Domenica 17 aprile Il Trittico di Giacomo Puccini è tornato a Roma in un’edizione coprodotta con il Teatro Reale di Copenhagen e l’an der Wein di Vienna con Daniele Rustioni sul podio, la regia di Damiano Michielletto e un cast di grandi nomi. Platea, palchi e galleria affollatissimi; enorme successo di pubblico mentre qualche critico iper conservatore ha borbottato all’intervallo ed alla conclusione (uno seduto accanto a me lo ha fatto anche durante la rappresentazione, ignorando le regole di base di galateo).



Prima di parlare dello spettacolo è utile ricordare che Puccini pensava a tre opere in un atto – sottolinea Alberto Cantù in L’Universo di Puccini: da Le Villi a Turandot (Zecchini Editore, (250 pagine, € 20) sin dopo il successo di Tosca. Allora gli atti unici avevano una certa presa sul pubblico specialmente se collegati da un fil rouge. Puccini pensò addirittura a un trittico dantesco su Inferno, Purgatorio e Paradiso. Sappiamo che alla fine il prodotto fu un atto granguignolesco (Il Tabarro), una tragedia (Suor Angelica) e una conclusione comica ma noir (Gianni Schicchi).



Il Trittico venne composto durante la prima guerra mondiale. A casa Puccini il conflitto mondiale si intercalava con quello famigliare. Il compositore, con il supporto principalmente di Giovacchino Forzano (scrittore, poeta, drammaturgo, regista anche cinematografico) e di Tito Ricordi (nella cui scuderia era tornato) aveva completato Il Trittico a cui lavorava dal 1913 proprio poche settimane prima di Caporetto e l’epidemia di febbre gialla. Il figlio Tonio, militare di leva, tornato a casa, tentò il suicidio (anche per questioni sentimentali). Sua sorella Tomaide morì per l’epidemia. Sua moglie Elvira intercettò la lettera del console svizzero che, data la situazione, gli ritirava il visto di accesso a Lugano dove andava periodicamente (e frequentemente) dalla propria amante dell’epoca Sybil Seligman; la tresca, quindi, era svelata all’irritatissima Elvira. Con l’Italia nel caos, era difficile trovare un teatro per mettere in scena Il Trittico, in effetti tre opere distinte la cui produzione richiede circa solisti ed un organico orchestrale mahleriano. Il programma era di produrre la prima mondiale al Teatro Reale dell’Opera di Roma, ma il debutto ebbe luogo il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di  New York (senza la presenza di Puccini – i mari non erano sicuri a ragione delle mine lasciate dai tedeschi) con buon successo. Seguì una trionfale prima italiana a Roma l’11 gennaio 1919, una londinese il 18 giugno 1920 (alla presenza di Re Giorgio), una viennese nell’ottobre 1920 ed una riprese a Bologna nel 1921. Ogni volta Puccini ritoccò la partitura che ebbe il suo assetto definitivo alla prima alla Scala il 29 gennaio 1922, dove venne introdotta, in Suor Angelica, “l’aria dei fiori”, sperimentazione armonica audace, atonale ed al confine quasi con la dodecafonia.



In qualche modo, pur se non presente né sulla scena né nella partitura, il conflitto mondiale entrò nel background de Il Trittico. I tre atti unici, complementari, per contrasto hanno come filo conduttore la morte, vista in termini sanguigni anzi brutali ne Il Tabarro, in modo religioso in Suor Angelica ed in maniera tra il grottesco ed il sarcastico in Gianni Schicchi. Come se il Puccini, con simpatie per gli Imperi Centrali anche dopo la loro sconfitta (basti pensare alla cura per la prima viennese, in tedesco, del 1920), non rimuovesse del tutto l’inutile strage e non ne restasse insensibile. È palese, principalmente nel finale di Gianni Schicchi, e quindi, dell’intero Trittico, la lode alla “gente nova” un sentimento di adesione a un ordine che in Italia si sarebbe concretato ben presto. Secondo lo stesso Dizionario Enciclopedico degli Italiani, Forzano (1884-1970) fu uno degli autori e registi più apprezzati nel periodo tra le due guerre mondiali e fece fede della sua adesione al fascismo anche in libri di memorie degli Anni Cinquanta

Ciò spiega  la regia di Michieletto di ambientazione contemporanea : rispecchia questo clima cupo e si differenzia da altre edizioni recenti che puntavano più su un finale solare in Gianni Schicchi. In effetti, Michieletto ed il direttore musicale e maestro concertatore Daniele Rustioni vanno ancora più oltre: nella produzione,  Il Trittico non è più composto da tre opere ma da una unica sola, con un unico intervallo dopo la prima parte (che comprende, senza soluzione di continuità, Il Tabarro Suor Angelica) e incentrando suGianni Schicchi la seconda parte. Ad una visione violenta dell’omicidio ed  ad una straziante del suicidio, quindi, ne segue, dopo una pausa di quaranta minuti, una grottesca della morte.  Anche la scena è unica: una serie di container che ne Il Tabarro sono nella banchina di un porto, in Suor Angelica diventano una prigione e in Gianni Schicchi , ricoperti da tele con i colori ed i segni di Firenze, si trasformano nell’interno di una casa a più piani. Il nesso viene accentuato in quanto in ognuno dei tre momenti è centrale un bambino: il figlio morto di Michele e  Giorgetta in Il Tabarro e della protagonista in Suor Angelica ed un discolo tra i parenti di Buoso Donati in Gianni Schicchi

Tale ambientazione e suddivisione non è un vezzo scenico- registico. In effetti, grazie alla direzione musicale di Rustioni , è finalizzata a mostrare i nessi tra il Puccini di quel periodo con l’espressionismo, specialmente con l’espressionismo musicale della seconda scuola di Vienna e dell’Impero Tedesco, di cui era attento osservatore. E’ questo un aspetto poco studiato del lavoro del compositore lucchese: questa versione de Il Trittico dimostra che merita approfondimento. Rustioni , con la sua concertazione attenta alle sfumature, fornisce un ottimo appiglio. Come sempre nelle regie di Michieletto, la recitazione è molto attenta e precisa.

Puccini chiede molto alle voci. E ne Il Trittico più che in altri lavori, se non altro perché ci sono oltre trenta personaggi, suddivisi tra una ventina di interpreti, ed una gamma di stili che va dallo Sprechgesang (altro nesso con l’espressionismo) alla polifonia, passando per le arie ed i duetti della consuetudine operistica italiana. Nello spazio di una recensione è impossibile commentare anche solo su un campione dei numerosi cantanti.

Tra le voci femminili . di particolare nota Patricia Racette, una star del Metropolitan al suo debutto in Italia nel doppio ruolo di Giorgetta ne Il Tabarro e di Suor Angelica (una vocalità al tempo stesso duttile e spessa con tutte le caratteristiche per trionfare in Puccini) e Violetta Urmana (la Principessa Zia in Suor Angelica)che con grande maestria ha completato la transizione da soprano drammatico (la ricordiamo ancora , proprio a Roma, come magnifica Isolde nell’opera wagneriana) a mezzo soprano con la capacità di raggiungere i registri bassi di un contralto. Tra quelle maschili, spiccano Roberto Frontali (Michele ne Il Tabarro e Gianni Schicchi nell’opera eponima) e Maxim Aksenov (Luigi ne Il Tabarro). Avrei preferito, in Gianni Schicchi, un Rinuccio più lirico e più morbido; spero che nel giro di pochi anni, affrontando parti troppo spesse, Antonio Poli non abbia perso queste caratteristiche.