Nell’arco di due settimane, due capolavori del teatro in musica degli Anni TrentaLa Campana Sommersa di Ottorino Respighi e La Donna Serpente di Alfredo Casella – hanno avuto le loro ‘prime’ esecuzioni sceniche dopo decenni di oblio, rispettivamente a Cagliari ed a Torino. E’ doveroso ricordare che La Campana Sommersa in versione da concerto (di cui esiste un ottimo CD) aveva trionfato al festival di Radio France a Montpellier nel 2002 e che La Donna Serpente ha avuto due repliche nel piccolo palcoscenico di Martina Franca al festival di Valle d’Itria nel 2014.
Occasioni, però, passate inosservata o quasi, a differenza di quelle di Cagliari e soprattutto Torino, dove in sala c’era non solo una nutrita rappresentanza della critica musicale italiana ma anche di quella straniera.
Sta, quindi, tardivamente emergendo dall’oblio la musica italiana degli Anni Trenta, come evidenzia il recente saggio di Alessandro Zignani La Storia Negata: musica e musicisti nell’era fascista (Zecchini Editore, 2016). Un oblio tanto più disdicevole in quanto la musica italiana ‘obliata’ in Italia viene eseguita ed applaudita all’estero ed ancor di più perché si tratta di un ‘oblio’ a carattere stalinista.
A ragione o a torno, la musica del nostro Paese di quel periodo viene considerata ‘fascista’, come se tutti i musicisti di quell’epoca (con l’eccezione di Arturo Toscanini) fossero alla corte del Duce. Certamente non lo fu mai Respighi, la cui fama era mondiale. Diversi anni fa, Stefano Biguzzi – L’Orchestra del Duce (UTET, 2002) – ha illustrato come Mussolini (considerandosi musicista –strimpellava il violino – e, quindi, esperto del settore – si barcamenasse tra tradizionalisti (guidati da Mascagni e Cilea) ed innovatori (tra cui spiccavano Casella e Malipiero). Aveva una preferenza per i secondi. Tanto che Stravinskij , non certo fascista, scrisse, nel proprio testamento, che voleva essere sepolto in Italia (come è stato) anche in quanto in quanto il nostro era unico Paese in cui un Capo di Governo aveva apprezzato e sostenuto la musica contemporanea.
L’oblio è stato tanto astioso da portare nel 2004 l’allora capo della critica musicale di La Repubblica di accusarmi di essere contiguo al fascismo e di esaltare uno dei suoi aedi quando, in occasione del centenario della nascita, mostrai apprezzamento per Luigi Dallapiccola in occasione della messa in scena de Il Volo di Notte. Il musicologo ignorava che Dallapiccola fosse stato uno dei rari professori universitari a rinunciare alla cattedra al varo delle leggi razziali.
Nell’ultimo decennio, la musica italiana obliata degli Anni Trenta ha trovato esecutori, specialmente l’ormai sparita Orchestra Sinfonica Romana guidata da Francesco La Vecchia, che ha fatto riscoprire un baule pieno di meraviglie.
E’ in questo contesto che occorre porre La Donna Serpente di Alfredo Casella. Si era in un’epoca in cui esauritasi la fase del melodramma, finita la breve stagione delgrand-opéra padano, ormai privo di carica il verismo, il teatro in musica (assediato da una nuova forma di arte e spettacolo: il cinema) cercava nuove strade. In Francia le trovò in grandi lavori vagamente post-wagneriani (come Le Roi Arthus di Ernest Chausson) o minimalisti (Puolenc, Milhaud) od anche in fusioni tra cinema ed opera. In Germania, costretti all’esilio od al campo di concentramento gran parte dei musicisti ebrei, Richard Strauss offrì un intelligente mix tra innovazione e tradizione. Negli Stati Uniti, nasceva, basata su canoni tradizionalisti, una nuova opera nazionale che ammiccava al grande pubblico.
In Italia, un Paese dove non sono state mai particolarmente amate le fiabe, si andò vero il fiabesco. Su questa testata si è visto quanto di fiabesco c’è ne La Campana Sommersa di Respighi. Ce ne è molto di più in La Donna Serpente di Casella, che non è un apologo (come La Campana) ma l’apertura di quella che sarebbe dovuta estere un percorso nuovo ed originale al teatro in musica. Ricordiamo che al fiabesco si rivolsero anche Mascagni (Le Maschere) con poco successo e Puccini (Turandot) ancora oggi amatissima.
La Donna Serpente si basa su un lavoro teatrale di Gozzi che aveva già ispirato il giovane Wagner (Le Faterappresentata a Cagliari circa vent’anni fa). Il complicato intreccio è riassunto in altre sedi. Per Casella ed anche per Malipiero il teatro in musica avrebbe dovuto andare verso la dimensione del gioco stilistico , dell’impiego di un caleidoscopio di forme, generi e registri, di un pastiche in cui il linguaggio musicale contemporaneo si fonde con stilemi del passato. Ne risulta una partitura raffinata e piena di inventiva sia vocale sia strumentale. La prima ha parti davvero impervie. La seconda coniuga in sinfonismo con anche la musica settecentesca (quale il minuetto)
Ottimo il lavoro congiunto di un maestro concertatore sensibile e ‘caselliano’ come Noseda e del regista Arturo Cirillo. Con l’aiuto delle scene di Dario Gessati e dei variopinti costumi di Gianluca Falaschi. hanno dato una coesione unitaria, non facile da realizzare, al testo ed alla partitura. Molto attento il lavoro con le voci: ci sono ben 18 solisti, tutti di buon livelli. Tra essi spiccano Carmela Remigio (la quale, con il passare degli anni sta gestendo con maestria, la propria vocalità), Piero Pretti (un tenore spinto con un ottimo registro di centro), Anna Maria Chiuri e Roberto De Candia.
Un ricordo finale: del capolavoro sommo di Malipiero, ‘L’Orfeide, non esiste una registrazione in commercio; ne ho trovato una (del 1946 ) dopo varie peripezie, e la custodisco gelosamente,). E’ opera breve che narra la morte delle maschere della commedia dell’arte e le cui ‘sette canzoni’ hanno la stessa qualità del Pierrot Lunaire di Schoenberg. Quando si troverà un teatro di dimensioni piccolo-medie che la metterà in scena?