All’Enrico Ruggeri dell’anno passato non è bastato ricongiungersi con la sua parte più intima e confessoria. Quel suo essere scrittore e interprete, investigatore e narratore di spaccati di vita propri e altrui in stretta simbiosi, implorava conferma e verità nel paesaggio umano attuale, nell’ipotesi uomo-vita-destino all’interno dello scenario delineatosi dopo quel frangente, in soli dieci mesi (tanti ne sono trascorsi ad oggi dall’album “Pezzi di Vita”).
Riletta nel contesto attuale, la sortita dello scorso anno era solo il preambolo per una ripresa immediata delle ostilità personali. Raccolti e decifrati quei quadri esistenziali non rimaneva che andare ad esplorare un qualcosa di sé e del mondo che andava ancora raccontato e chiarito. “Un Viaggio Incredibile” intende farsene carico.
Il personale slancio, il senso innato per scoperte e curiosità trova nutrimento e vigore proprio in quel continuo alternarsi di slancio personale e contraddizioni del vissuto. L’impronta è quella di un memoriale che rilancia l’autore – a livello di racconto – sulle potenti coordinate riflessive de “La Parola ai Testimoni”. In questa veste il nostro calca per la decima volta da partecipante il palco di Sanremo dopo averne – ironicamente – fatto parte lo scorso anno con la bellissima Tre Signori, canzone simbolo della rinascita artistica.
L’impatto de Il primo amore non si scorda mai su quel palco conferma il senso e l’intimo entusiasmo di una seconda venuta. Musicalmente ne è anzi la conseguenza, c’è la forza dell’instant classic nel suo cavalcare tra rock, vocalità declamatoria e schizzi di art e psichedelia. È come trovarsi di fronte a un jukebox virtuale dell’abilità ruggeriana nel destreggiarsi tra le varie revisioni della mistica seventies. Forte di questa partenza sparata la quaterna iniziale del disco si snoda con particolare vitalità ed efficacia. Il volo su Vienna è un’aria che grandeggia per melodia e tiro ritmico, mentre La linea di meta unisce sentori battaglieri e novella metropolitana grazie alla mescolanza del canto con il recitativo di Francesco Pannofino.
Con La badante Ruggeri centra l’affresco epico dell’eroismo vissuto dal basso andando a osare tra le cosiddette esistenze silenziate. Parole pesate e dure, lucide e affettuose, umili e romanticamente reali per una ballata giocata tra registro minore della strofa e carezza acustica del refrain. Le suggestioni ispaniche (il ritornello alterna le due lingue) si innestano sulla classica cifra d’autore di Ruggeri. Il tutto reso e suggellato da una band che ne sottolinea egregiamente i passaggi. Francesco Luppi alle tastiere, Marco Orsi alla batteria, Fabrizio Palermo al basso e l’inseparabile Luigi Schiavone a registrazione, mixing, regia e chitarre a punteggiare e decodificare il suono con il gusto, la lungimiranza e il senso di controllo che si addice a questa nuova fase al completo servizio della creatura canzone. Costruzione e tappeti, pochissimi ma ben dosati interventi in primo piano.
Certo ci sono i brani di raccordo, quasi delle pause giocate in surplace tra un epic statement e un altro. Ordinate e oneste Non c’è pace e La nostalgia del futuro precedono e seguono questi grandi momenti, mentre al dignitoso motivo jazzy Dopo di me tocca l’ingrato compito di rinverdire i recenti fasti di Tre Signori.
Tra queste si inserisce e svetta Il cielo di ghiaccio. Struttura in sordina che evolve in maniera costante verso un tema dominante denso di riferimenti al canzoniere ispanico tra tocchi di chitarra e incursioni mariachi della tromba di Davide Brambilla. Con la title track il disco si congeda come da tradizione con un levare arioso tra sospensione e apertura, ben sottolineato da un classico fraseggio solista di Schiavone che – in controtendenza al suo giocare sottotraccia – si ritaglia un bel sipario finale.
In definitiva un altro lavoro di rilievo che nella sua durata essenziale lascia spazio a una prolungata coda che tributa due grandi. Da un lato Paolo Morelli e i suoi Alunni del Sole con una ‘A canzuncella alla sua seconda rilettura (dopo quella di “Contatti” nel lontano 1989). Dall’altro un Bowie, ben quatto brani, già di frequente omaggiato on stage dal nostro nel corso della sua carriera.
C’è anche un secondo CD che – come già nel disco dell’anno passato – è dedicato ad una selezione ragionata di classici esibiti nella veste concepita per i live odierni. Integrità originale intatta con fedele riproposizione delle sequenze fondamentali e la scrematura degli arrangiamenti.
Rimontato in sella, rinnovato cantore e ritrattista delle più intime connessioni tra io e realtà, archiviata la stagione delle curiosità estemporanee intra ed extra-musicali, Ruggeri torna come ai tempi migliori a esplorare la terra incognita, rendendosi attore e osservatore di un mondo che sfreccia drammaticamente oltre ogni pensiero e scelta consapevole.