Si potrebbero dire tante cose dei Diaframma, tante cose su Federico Fiumani e ancora tante su questa cosa fumosa ed evanescente che si chiama “rock italiano”. Semplificando, si tratta di verità semplici, quasi banali e penso che siano quattro in tutto.

Primo. I Diaframma sono stati, assieme ai concittadini Litfiba, i primi ad avere fatta seriamente propria la lezione del rock anglosassone, nella sua speciale declinazione di fine ’70-inizio ’80, con quelle categorie volgarmente note come Post Punk e New Wave. La lezione dei Joy Division, dei Cure, degli Smiths, degli Echo and the Bunnymen, giusto per fare i nomi più noti, è stata da loro appresa ed elaborata secondo modalità e livelli qualitativi che proprio nulla avevano da invidiare agli originali. In un’epoca in cui vigeva il cantautorato intellettuale ed impegnato oppure la canzone “leggera”, melodica e cantabile, ed il rock era considerato roba d’oltremanica, alla peggio identificato esclusivamente con il Beat degli anni ’60, i due act fiorentini (ma anche altri di cui oggi non rimane quasi più traccia) dimostrarono che esistevano sentieri mai calpestati prima ma non per questo meno affascinanti o percorribili. 



“Siberia” e “17 Re” sono le manifestazioni più fulgide di questa nuova strada e non hanno davvero nulla di inferiore rispetto a titoli come “Unknown Pleasures” (Joy Division) o “Faith” (Cure). 

Secondo. Ad un certo punto i Litfiba hanno sentito l’odore dei soldi e si sono spostati su un terreno completamente diverso. E a questo punto, ironicamente ma anche in maniera del tutto prevedibile, sono diventati i veri rappresentati del rock italiano, almeno per quanto riguarda la vulgata ufficiale. Poco importa che da “El Diablo” in avanti il loro pubblico si sia progressivamente popolato di gente che con la musica aveva pochissimo a che fare: riempivano le arene, suonavano pesante e avevano testi trasgressivi. Serviva altro? 



Terzo. I Diaframma hanno continuato imperterriti per la loro strada. Federico Fiumani ha litigato più o meno con tutti (non sempre per colpa sua, bisogna ammetterlo) ed è diventato via via il responsabile unico di un progetto che ha cambiato molto a livello di sonorità e influenze, ma che è sempre rimasto coerente con un certo modo di esprimere il mestiere di musicista e di raccontare la realtà. 

Quarto. I Diaframma, ovviamente, sono sempre rimasti una realtà di nicchia, oggi più che mai. I fan e gli estimatori diranno che hanno volontariamente rifiutato le lusinghe del successo, i maligni replicheranno che non sono stati capaci di arrivarci, ai piani che contano. Fatto sta che oggi sono ancora qua e mentre i loro “cugini” più osannati e riveriti si sono sciolti e riformati all’insegna della nostalgia (e di svariati assegni a diversi zeri, immagino), non senza aver toccato punti talmente bassi da sfiorare il ridicolo, la band di Fiumani ha continuato imperterrita anche dopo la separazione da Miro Sassolini, storico cantante dei primi tre dischi, e ha sfornato un album dopo l’altro per quasi vent’anni, portando avanti un discorso di coerenza e passione che ha pochi eguali nel panorama nazionale. 



Oggi arriva anche per loro il momento di cedere al fascino agrodolce dei ricordi: “Siberia”, il loro disco d’esordio, ha compiuto trent’anni nel 2014 ma solo alla fine dello scorso anno sono partiti per quello che potremmo definire il giro ufficiale dei festeggiamenti: si tratta di un tour nelle principali città italiane, dove gli otto brani di quel lavoro indimenticabile vengono suonati uno dopo l’altro, secondo l’ordine della tracklist originale. È una cosa che hanno fatto e stanno facendo un po’ tutti, al punto che sta diventando un filino troppo inflazionata e che ormai non fa più notizia. 

Rimane comunque un’occasione unica per quelli che all’epoca non c’erano e che hanno scoperto il fascino di queste canzoni nei modi più disparati; per esempio, nel mio caso, leggendo “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, che oltre ad essere un ottimo romanzo, è pure un gran bel compendio di quello che succedeva negli ascolti degli adolescenti italiani nella prima metà degli anni ’90… 

Quindi, inflazionata o meno, “commerciale” o meno, una serata del genere non me la sarei persa per niente al mondo… 

Il Black Hole di Milano è un locale piuttosto capiente, dove è prevista anche una ricca programmazione di Dj Set e questa sera Dark, Post Punk e New Wave la fanno ovviamente da padrone, prima e dopo il concerto. 

C’è gente, parecchia gente, anche per gli standard a cui i Diaframma sono abituati, e questo è senza dubbio un bene, perché stiamo parlando di un gruppo che nel corso della sua storia ha raccolto decisamente poco, in termini di vendite e consensi. 

