Norma di Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani, non è solamente uno dei più impervi lavori del ‘belcanto’ ma anche opera difficile a cui dare un’ambientazione. Gianandrea Gavazzeni ha più volte sostenuto ‘l’ambivalenza neoclassica romantica’ del capolavoro belliniano così come era il lavoro teatrale. Norma o l’infanticidio di Alexandre Soumet andato in scena con grande successo a Parigi nel 1831, Soumet, poeta ed accademico di Francia allora molto apprezzato ma oggi noto solamente per avere ispirato Bellini, si poneva come ‘pontiere’ tra il neoclassicismo, allora in declino, e l’emergente romanticismo.
A mia memoria, la sola produzione recente in cui si cercava di cogliere ‘l’ambivalenza neoclassica romantica’ è quella messa in scena dal Massimo Bellini di Catania nella primavera 2007 con la regia di Walter Pagliaro, le scene e i costumi di Alberto Verso, Giuliano Carrella sul podio e Dimitra Theodossiou, Carlos Ventre; Nidia Palacios; Riccardo Zanellato nei ruoli principali. Una produzione che il Massimo Bellini ha portato anche in Giappone.
Da allora, ho visto ed ascoltato allestimenti più diversi ma tutti lontani dalla l’ambivalenza neoclassica romantica. Nell’estate 200, allo Sferisterio di Macerata, Massimo Gasperon spostò l’azione di Norma dalle foreste del “De Bello Gallico” (quale potesse essere immaginato nel 1830 o giù di lì) al Tibet, occupato dai cinesi. In produzioni recenti, la vicenda è stata spostata alla guerra partigiana negli ultimi anni della seconda guerra mondiale: si pensi a quella di Jossi Wieler e Sergio Morabito giunta a Palermo nel 2014 dopo essere stata vista in vari teatri che ha ottenuto l’Oscar della critica musicale tedesca e ha ispirato la messa in scena di Moshe Leiser e Patrice Caurier, con Cecilia Bartoli. Allestimento che a sua volta ha avuto l’Oscar internazionale della lirica nel 2013 e che per tre anni ha fatto il “tutto esaurito” al Festival di Salisburgo. Due produzioni di tutto rilievo ma che non puntavano sull’ambivalenza tra neoclassicismo e romanticismo, o meglio sulla transizione da un stile ad un altro.
Nella edizione di Norma andata in scena domenica 21 febbraio al Teatro San Carlo di Napoli (una ‘prima’ alle 17 del pomeriggio) strapieno in ogni ordine di posti , ritroviamo e l’ambientazione originale e l’ambivalenza, o meglio la transizione, tra neo-classicismo e romanticismo . Ma non siamo in una Gallia di templi cadenti ed atri muscosi.
Siamo nel mondo ‘fantasy’ de Il Signore degli Anelli o Il Trono di Spade. Questa concezione del team drammaturgico (Lorenzo Amato, regia; Ezio Frigerio, scene ed immagini, Francia Squarciapino, costumi) può sembrare insolita ma fa risaltare un dramma quasi familiare (tipico del romanticismo) tra figlia, padre, marito ed (ultima) amante di quest’ultimo in un contesto ispirato a certa pittura della transizione tra neo classicismo e romanticismo (ad esempio,Corot). Data le tecnologia di cui oggi si dispone non mancano gli effetti speciali, principalmente il ‘coup de théätre’ della pira finale le cui fiamme invadono tutto il palcoscenico e minacciano di mettere a fuoco anche la platea. Ciò ha incantato il pubblico.
Occorre sottolineare che il San Carlo non si è risparmiato per riportare a Napoli questo capolavoro. Non solo la drammaturgia, scenografia e costumi sono stati affidati ad uno dei migliori registi di mezza su piazza, ad uno scenografo pluridecorato per i suoi lavori teatrali, lirici e cinematografici, ed ad un Premio Oscar, ma il cast è stato scelto accuratezza.
Spesso l’opera viene affidata ad un maestro concertatore di secondo piano nella convinzione che la partitura è intesa principalmente a servire il canto. Ci si dimentica che l’orchestrazione è tanto ricca e complessa che Richard Wagner la considerava un modello per quelli che sarebbero stati i suoi muskidrama E’ stato chiamato l’ottuagenario Nello Santi – da decenni trasferitosi a Zurigo e raramente in Italia. Santi legge la partitura come una ‘tragedia lirica’, densa di una vasta gamma di tinte e di colori e mette in rilievo il sinfonismo continuo tra recitativi, arie e terzetti (davvero innovativo quello con cui si chiude il primo atto, nella prassi dell’epoca un concertato, ma in Norma si sentono solamente lontani accenni del coro).
Grazie attesa per Mariella Devia che ha già affrontata l’impervio, ma lo ripropone a ruolo a 68 anni. Non ha perso nulla della freschezza che aveva quando, negli anni settanta, iniziava la carriera: bellissimo il timbro, splenditi la linea vocale, il legato ed il controllo del fiato, morbidi gli acuti e perfetta la padronanza della coloratura. Splendida la Adalgisa di Laura Polverelli in grado di scendere a profondi registe gravi. Il romeno Stefan Pop (Pollione ) ho sostituito Luciano Ganci, ammalato; anche se il giovane Pop è essenzialmente un donizettiano . il ruolo che canta con maggiore frequenza è quello di Nemorino nello Elisir d’Amore, quindi uso ad un canto morbido ed a coloratura, ha affrontato il ruolo come un tenore spinto verdiano, una tradizione interpretativa che ha invalso per cinquant’anni (ricordiamo Franco Corelli in due con Maria Callas), ma poco filologica. Buono l’Oroveso di Carlo Colombara. Ottimo il coro. Applausi a scena aperta per tutti. Ed un vero tripudio alla fine.
Questo allestimento merita un dvd od un cd.