e di intensità, il duetto con Elton John nel brano di questi, Don’t let the sun goes down on me, durante il Live Aid a Wembley nel 1985 lo consacrò come performer autentico e purissimo.
In realtà solo cinque dischi a partire dal primo nel 1987, Faith, a dimostrazione di difficoltà avute da sempre. L’esordio è un disco dove viene esaltata ancora, sin dalla copertina, l’immagine del sex symbol, ma già il successivo Listen without prejudice vol. 1 dichiara sin dal titolo la volontà di essere preso sul serio come cantante e autore. Ma è il disco del 1996, Older, a dimostrare la sua valenza di artista, a partire dalla commovente Jesus to a child, dedicato a un amico musicista brasiliano morto di Aids, Anselmo Feleppa di cui si saprà anni dopo essere stato suo fidanzato. Il disco ha un successo enorme e lo consacra finalmente come artista non più giovanilistico, ma maturo, autore di un soul sofisticato e di spessore.
Dopo una raccolta di brani altrui nel 1999, Songs from the last century, un disco solo ancora, risalente ormai al 2004, Patience, se si esclude un live con l’accompagnamento di una orchestra, Symphonica del 2014, testimonianza dell’ultimo suo tour, una operazione ambiziosa e di gran classe.
Poi più niente. Già nel 2002 aveva annunciato di volersi ritirare dal mondo della musica, definito “una cultura giovanile e non un test di resistenza”.
Per chi lo conosceva da vicino, l’uso della marijuana era un tentativo di combattere una depressione sempre più forte. Anche un arresto per esersi rifiutato di fare il test etilico dopo un nuovo incidente, costato un mese di carcere.
Figura contraddittoria, simbolo dell’esaltazione yuppie degli anni 80 e dei 90, nei cui video dove donne bellissime appaiono come oggetti a disposizione della bellezza di Michael, all’introspezione e all’incapacità di gestire una fama troppo grande, a suo epitaffio restano le parole della sua canzone forse più bella: “So che il Cielo ti ha mandato e il Cielo ti ha rubato, mi hai sorriso, come Gesù sorride a un bambino”.
Con George Michael si chiude un anno di lutti tremendi nel mondo della musica e si chiude un’epoca, quella dell’immagine, di Mtv, dell’ostentazione del look e della falsità a cui lui aveva sempre cercato di sfuggire, non riuscendoci mai del tutto. Probabilmente alla fine a ucciderlo è stata la troppa solitudine, quella di chi non ha trovato un punto su cui fissare il proprio cuore.