Solito inizio da ora dei vampiri, alle 23.30 con i quattro che salgono sul palco e attaccano “Siberia” senza particolari indugi e convenevoli. La formazione non è più quella che registrò quel capolavoro, di quei musicisti è rimasto il solo Fiumani e gli altri tre (Luca Cantasano al basso, Lorenzo Moretto alla batteria ed Edoardo Daidone alla chitarra) sono entrati in pianta stabile solo negli ultimi anni, all’interno di un gruppo che ha visto al proprio interno diversi avvicendamenti. 

Le canzoni però sono sempre lì, la chitarra di Federico non ha perso la carica del suo suono e i suoi compagni d’avventura sono strumentisti preparati e ben rodati tra loro. Ne segue che l’esecuzione integrale di “Siberia” si rivela profonda e ricca di fascino, diversa dall’originale ma ugualmente penetrante. Del resto certe melodie, certe atmosfere, sono stampate indelebilmente nel dna di ogni singola canzone e non è certo facile snaturarle. 

Certo, il timbro inconfondibile di Sassolini non c’è più ma anche cantati da Federico (che non è certo un’ugola di prim’ordine) questi brani funzionano sempre. 

È l’eterno mistero di un disco senza tempo, uno di quei lavori che sono sempre attuali, nonostante siano passati decenni dalla loro composizione e nonostante il contesto storico e sonoro fosse all’epoca completamente diverso. Ascoltato interamente questa sera, ce ne rendiamo conto: dura appena mezz’ora, ma pesa come un macigno. Vengono eseguite anche “Elena” e “Ultimo Boulevard”, le due bside presenti nella ristampa del 2013, dopodiché ci si tuffa nella seconda parte dello show. 

E qui, a partire da “Gennaio”, il classico onnipresente che segnò l’avvio della seconda parte della carriera del gruppo dopo la dipartita di Sassolini, è tutta una festa rabbiosa e spensierata che dura un’ora abbondante e che fa capire, se ce ne fosse ancora bisogno, qual è il reale valore della band toscana nel 2016. 

 

Già, perché i Diaframma, da quando è lo stesso Fiumani ad occuparsi delle parti vocali, hanno virato verso un rock potente, scarno e selvaggio, che molto deve al Punk ma che non disdegna incursioni nell’area del cantautorato italiano del quale il nostro è sempre stato grande estimatore e del quale si è fatto più volte interprete (il suo ultimo lavoro solista, “Un ricordo che vale dieci lire”, uscito a fine 2015, è proprio un omaggio a questa tradizione). 

La scaletta cambia ad ogni data, i brani tra cui scegliere sono tantissimi, se si pensa che il catalogo del gruppo conta ben diciassette lavori in studio. E le perle, anche qui a Milano, non mancano, giusto per zittire quelli che sostengono che certi gruppi storici non sono mai riusciti ad andare al di là dei loro lavori più celebrati. 

Le varie “Diamante grezzo”, “Le Alpi”, “Io sto con te (ma amo un’altra)”, “L’odore delle rose”, “Verde”, la straordinaria ballata “Labbra blu”, sono solo alcuni esempi di canzoni meravigliose, che sono ormai diventate veri e propri classici e sono altrettanti importanti motivi per cui Federico Fiumani verrà ricordato come uno dei più grandi autori del rock italiano. 

Questa sezione del concerto è più violenta, meno curata, più spontanea, c’è tantissima energia, sia sopra che sotto al palco e qualche sbavatura tecnica viene perdonata senza problemi. La voce non è proprio impeccabile, ha un vistoso cedimento nella parte centrale, e ne risulta penalizzata soprattutto la cover dei Television “See No Evil”, un brano meraviglioso che non esce proprio come si sarebbe meritato. 

Ad ogni modo poco importa: il cantante e chitarrista è carismatico in maniera inverosimile, questa sera sorride anche più spesso del solito e guardarlo dare tutto fino all’ultima goccia di sudore fa capire meglio di ogni altra cosa quello che lui stesso, in un suo brano recente, chiamava “La botta di energia del rock”. 

La band esce per i bis, nonostante nella sala attigua ci sia un Dj Set Metal che sta per iniziare e la potenza dell’impianto non è tale da garantire la simultaneità degli eventi. Bisogna fare in fretta e anche se, come dice alla fine, sarebbero rimasti sul palco molto di più, danno ai fan storici più di un  motivo di soddisfazione: in rapida successione arrivano infatti “I giorni dell’ira” e poi una manciata di episodi da “Boxe” e “Tre volte lacrime”, gli altri due dischi con Miro Sassolini dietro al microfono. “Adoro guardarti”, “Blu Petrolio” e soprattutto la furia iconoclasta di “Libra” provocano un bel putiferio sotto al palco, dove sono assiepati i fan storici del gruppo. 

Si conclude così, con la certezza assoluta che parlare di rock italiano senza citare i Diaframma non ha davvero alcun senso logico.