IL 7 dicembre la stagione 2016-2017 del Teatro alla Scala è stata  inaugurata con la prima versione di Madama Butterfly,quella  ritirata dopo il fiasco del 17 febbraio 1904. E’ una Madama Butterfly che pochi conoscono. 

In effetti, l’edizione ‘di riferimento’ nel senso di quella più rappresentata non è neanche come molti ritengono quella rappresentata alcuni mesi dopo, con alcuni adattamenti (quale l’aria del tenore, intrisa di rimorso, Addio, fiorito asil  al terzo atto); trionfò al Teatro Grande di Brescia ma quella successiva predisposta per il Théâtre des Italiens a Parigi la sala della capitale francese dove le opere italiane venivano eseguite in lingua originale.



Non è questa la sede per ricostruire il travagliato percorso dall’atto unico di Belasco alle varie versioni dell’opera (sino a quella definitiva del 1906): un saggio di Mario Bortolotto  (non certo un pucciniano) di circa trent’anni fa lo fa con ricchezza di dettagli e riporta ampi stralci della versione 1904,  difficilmente trovabile ma il cui libretto è stato pubblicato in edizione anastatica in occasione di questa versione scaligera. 



Credo di essere uno dei pochi ad avere visto l’opera nella versione originale del 1904 in due occasioni; a Boston negli Anni Settanta ed alcuni anni fa al festival pucciniano di Torre del Lago (accostata, però, a quella del 1906 che viene messa in scena correntemente).

La parte musicale ha qualche  punto di differenza con la versione ‘di riferimento’ del 1906. Sono, per lo più, aspetti che interessano i musicologi. Le divergente maggiori riguardano il libretto e svelano un Puccini che pochi conoscono.  Pinkerton  sembra non solo un gaglioffo ma anche un razzista. Nonostante le autorità nipponiche, tramite la loro Ambasciata, abbiano fatto arrivare il loro assenso alla “tragedia” (si era rivolti a loro essenzialmente per dettagli tecnici su rituali e simili), le battute “comiche” escogitate per alleggerire “la tragedia” sono di questo tono: Nomi di scherzo o scherno. Io li chiamerei muso primo, secondo e terzo’……..’Capisco un Bonzo è un gonzo’…..’qua i tre musi. Servite/ragni e mosche candite/ nidi al giulebbe e quale/ è licor più indigesto/ e più nauseabonda liccornia della Nipponeria’



Si potrebbe continuare, Pinkerton, e Sharpless ,che non lo ferma in questa ondata di battute di gusto cattivo e razzista, si sentono chiaramente superiori agli asiatici (i parenti di Cio-Cio-San si buttano letteralmente sul banchetto). E la protagonista? E’ una prostituta bambina: sa che per lei Pinkerton ha pagato l’elevato cifra di 100 yen; quindi, deve fargli davvero piacere.

Siamo anche temporalmente vicini all’Italia di Tripoli bel suol d’amore! ma Pinkerton non ha una missione di civilizzazione (come credevano parte di coloro che navigavano verso la quarta sponda) e, al suicidio della “sposa giapponese” ed alla presa in affido del bambino, non prova nessun rimorso. Come  dette, l’aria  contrita Addio, fiorito asil venne aggiunta per la successiva edizione di Brescia.

In effetti, non so se Puccini fosse razzista, ma era un artista che amava l’ordine e non vedeva di buon occhio società differenti dalla sua. Ciò  spiega perché negli anni in cui si preparava quella che sarebbe stata la Prima Guerra Mondiale ed anche dopo lo scoppio del conflitto sarebbe stato favorevole, abbastanza apertamente agli Imperi Centrali. Ciò spiega ancor di più perché prese la tessera No 2 del Partito Nazionale Fascista in seguito a lungo incontro con Benito Mussolini a Palazzo Venezia.

La parte importante della edizione scaligera è come  Alvis Hermanis (regia), Riccardo Chailly (maestro concertatore) e gli interpreti tutti tratteranno la delicata materia.

Andiamo in primo luogo alla regia di Hermanis e come il suo ‘creative team’ hanno affrontato il problema. Più che al teatro Kabuki, come scritto da diversi giornali, Hermanis, Leila Fteita Kristine Jurjäne e Gleb Filshtinki , Alla Sigalova, Ineta Sipunova (scene, costumi, luci, coreografia, video) hanno come riferimento le giapponeserie del periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. 

E’ una soluzione eccellente in quanto mostrando il Giappone ‘dalla parte degli europei’ si giapponese’ appare in una lettura quasi surreale, come vista dall’esterno, da un esterno in cui si è affascinati dal Giappone ma non se ne comprende bene il lato più importante e più intimo. E’un lettura coerente in quanto Puccini, a sua volta, si basava un atto unico (all’epoca molto di moda) dell’americano David Belasco (che conosceva il Giappone di maniera) e sul libretto dei Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, due mestieranti della professione.  L’impatto visivo e senza dubbio straordinario.

La bacchetta di Riccardo Chailly pone anch’essa la ‘tragedia giapponese’ nel clima musicale dell’epoca: si sta affilando la ‘seconda scuola di Vienna’, Strauss, con Elektra Salome , sta rivoluzionando la ‘scrittura musicale (non dimentichiamo che Puccini si considerava culturalmente vicino agli ‘Imperi Centrali) ed alla loro musica). Si avvertono echi straussiani nelle dissonanza, nella mancanza di veri e propri numeri musicali ‘all’italiana’ ( se si eccettua Un bel dì vedremo), nell’approccio alla ‘musica nuova’ guardando al di là delle Alpi.  

Eccellente Maria Josè Siri nel ruolo della protagonista. Perfetta nella emissione e davvero commovente nella seconda parte quando comprendere di essere stata beffata e che per il bene del figlio deve dare ciò a lei più prezioso alla ‘nuova’ moglie americana di Pinkerton.

Di grande esperienza lo Sharpless di Carlo Älvarez. Molte attese per l’americano Bryan Hymel, noto oltre oceano per le suo esperienza belcantiste; ci offre un Pinkerton piuttosto tradizionale. Di grande impatto, invece, Annalisa Stroppa nel ruolo struggente di Suzuki.

In breve un eccellente spettacolo che riscatta alcuni entusiasmanti Sant’Ambrogio scaligeri.