Anche se il vostro chroniqueur scrive soprattutto di lirica e di sinfonica , considera il jazz ed il blues ‘musica alta’ non solo a ragione dei tre lustri passati negli Usa ma anche in quanto cultore, ad esempio, del jazz di Šostakovic. Anche per questo motivo è andato ad una sessione blues al Quirinetta di Roma nell’ambito di un programma musicale intitolato “Dal barocco al jazz”.
Per chi non è romano, e per le generazioni più giovani,il Quirinetta significa forse poco; non sanno che si era pensato di trasformare in locale da fast food una delle più eleganti piccole sale del centro storico.
La storia del Teatro Cinema Quirinetta comincia con la trasformazione dei palazzi Sciarra alla fine del XIX secolo, «trasformazioni innescate dalle nuove ipotesi urbanistiche sul tessuto tra Fontana di Trevi e il Corso dai primi piani per Roma Capitale».
Il Principe Maffeo Sciarra si impegnò in un piano di riorganizzazione dell’intero isolato tra via delle Vergini, via dell’Umiltà, via delle Muratte e via del Corso. La prima concreta conseguenza che riguarda il nostro argomento fu la costruzione del Teatro Quirino nel 1871 (sala e palcoscenico completamente in legno); in seguito, nel 1882, il Quirino fu ricostruito su progetto dell’architetto De Angelis, al quale si deve «l’orchestrazione del tono architettonico e urbano dell’intero complesso». Il Quirinetta di Piacentini è stato ‘modernizzato’ con un bar in fondo alla sala ed eliminando il delizioso palchetto, nonché ridipingendo il tutto.
In questo contesto domenica 6 marzo si è inserito un concerto della blues band di John Papa Boogie nel quadro di una tournée in varie città italiana. La John Papa Boogie Band «enigmatica e misteriosa blues band di caratura europea» ha suonato e cantato per due ore di musica all’insegna del loro suono firmato da Gianni Frasi, la Voce “nera” del blues italiano ispirato a quello haitiano. Pubblico affezionato anche se scarso; cantava e danzava all’unisono con la banda.
Il “Blues de l’Haitienne” è un concerto celebrativo che dedica e devolve ad Haiti parte dell’incasso della John Papa Boogie.
“Blues de l’Haitienne” nasce da un’idea ispirata di Gianni Frasi, che è stato per anni ad Haiti. Una “visione”, che Frasi afferma di dovere a quella terra e al suo popolo, il manifestarsi della sacralità e della radicalità del segno musicale. I musicisti che accompagnano Frasi hanno aderito a questa “visione” in nome dello Spirito che gli dà Vita. Il suono, il sentimento di passione, il grido, il Mistero, sono tutti nell’emozione dei loro concerti in Italia e in Europa.
Il recente microsolco della John Papa Boogie, “Triduo”, è stato presentato con ottimo riscontro alla 55esima Biennale di Venezia e con un concerto a Londra all’Electric Lane di Market Row a Brixton, è il riflesso su vinile di questo grido mistico. Accanto a Gianni Frasi, ci sono Antonio Piacentini e Leonardo Zago alle chitarre, Gianmaria Tonin alla batteria, Marco Bosco al basso, Giorgio Peggiani all’armonica, Simone Bistaffa al piano, organo e chitarra.
Ricordiamo che la band si era costituita, quasi per scherzo, all’inizio del 1985, per esaudire un grande desiderio del “giovane” Gianni Frasi che fin da adolescente portava segretamente con sé la passione per il canto e una sconfinata attrazione per la musica nera dei grandi padri del blues (Robert Johnson, Elmore James, Muddy Waters, Albert King e Freddy King). In quella prima formazione faceva parte anche il chitarrista Antonio Piacentini: l’incontro tra i due fu determinante, nacque subito un sodalizio artistico e ininterrotto
Poche parole sul merito. In primo luogo, l’originale è sempre meglio della copia: lo ricordammo raffrontando l’estate scorsa quel capolavoro che Il Cimarron di Hans Werner Henze al festival chigiano a Siena (dove il protagonista era un italiano truccato da cubano) con l’edizione di alcuni anni fa al Lauro Rossi di Macerata dove il protagonista era un baritono caraibico In secondo luogo, difficile capire perché, a quel che si riusciva a comprendere, si cantasse in inglese (e neanche in un inglese caraibico come quello di Barbados e Giamaica) dato che ad Haiti si parla e canta in un créol di stampo francese. In terzo luogo, in un piccolo ambiente ‘liberty’ non c’è bisogno di amplificazione; tanto meno di amplificazione da stadio. Infine, non è stato messo a disposizione del pubblico neanche un programma elencando i blues della serata.