Con La Straniera, composta da Vincenzo Bellini a 28 anni su commissione del Teatro alla Scala, inizia, in gennaio, la stagione del Teatro Massimo Bellini, uno dei più bei teatri d’opera italiani, anche se recenti lavoro di restauro hanno avuto effetti deleteri su quella che era la sua magnifica acustica in cui lo spettatore si sentiva avvolto dalla musica.
E’ un ritorno che salutiamo con gioia in quanto è un’opera che viene rappresentata molto raramente, nonostante abbia avuto un notevole successo sino alla fine dell’Ottocento.
La complessa vicenda si svolge in quel clima romantico e misterioso del primo romanticismo, tanto caro alle platee dell’epoca. E’ un’opera densa di ispirazione lirica piuttosto che drammatica. In attesa di vederla su scena (non mancano dischi con interpreti come Renata Scotto, Monserrat Caballé ed Edita Gruberova), soffermiamoci su un’altra rarità belliniana Adelson e Salvini, opera che si vedrà a Catania nel Festival dedicato al compositore in settembre ma in un allestimento che avuto tre recite di anteprima al Teatro Pergolesi di Jesi.
Adelson e Salvini è un lavoro che l’allora ventitreenne Bellini, al termine del corso di composizione, mise in scena nel febbraio 1825, nel teatro del Real Collegio di Musica di Napoli. Dovette seguire le regole dell’istituzione: ad esempio, trattandosi di un collegio maschile, i ruoli femminili venivano interpretati da adolescenti (non da castrati) con registro simile a quello dei contralti.
L’opera, pur se concepita come un saggio di fine corso, ebbe un certo successo e si vide e Venezia, Firenze, Milano e qualche altra città – ogni volta veniva rimaneggiata, spesso da impresari. In una ‘seconda versione’ di cui non pare che Bellini ebbe mai contezza, è apparsa senza grande successo a Catania nel 1985 e nel 1992. Una svolta decisiva si è avuta con il ritrovamento di molte parti della versione originale nel Fondo Mascarello del conservatorio di Milano. Dopo anni di lavoro, viene presentata , secondo il filologo musicale Fabrizio Della Seta, una versione identica al 98% identica all’originale nel 1825.
Nella versione originale del 1825, pur nei vincoli e limiti di un saggio di conservatorio, il lavoro ha alcune caratteristiche di interesse. In primo luogo, è una rara opera italiana di quel periodo con parti dialogate (in luogo di recitativi), quindi ‘in stile francese’ con il ‘basso buffo’ che recita e canta in napoletano , nonostante la vicenda, tratta da un romanzo nella raccolta Les épreuves du sentiment François-Thomas Marie de Baculard d’Aurnaud (uno dei primi esempi del romanticismo ‘gotico’ d’oltralpe) si svolga tra le brume irlandesi. In secondo luogo, pur se si avvertono forti influenze rossiniane, ci sono anche spunti che sembrano originale da Schubert e dell’allora giovanissimo Mendelssohn- Bartholdy, segno che, nonostante le difficoltà logistiche, l’innovazione viaggiava e le partiture (specialmente di leader) viaggiavano, in carrozza o a cavallo, attraverso il continente.
Non ci sono presagi di quello che sarebbe stato il bel canto belliniano ma numerosi spunti del primo Romanticismo, periodo in cui l’opera andò in scena. I momenti musicalmente più alti sono i duetti tra baritono e tenore, che anticipano quelli de I Puritani
L’intreccio riguarda l’amicizia per la pelle di due giovani (un aristocratico britannico ed un pittore italiano). Dopo vicende da grand-guignol, interrotte da momenti di comic relief del basso buffo, tutto si risolve in uno spumeggiante lieto fine.
Ma andiamo allo spettacolo La regia (Roberto Recchia) e le scene (Benito Leonori) e costumi Catherine Buyse Diane), portano, con le luci di Alessandro Carletti, l’astrusa vicenda in un contesto decisamente di primo romanticismo che ben si adatta alla partitura. Molto belle le scene: dato che Salvini è un pittore, sono costruite su quadri che ricordano le tele paesaggistiche di Jean-Baptiste-Camille Corot
In buca, abbiamo José Miguel Pérez Sierra con l’orchestra sinfonica ‘G.Rossini’. L’orchestrazione è ruvida , come spesso avviene nelle ‘opere prime’ (solo nei suoi ultimi lavori, Bellini diede rilievo a questo aspetto, non considerandolo più mero supporto alla voce). Un cast giovane in cui brillano il tenore (Mertu Sungu, nel ruolo di Salvini) e il baritono Radion Pogossov (in quello di Adelson).
Ha grande potenziale Cecilia Molinari, l’orfana Nelly contesa tra i due. Una lode speciale merita Sungu che, celando al pubblico una forte influenza , ha cantato un ruolo con momenti davvero imperci. Di grande livello tutti gli altri, che vanno complimentati anche per l’abilità con cui, nelle parti dialogate, recitano in italiano.