Dopo la vittoria di Rocco Hunt e la partecipazione di Moreno, tocca a un altro rapper di nuova generazione calcare il palco di Sanremo in gara: Clementino, napoletano specializzato in freestyle che però rispetto ai due artisti appena nominati ha una decina di anni in più e una formazione più dura e underground.
Il rapper si presenta con “Quando sono lontano”, brano scritto assieme a Stein e Scherer, brano malinconico che rivisita in abiti hip hop le classiche canzoni dell’emigrante inscritte nella tradizione meridionale di inizio ‘900. Il brano parla della lotta di Clementino come rapper e cantante – ma anche attore teatrale – per seguire la propria vocazione e realizzarsi, anche se questo comporta il dover abbandonare il proprio paese e la propria casa, oltre che gli amici e gli affetti.
Come da scuola hip hop, il rapper anche se è realizzato non è mai pacificato con il mondo e porta dentro sé i ricordi e le ferite di quelle lotte (“Il cuore dentro si era fatto qui come la pietra/A 15 anni una promessa che volevo questo e prendermi anche una cometa/Quante notti oscurate, nocche spaccate, note stonate, quanti dei nostri a fare le cose sbagliate”). La vera lotta innanzitutto, per un ragazzo di Avellino, è quella contro il proprio ambiente, contro un contesto che non lo capisce, forse non lo accetta (“C’è chi si è perso dietro un muro e chi va avanti per il suo, c’è chi ha la forza tutti i giorni e poi combatte il buio”) e quando ci si ritrova soli si deve affrontare la vita “senza le cure di mamma e papà”.
Ma poi, come da tradizione, affiora la nostalgia e la voglia di casa e di mare (“Circondato dal disordine, scappato come rondine, se guardo il mare fra’ mi sento un vortice/E quann stong luntan, ricordo qualche anno fa/Guagliun miez a na via, na luce ind’a sta città/E mo ca song emigrante, e voglio o ciel a’guardà/Penso ca’ si stat a primma, tu si tutt a vita mia”). Il brano mescola, come molti rapper partenopei, i temi tipici della comunità hip hop, come la fratellanza e l’auto-affermazione, con gli elementi tradizionali, per non dire folkloristici, della canzone napoletana: da una parte il bisogno degli amici per resistere (“Un amico mi chiamava e diceva frate’!!!/«Perché se cadrai io ti rialzerò/O mi sdraio qui vicino a te»”), dall’altra il tempo che passa e le disillusioni della vita (“Chi porta i figli a scuola tutti i giorni spera in un futuro migliore/E c’è chi guarda fuori e prega il Signore/Me lo lo riscrivo adesso con l’inchiostro sulla pelle/Di tutti quei ricordi come schiavi nelle celle”), ma su tutto il bisogno di casa e d’infanzia (“La storia di un musicante emigrante anima vagante/E guarda come cambia tutto quando sei distante”) che si condensa nel finale, con l’affermazione di non essere mai cambiati nonostante i viaggi, nonostante il successo
(“E mo ca song emigrante, e voglio o ciel a’guardà/Penso ca’ si stat a primma, tu si tutt a vita mia/Ma ce truov semp miez a via!!!”).
Un brano che può far breccia anche nell’ascoltatore meno avvezzo al rap, soprattutto se la parte musicale saprà accompagnare il sentore tradizionale e nostalgico che emerge dal testo, che non cerca innovazioni rispetto alle strutture liriche e ritmiche, ma che punta al cuore degli ascoltatori, soprattutto i meno giovani che sono la base del pubblico sanremese.