L’annuncio del prezzo dei biglietti (in vendita da domani) per i due concerti che l’ex chitarrista dei Pink Floyd, David Gilmour, terrà all’Anfiteatro romano di Pompei a luglio, è stata la classica ciliegina sulla torta di una primavera calda sul versante concertistico. Una primavera affrontata in modo istintivo, superficiale da molte parti e che invece avrebbe potuto suscitare un dibattito ben più interessante, sul costo sempre più elevato dei biglietti per i concerti rock.



La polemica è stata deviata su argomentazioni secondarie, il cosiddetto “secondary ticketing”,

L’acquisto da parte dei bagarini – fenomeno antico come la notte dei tempi e difficilmente imputabile ai sistemi moderni di vendita tramite collegamento online e che incide comunque pochissimo sul numero complessivo dei biglietti messi in vendita – di quote di biglietti rivenduti quasi in tempo reale appunto su siti secondari di vendita. O si è fermata alla rabbia infantile dei fan. I costi di un concerto sono molteplici, difficilmente indagabili e il primo costo, quello del cachet dell’artista, quello che incide di più, lo decide appunto l’artista. Sarà dunque responsabilità morale sua chiedere parcelle miliardari mentre canta del fantasma di Tom Joad o di “Money” (is a gas… peraltro). Lo sbattimento dei promoter locali per organizzare un concerto in Italia è altissimo, alle prese con tasse, balzelli vari, burocrazia, sicurezza, squadre di lavoratori per realizzare le gigantesche strutture oggi di moda e quant’altro e, pur non sapendo che parte si mettono in tasca, non ci scandalizziamo del loro guadagno.



Quasi del tutto ignorato è stato invece il ruolo del venditore di biglietti, oggi in Italia un’agenzia unica che agisce in regime di monopolio, dettando costi, tempi, modalità e anche incapacità evidente di svolgere il suo ruolo. L’unico che ha affrontato la cosa in modo dignitoso è stato Beppe Grillo con un dettagliato articolo approfondito e che ha detto di rifiutarsi da tempo di vendere i biglietti per i suoi spettacoli tramite quell’agenzia. Si legge tra le altre cose nel suo articolo: “Nel contratto nazionale i promoter si sono anche impegnati a dare a Ticket One la totale esclusiva per le vendite via internet per 15 anni. Oggi Ticket One gestisce un numero molto elevato di biglietterie, quasi sempre con politiche di esclusività. Le prevendite non hanno alcuna possibilità di trattativa e quasi tutti i possibili concorrenti sono stati annientati. Ticket One non cura la relazione con le prevendite e i loro clienti, si limita a fornire l’accesso alla rete di vendita”.



Quello di Grillo è però un caso isolato, unico. I costi della prevendita praticata da questa agenzia sono francamente intollerabili e inspiegabili: si va da 6 euro e 30 centesimi per il biglietto di Robert Plant (non esattamente un esordiente) ai 45 euro per quello di Gilmour, quando il servizio offerto è il medesimo. Oltre ai costi di telefonate che possono durare moltissimo in attesa dell’acquisto, l’impossibilità di scegliere il posto quando si tratta di posti a sedere numerati, il pagamento della consegna a casa (alquanto elevato e nel caso di alcuni concerti obbligatorio).

C’è poi un altro aspetto che è stato quasi del tutto ignorato. In Italia c’è tutt’oggi una fame atavica di spettacoli rock e si capisce, Negli anni 70 autoriduttori di varia natura politica e con diverse motivazioni ancora oggi in parte oscure ci hanno privati dell’era d’oro di questa musica, buttando bombe molotov sui palchi. L’Italia finì nella lista nera e i grandi del rock nel loro periodo migliore ce li siamo persi, abbiamo dovuto cominciare a vederli quando quel periodo d’oro lo avevano abbondantemente superato. Nonostante ciò si è creata l’ansia dell’evento: oggi settantenni o quasi, questi artisti sono monumenti da vedere almeno una volta nella vita. Lo desiderano giustamente i giovanissimi che per anni ne hanno sentito parlare fino allo sfinimento da fratelli maggiori, padri e anche nonni e adesso vogliono toccare con mano anche loro. Lo desiderano i “vecchi” per continuare a sognare di essere giovani e rivivere le esperienze “della prima volta” (che non hanno mai lo stesso gusto, comunque). Ecco perché non bastano gli stadi per certi artisti.

Nel caso di David Gilmour si è raggiunto l’apice: il rock, musica popolare almeno quando era nata, è diventata ragnatela da musei imperiali. Trecento euro posto unico in piedi più 45 euro di prevendita. Metteteci le spese accessorie (viaggio, benzina, pernottamento, cibo, acqua, etc) e un concerto costa quanto nutrire per qualche anno un profugo siriano e la sua famiglia.

