Una volta che si è diffusa la notizia sulla Rete c’è stato solo l’imbarazzo a scegliere le battute più corrosive e ironiche. Tipo: “Invece delle groupie (le ragazzine che cercano di accalappiare i musicisti) si faranno accompagnare dalle badanti”. Quello che è stato definito “il più grande evento rock di tutti i tempi” in effetti è una sorta di gerontocrazia del rock. Se andrà in porto il progetto degli organizzatori, l’edizione di ottobre del festival di Coachella in California, si vedranno sul palco solo musicisti over 70. I nomi candidati sono da far tremare i polsi, i più grandi protagonisti degli anni 60, quelli che hanno cambiato per sempre il volto della musica popolare del novecento, almeno quelli ancora vivi. Bob Dylan, Rolling Stones, Paul McCartney (Beatles), Roger Waters (Pink Floyd), Neil Young, The Who. In tre giornate si dovrebbero dunque esibire il 7 ottobre Dylan e gli Stones; l’8 Neil Young e Paul McCartney; il 9 The Who e Roger Waters. Ogni artista secondo le indiscrezioni avrà diritto a un cachet da 7 milioni di dollari, che moltiplicati per sei fa 42 milioni di dollari. Aggiungi tutte le spese accessorie per organizzare un evento di tale portata e avrai almeno un centinaio di milioni di dollari. Quanto basterebbe a nutrire e sistemare tutti i profughi che arrivano a morire sulle spiagge dell’Europa. Ma non è questo il punto: i governi mondiali cento milioni di dollari potrebbero trovarli in un minuto senza dover sopprimere l’industria dell’intrattenimento.



Il punto è che questo festival, per come lo stanno presentando, dovrebbe rappresentare una sorta di chiusura del cerchio: tutti over 70 anni, tutti giganti della musica, tutti insieme in un evento unico come mai era successo loro  in precedenza, appunto “il più grande concerto della storia”. Si dirà: e Woodstock? Molti di quelli che erano a quel festival  sarebbero diventati famosi proprio grazie a Woodstock e allora non si celebrava nulla se non quanto stava accadendo in tempo reale, quella contro cultura che stava cercando di cambiare il mondo. Inoltre se a Woodstock si faceva il bagno nudi perché era evidente il bisogno di uscire dal moralismo calvinista americano, a Coachella è abitudine veder far passatella vip di Hollywood o super modelle agghindate da neo hippie, un glamour fastidioso che viene celebrato su alcuni siti con il titolo “ecco quale look indossare a Coachella.



Questo evento è dunque una celebrazione di un’epoca passata e che diventa il canto del cigno dell’epoca stessa? Lo stesso cantante degli Who (i primi a dire di sì alla proposta) Roger Daltrey ha commentato che “si tratta dei più grandi resti della nostra era”. Dicendo così, Daltrey ha sottinteso due cose. La prima, che si sta parlando di “resti”, cioè quello che rimane ancora in circolazione, la seconda è un’ammissione implicita. “La nostra era” significa gli anni 60, quando tutti questi artisti hanno dato il meglio di sé cambiando la storia della musica popolare. Così dicendo il cantante degli Who ammette che tutto quello che hanno fatto nei decenni seguenti questi artisti non è stata “la loro era” e non è stato paragonabile a quanto fatto in gioventù. Elliott Roberts, manager di Neil Young, ha commentato che “sarà un evento speciale per tanti motivi, non ci sarà più l’occasione di vedere un evento del genere”, con buona pace di chi, fra gli artisti in programma, ha fatto gli scongiuri dopo queste parole.



Esattamente quarant’anni fa un altro evento fu definito la fine di un’epoca storica, un canto del cigno anch’esso. Nel novembre 1976 il gruppo che aveva accompagnato Bob Dylan, The Band, dava l’addio alle scene con un concerto poi passato alla storia come “L’ultimo valzer” dove erano sfilati i massimi protagonisti della musica fino ad allora, da Dylan stesso a Van Morrison, da Clapton a Neil Young, a Joni Mitchell. Non avevano neanche 40 anni di età e già si parlava di dinosauri e di fine del rock. Ma “hey hey my my, rock’n’roll can never die” e così è stato, in qualche modo. 

