La prima rappresentazione italiana di Les Chevaliers de la Table Ronde di Hervé (pseudonimo di Louis Auguste Florimond Ronger) è lo spunto non solo per una recensione dello spettacolo ma anche per qualche considerazione sulle varie tipologie di operette nella seconda metà dell’ottocento e nei primi lustri dell’ottocento.
Les Chevaliers è stata presentata al Teatro Malibran nel quadro della stagione dalla Fondazione La Fenice. Un tempo era buona prassi a Venezia mettere in scena operette di qualità in coincidenza con il Carnevale. Questo Carnevale all’inizio di febbraio (Pasqua cade quest’anno il 27 marzo) è stato piovoso (specialmente il Martedì Grasso) e nebbioso. Inoltre, sette- otto anni di recessione si avvertono particolarmente in una città turistica come Venezia. C’è poca voglia di mettersi in maschera e di divertirsi. In questo quadro, Les Chevaliers di Hervé sono stati un tocco che ha rallegrato il Carnevale. Peccato che erano pochi, e per lo più stranieri, i giovani in sala. D’altronde, la serata era in abbonamento – una vera chicca nel ricco cartellone della stagione veneziana di opera e balletto. Ed in Italia (a differenza che in Germania e negli stessi Usa) i giovani non usano abbonarsi all’opera.
Les Chevaliers, pur classificata dall’autore come ‘opera buffa’, è un’operetta in cui sezioni parlate si intercalano con numeri musicali, balletti e veri e propri esercizi acrobatici. L’operetta francese si distingue da quella austriaca (sentimentale e spesso con una forte melanconia per l’”Austria Felix” del passato od in procinto di sparire) e da quella britannica (ironica nei confronti della borghesia in generale, si pensi alla produzione di Gilbert and Sullivan). L’operetta francese ha una forte ed irriverente vis polemica nei confronti dei ‘poteri costituiti’. Anche la tardiva operetta italiana è prevalentemente sentimentale ma tranne un capolavoro pucciniano (La Rondine) ha avuto vita breve ed è praticamente sparita.
Les Chevaliers prende spunto dalle leggende bretoni e dal poema ariostesco per trarne una satira pungente del Secondo Impero. Tanto poco gradita da chi era al potere che, dopo un paio di altri lavori simili a questo, Hervé dovette varcare la Manica e lavorare alcuni anni a Londra.
Questa è la prima ripresa in tempi moderni . Richiede una quindicina di cantanti-attori (alcuni cantano poche note) che sappiano essere anche acrobati, ed un ensemble di dodici strumentisti. Di grande interesse l’organizzazione produttiva. L’iniziativa parte da una fondazione privata di origine svizzera con sede a Venezia (il Centre de Musique Romantique Française) che ha organizzato una rete di una ventina di teatri che, nell’arco di due stagioni, ne metterà in scena ben settanta repliche tra Francia, Italia, Belgio e Paesi Bassi. Il management de La Fenice ha il merito di avere colto questa opportunità. Tra l’altro lo spettacolo è a bassissimo costo: dovrebbe fare gola all’Accademia Filarmonica Romana ed ai circuiti dei teatri di tradizione ed allo stesso Teatro dell’Opera per una sala piccola come quella nel ‘Nazionale’.
In Les Chevalier, oltre alla satira politica (dal programma di sala e dalle gag si evince che si riferisce anche alla leadership della Francia odierna, non solo a quella del Secondo Impero), c’è una buona dose di ironia e parodia musicale. Siamo nel 1866 quando Verdi e Gounod erano i beniamini del pubblico dell’Opéra. Con una grande varietà di cambiamenti di tono, Hervé prende in giro principalmente il melodramma verdiano con un paio di arie ed un concertato che mostrano i lavori di Verdi attraverso un gioco di specchi deformanti.
Non penso sia utile riassumere l’intricatissimo, e complicatissimo intrigo presentato non in tre atti (come originalmente concepito) ma in un atto unico di poco più di due ore proprio al fine di dare all’azione un passo veloce, quasi concitato. Purtroppo, anche con sovratitoli, se non si ha una conoscenza perfetta del francese è impossibile apprezzare i numerosissimi giochi di parole del testo. Ottima la giovane compagnia (Les Brigants): eccellono due voci femminili (Ingrid Perruche e Chantal Santon-Jeffery). Spigliata la regia di Pierre-André Weitz, autore anche di scene e costumi. Vivace la direzione d’orchestra di Christophe Grapperon.
Il pubblico ha riso a crepapelle , applaudito e corso ad acquistare il CD con i dieci maggiori numeri musicali.