Giustificare tutto questo con il luogo del concerto, lo straordinario contesto di Pompei, non è abbastanza. Da sempre i concerti rock si tengono in luoghi altrettanto affascinanti ad esempio l’anfiteatro di Taormina, senza costi particolarmente elevati, da cui si gode anche un panorama mozzafiato sul golfo. Quando vi suonò Bob Dylan nel 2001 poi si esibiva in contemporanea anche l’Etna con una spettacolare eruzione tanto che il cantante americano rimase più volte a bocca aperta durante la sua stessa esibizione. Ovviamente l’augurio per i concerti di Gilmour non è che il Vesuvio faccia la stessa cosa…

L’Arena di Verona è in uso per concerti rock dagli anni 70 e nel 1978 i Grateful Dead si esibirono nella prima esibizione del genere, suonando addirittura ai piedi delle piramidi egiziane. Additare la storicità dell’evento, come ha fatto lo stesso Gilmour (il ritorno di uno dei Pink Floyd sul luogo dove la band registrò uno storico film concerto – senza spettatori – nel 1971) non lo è neanche questa. Dario Franceschini, il Ministro dei Beni Culturali ha aggiunto: ?”Quarantacinque anni dopo il leggendario Live At Pompeii, David Gilmour torna a suonare in uno scenario di fascino e bellezza unico al mondo. Con lui il mito dei Pink Floyd rivive a Pompei. Sarà un concerto imperdibile”. Non è così ovviamente. Epoche storiche, gente, intenti, gli stessi musicisti del tutto diversi e imparagonabili. Parliamo piuttosto di un enorme spottone del Ministero dei Beni Culturali. Lo ha fatto capire il Professor Massimo Osanna, sovraintendente di Pompei: ?“Il ritorno di Gilmour a Pompei è un evento straordinario  che la Soprintendenza e il  Ministero hanno fortemente voluto. Pompei, mai come ora nel pieno della sua rinascita, è pronta ad accogliere questo grande artista che con la sua band ha segnato la storia della musica di questo secolo e allo stesso tempo ha lasciato il suo segno profondo nel sito di Pompei con il memorabile concerto a porte chiuse del 1971.”

Qualche giornale ha suggerito che parte del costo dei biglietti sarà devoluto in beneficenza al ministero stesso, ma al momento nel comunicato ufficiale degli organizzatori non ve n’è cenno. Sarebbe stato auspicabile dirlo prima della messa in vendita dei biglietti, almeno uno si sarebbe sentito invogliato a comprarlo (specificando quanto e per cosa).

Organizzando un concerto rock a Pompei, dopo che per anni la località è stata messa alla berlina in tutto il mondo per l’abbandono, i crolli, la mancanza di sorveglianza, è annunciare a tutti i turisti del mondo che il luogo è di nuovo affidabile, per cui la coppia di pensionati di Omaha nel Nebraska nel prossimo viaggio in Italia farà tappa anche a Pompei. Bene per il nostro turismo, ma allora sarebbe stato il caso che i Beni culturali che è anche il ministero del turismo, desse un contributo per abbassare il costo del biglietto, visto che poi vi verrà registrato anche un dvd che porterà altri guadagni.

Perché diciamo tutto questo? Perché portare i biglietti di un concerto di musica popolare (perché è questo che è) vuol dire consegnare questa musica alle polverose soffitte dei musei, farne un fenomeno classista (spettacoli per ricchi) e razzista, che divide le famiglie. Dovremmo plaudire il ministero perché porta il rock ai piani alti della cultura? Non basta un concerto – spot. Il rock in Italia è tagliato fuori da qualunque ambizione culturale, e non bastano due canzoni di Fabrizio De André e una traduzione sbilenca di Blowin’ in the Wind in qualche antologia delle scuole medie per dargli il livello che merita. Mettiamo corsi di storia della musica rock nelle scuole e nelle università come succede da tempo negli Usa e nel Regno Unito, ad esempio. Abbassiamo i prezzi dei biglietti, sosteniamo scuole di musica, combattiamo la assoluta mancanza di cultura del pubblico italiano nel non frequentare e non far crescere i piccoli locali, specialmente fuori di quelle due, tre grandi città.

Al Teatro della Scala, un gioiello mondiale di bellezza, a parte la serata della Prima (che viene comunque offerta il giorno precedente ai giovani a prezzo speciale) con i costi altissimi che ha uno spettacolo di musica sinfonica, i prezzi variano dai 145 ai 260 euro circa anche in platea e nei palchi migliori. Trecento euro (+ 45 di prevendita, lo ricordiamo) a Pompei non hanno alcuna giustificazione. Abbiamo ucciso la musica rock. Ognuno scelga l’assassino che preferisce.