Teatro per passione, teatro per necessità. Si direbbe che questa qualità fondamentale della poetica lirico-musicale dei Genesis sia difficilmente scindibile, tanto che l’elemento cardine determinante di una delle vicende più geniali e ispirate della musica rock, porta ancora oggi i segni piccolo grande enigma. Il bellissimo saggio di Donato Zoppo “La Filosofia dei Genesis – Voci e Maschere del Teatro Rock” (Mimesis Edizioni, 112 pagine) si propone di rendere ragione di un percorso affascinante e unico, lasciando intatto il gusto della scoperta e della comprensione di un’avventura artistica degna ancor oggi di essere indagata e decifrata.
Da musicisti portatori di un approccio fuori da ogni convenzione allora acquisita, i Genesis della prima incarnazione applicarono una più matura impronta intellettuale a una musica – l’art rock – che in quei primissimi anni ’70 tendeva a privilegiarne piuttosto l’effettismo spettacolare. La lucida riflessione d’autore affidata alle visioni geniali di Banks, agli spunti di Gabriel e all’indubbio valore aggiunto dell’intuito ritmico di Collins, sembrava volare troppo alto e troppo in anticipo sui tempi.
In quel contesto occorreva un quid per ottenere attenzione, qualcosa che colmasse il gap con la prepotenza delle macchine virtuosistiche di Yes e ELP, spostando l’attenzione su un terreno differente. Quel quid – nella puntuale ricostruzione dell’autore di questo libro – venne rappresentato dall’introduzione di accorgimenti e costumi di scena, qualcosa che consentisse l’immedesimazione del pubblico con una musica che per sua natura richiedeva un surplus di attenzione. Da qui le trovate visive che accompagnavano le prime uscite del gruppo nei club. L’embrione del mito di una band che conquistava gli astanti grazie all’amalgama tra talento scenico di Gabriel e magia congenita di una musica straordinaria di suo, sbocciò sui piccoli palchi che vedevano consumarsi The Knife come finale numero liberatorio del rito concertistico.
Prendeva forma la personale lettura del gruppo di quell’evoluzione teatrale dell’epopea rock che, nata dalle pulsioni più avanguardistiche della Swinging London, aveva trovato i suoi esponenti più appariscenti in Bowie, The Who e, oltreoceano, in Alice Cooper.
Questa intuizione ebbe una conseguenza che giocò da asse portante nella rappresentazione visuale della musica dei Genesis. Due pietre miliari come “Nursery Cryme” e “Foxtrot” passavano in rassegna sin dalla copertina dei dischi, personaggi e situazioni che sarebbero stati raffigurati dal vivo grazie alla trovate di un Gabriel che, come per incanto, si inventava scrittura di scena a getto continuo dilatando il canovaccio dei racconti messi su album. Grazie alla ricostruzione dell’autore è possibile avere un quadro più definito dell’opera di un gruppo che esplorava sociale e degrado dell’Inghilterra dell’epoca attraverso l’allegoria immaginifica.
La storia disse poi come quel percorso si risolse in quell’autentica battaglia tra estro scenico-narrativo di Gabriel da un lato e talento musicale di una band sempre più affidata al furore visionario di Banks dall’altro. “Selling England By The Pound” si propose di mediare tra queste due anime per ritrovare un’armonia di intenti umano-artistici che si spezzò definitivamente con l’epilogo di quell’irripetibile periodo, quel “The Lamb Lies Down on Broadway” scaturito dalla collisione definitiva e irrecuperabile tra le due anime geniali – uguali e contrarie – della band.
L’excursus di Zoppo ha l’indubbio merito di ripercorrere i tratti della grande svolta scenica nella musica del gruppo partendo da quello che era il contesto teatral-musicale dell’epoca, sintetizzando nello spazio di una lettura agile, coerente e tutta di un fiato, l’estrema tensione storica verso quel tentativo di coniugare il grande impatto della comunicatività teatrale con l’imponenza di una creazione musicale con pochi uguali nella lunga vicenda della musica rock.
E di rendere ragione – tra le righe – di un fatto che il tempo ha provveduto a chiarire se non a svelare. Quelle due anime ad un tempo inconciliabili ed essenziali per la riuscita della grande avventura dei primi Genesis, avevano bisogno di ricollocarsi in una differente dimensione spazio-temporale per continuare a contribuire a quel qualcosa di unico che, dopo l’estremo atto artistico di “The Lamb Lies Down on Broadway”, non poteva essere più frutto di un cammino comune.