Al termine del’impervia aria del secondo atto In questa Reggia, or son mill’anni e mille, Turandot ammonisce il suo pretendente: gli enigmi sono tre, la morte è una a cui il principe Calaf replica No, no! Gli enigmi sono tre, una è la vita.
Da decenni l’enigma è se e quando l’opera lirica sparirà come spettacolo dal vivo per mancanza di nuove leve di spettatori. Quando, negli Anni Cinquanta, ero un liceale, il professore di filosofia (un marxista del dopo guerra) al quale avevo detto di amare l’opera lirica, rispose irato che si trattava di una forma di spettacolo per anziani borghesi in via di sparizione. Non credo viva ancora. Se fosse ancora in vita, sarebbe rimasto sorpreso dalla folla di bambini (dai 6 agli 11 anni di età) ad ascoltare al Teatro Olimpico di Roma nel quadro della stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, Turandot la sera del 16 maggio, uno spettacolo co-prodotto dalla AsLiCo di Como, dal Gran Teatro del Liceu di Barcellona e dal Theater Magdeburg, elegante struttura del 1907 a metà strada tra Lipsia e Hanover.
La produzione, di cui il teatro di Como è il capofila, nel quadro del suo ventennale programma ‘Opera Domani’, è programmata per ben centocinquanta repliche tra quest’anno ed il prossimo. Ha debuttato a Como a metà febbraio. Si è vista in quasi tutte le regioni del Nord. Da Roma (quattro repliche) andrà in altri teatri del Centro Italia. E successivamente al Sud, prima di viaggiare verso Spagna e Germania. Tre cast si alternano nei ruoli principali.
‘Opera Domani’ si è data la missione di preparare la nuove generazioni al teatro lirico. Non solamente l’opera prescelta è adattata ad un pubblico di bambini, ma i giovanissimi spettatori non si limitano ad assistere. Partecipano, cantando dai loro posti in sala, alcuni cori particolarmente significativi.
Turandot di ‘Opera Domani’, quindi, non ha nulla a che vedere con lo spettacolo espressionista e freudiano, con il quale un anno fa, con regia di Nikolaus Lehnoff, le scene di Raimund Bauer, la coreografia di Denni Sayers e le luci di Duane Schuler e con la bacchetta di Riccaro Chailly, è stata inaugurata la stagione del Teatro alla Scala per l’Expo. Tuttavia, ha un punto in comune con la produzione scaligera.
Non siamo in una mitica e magniloquente Cina di cartapesta ‘dei tempi delle fiabe’. L’opera non viene neanche presentata, come alla Scala, quale un dramma espressionista come lo si sarebbe concepito ai tempi in cui Puccini era impegnato nel lungo (ed incompiuto) lavoro. Ma siamo in un bosco, animato da insetti ed animali (scarafaggi, libellule, tartaghe) dove Turandot, Principessa Falena, è chiusa nel suo bozzolo perché non sa amare,o meglio sino a quando il sacrificio di Liù non le apprende il significato dell’amore. I soli personaggi ‘umani’ sono Calaf, Liù, e Timur nonché la principessa quando nel duetto finale esce dal suo bozzolo Allo ‘sgelamento ’ della Principessa, come lo chiamava Puccini, i piccoli spettatori partecipano attivamente con i loro cori e con i loro applausi (anche troppo rumorosi).
Occorre dire che le scene di Michele Olcese, i costumi di Massimo Carlotto, le luci di Marco Alba, e le proiezioni di Nadia Baldi e Federico Biancamani hanno un grande fascino e la sapiente regia di Silvia Paoli riduce i tre atti in uno (di un’ora e mezza, senza intervallo) mantenendo integro il significato e gran parte della musica di Puccini. Sul podio dell’orchestra 1813, Alessandro Palumbo concerta con grazia ed efficacia un organico ovviamente ridotto rispetto alla stesura originale pucciniana.
Turandot è anche un’opera di voci. E lo As.Li.Co è anche una scuola di canto. All’applausometro, Ping (Andrea Zaupa), Pang (Ruzil Gatin) e Pong (Mattia Muzio) hanno meritato il maggior successo. Il Timur di Davide Procaccini e la Liù di Gulnora Gatina sono pronti ad affrontare ruoli importanti in teatri di peso. Irena Bottura aveva la ardua parte di Turandot; promette di diventare un buon soprano drammatico. Simone Frediani ha il fisico di Calaf ed è un ottimo attore, ma , in base alla sua esibizione la sera del 16 maggio, credo debba crescere come tenore lirico , invece di affrontare ruoli pesanti improntati su un registro di centro.