Tutti questi artisti continuano infatti ancora oggi a macinare concerti bellissimi, sono tutti in ottima forma fisica nonostante l’età e le emozioni ai loro spettacoli non mancano. Sono show però che si ripetono identici da decenni, i grandi successi, un greatest hits dal vivo (con l’eccezione di Dylan e Young che si sono sempre rifiutati di fare una cosa del genere), formule musicali che si ripetono identiche da decenni, il mito di Peter Pan (rimanere sempre giovani) sbattuto in faccia a chi non può permettersi vite fatte di massaggiatori, palestre, ritocchini, ville alle Hawaii, amanti giovani e tanti, tanti quattrini. Nulla di male eh: pensare che un ragazzino nato nel 2000 possa oggi vedere ancora Mick Jagger o Pete Townshend è una figata, gliene siamo grati. 

Sarà certamente un evento straordinario. Roger Daltrey si augura che il prezzo del biglietto sia accessibile per tutti. Visto come vanno le cose ultimamente sul fronte dei costo dei biglietti, c’è davvero da augurarselo. 

Ognuno dei partecipanti, a differenza di quanto avviene di solito ai festival, si esibirà in un concerto completo, dunque non ridotto. Saranno tre giorni formidabili, in cui giovani e coetanei di chi si esibisce avranno un’ultima chance, quella di vedere la storia tutta in una volta. L’ultimo valzer della musica rock. Non perché questi artisti smetteranno poi di esibirsi, è nella loro natura e lo faranno ancora. Come disse Bob Dylan in una intervista anni fa, “se mi verrai a cercare quando avrò novant’anni,  mi troverai su di un palco da qualche parte”. La cosa interessante sarà vedere chi riuscirà a sfuggire la maledizione dell’età, rifuggire dal diventare un’icona, cosa che Coachella rischia di fare di ognuno di loro. In un suo articolo sulla morte della pittura moderna, lo psicologo Massimo Recalcati ha scritto: “L’elevazione dell’oggetto artistico alla dignità di un’icona lascia il posto alla degradazione e al carattere informe delle nuove pratiche”.

Quello infatti che ci dice Coachella più di ogni altra cosa è che questi artisti straordinari non hanno avuto eredi degni di loro. Buoni imitatori, gente volenterosa capace di un paio di dischi di buon livello, ma il solo pensiero che fra una ventina d’anni potremmo assistere a un Coachella dove si esibiranno Coldplay, Mumford and Sons, Blur o Oasis è raggelante.

 

Il sipario sta calando. Sempre Recalcati ha scritto parole che valgono benissimo per la musica rock. Se le coniughiamo a quello che questa forma d’arte è diventata negli ultimi vent’anni, capiremo perché il sipario è sul punto di calare: “Ma non è forse diventato un vero e proprio tabù ricordare che l’opera d’arte, come sanno bene i grandi artisti, intrattiene sempre un rapporto con l’assoluto, con l’irraffigurabile, con l’impossibile, con tutto ciò con cui non è possibile stabilire alcun rapporto? Certo, nella storia dell’arte questo “assoluto” è stato nominato in modi differenti (Cristo, il volto dei santi, la Natura, l’Infinito, il Colore, la Materia, ecc.), ma in ciascuna sua espressione ritorna l’idea dell’opera d’arte come un ponte che, come ha dichiarato Jannis Kounellis, deve poter aprire sul “Mistero delle cose”. 

Comunque vadano le cose, saremo per sempre grati ai Dylan, ai Neil Young, agli Stones, ai Beatles, agli Who e ai Pink Floyd per aver fatto della loro capacità espressiva “un ponte sul Mistero delle cose”.