È uno di quegli eventi in cui ci si può imbattere a Berlino, in qualche caso a Parigi, o a Vienna. Raramente a Barcellona. Ma che un festival di teatro musicale contemporaneo mettesse Roma per quasi due settimane al centro del mondo musicale europeo è una vera sorpresa. In effetti non era mai successo prima che si programmassero dieci spettacoli del genere in dieci giorni, (quattro di teatro musicale, cinque di teatro strumentale, una coreografia) in sette sedi (Teatro Costanzi, Teatro Argentina, Auditorium Parco della Musica, Teatro India, Teatro Nazionale, Teatro di Villa Torlonia, Villa Medici). Si tratta della prima edizione del “FF – Fast Forward Festival” promosso dal Teatro dell’Opera di Roma sotto la direzione artistica di Giorgio Battistelli. 



La scelta è caduta proprio sul teatro perché questa forma d’arte “continua a essere una possibilità di andare oltre il suono”, sottolinea Battistelli, che sa bene di cosa parla, essendo uno dei maggiori compositori contemporanei che si dedica al genere. “Il teatro, in tutte le sue accezioni – continua –  è la maniera con la quale la musica raddoppia se stessa, la sua efficacia, la sua ambizione e, contemporaneamente, la forma attraverso la quale si mette alla prova uscendo dai propri confini, esponendosi al confronto con un’altra dimensione espressiva e percettiva”.



La maratona, che si aprirà il 27 maggio per concludersi il 9 giugno, parte dalle origini del genere, riprendendo opere ormai considerate “storiche” che affondano le radici nelle avanguardie artistiche degli anni Settanta e Ottanta.  Ad aprire la rassegna, al Teatro Argentina, sarà Schwarz auf Weiss (Nero su Bianco) di Heiner Goebbels, che la porta in giro per il mondo dal 1996 e che in questo caso, oltre a firmare la regia, sarà alla guida dell’Ensemble Modern di Francoforte. Il giorno successivo, al Teatro studio presso l’Auditorium Parco della Musica, sarà la volta della prima opera teatrale di Sylvano Bussotti, La Passion selon Sade, composta nel 1965, affidata a una formazione orchestrale dei corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Ensemble Novecento diretto per l’occasione da Marcello Panni. Il 30 al Nazionale si passa alla danza con Empty moves, una pièce con la coreografia di Angelin Preljocaj poggiata sulle Empty words di John Cage registrate al Teatro Lirico di Milano del 2 dicembre 1977. 



Ma se lo sguardo è rivolto anche al recente passato, l’orizonte si spinge fino alle creazioni più innovative della ricerca musicale di oggi, come Blank Out (31 maggio alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica), un’opera per soprano e video in 3d di Michel van der Aa in prima esecuzione italiana. Ai lavori dichiaratamente teatrali si affiancano le serate di “teatro strumentale” con il percussionista Jean-Pierre Drouet (3 giugno); quello del gruppo francese Ensemble Aleph (29 maggio), che mette in scena con gli strumenti una tranche de Vie familiare; il progetto di Francesco Prode (1° giugno), che fa “rispecchiare” in autori contemporanei i Miroirs di Maurice Ravel; la “traduzione in musica” dei Wall Drawings di Sol Lewitt per le percussioni dell’ Ensemble Dedalus (2 giugno) e ancora percussioni con il gruppo italiano Ars Ludi (ancora 2 giugno) con Il suono e il gesto, una serata dedicata a brani di vari autori contemporanei.

L’evento del festival sembra comunque essere quello che si terrà dal 7 al 9 giugno al Teatro Nazionale, con la prima italiana della Proserpina di Wolfgang Rihm, proposta in una nuova produzione del Teatro dell’Opera di Roma e diretta da Walter Kobéra per la regia di Valentina Carrasco. Si tratta di poco più di settanta minuti di musica per piccola orchestra, apparsi nel 2009 al Rokokotheater Schwetzingen, in Germania, e subito rivelatisi come un vero e proprio tour de force per il soprano, che a Roma, così come fu nella première tedesca, sarà Mojca Erdmann. Rihm, sessantaquattrenne di Karlsruhe, scrive musica come fanno i tedeschi, senza mai dimenticare i giganti che li hanno preceduti ma senza rimanere schiacciati dal loro peso. Difficilmente potrebbe definirsi un autore di rottura, un provocatore. Certamente un innovatore, ma nel solco della tradizione. Talmente poco avvezzo a seguire le mode che negli anniSettanta si staccò dall’avanguardia postweberniana di matrice strutturalista per semplificare il più possibile il suo linguaggio, e anche per questo venne inserito in quella corrente che prese il nome di “nuova semplicità”. 

Nelle etichette, per definizione, c’è sempre qualcosa di vero, ma non può esserci tutto. La musica di Rihm non è “semplice”, ma non ama le complicazioni inutili. Anche per questo è eseguita in tutto il mondo, in continuazione. Questo però non era stato sufficiente a convincere qualche direttore artistico a mettere in programma una delle sue opere più rappresentative, come la Proserpina. Almeno fino ad ora.