Paradossalmente, mentre la discografia ufficiale investe sempre meno sulla musica italiana a parte ovviamente i personaggi costruiti a tavolino nei vari talent televisivi o che appartengono alla cosiddetta area “indie alternativa” (tanto fumo e poco arrosto), i dischi auto prodotti da giovani e meno giovani aumentano a vista d’occhio.



Certo, è una battaglia impari perché senza promozione televisiva e radiofonica è praticamente impossibile farsi notare. Non crediate poi alla favoletta dei social network o della Rete in generale: lì l’attenzione si compra, i “mi piace” a suon di milioni di click su Youtube che hanno lanciato certe stelline (miracolosamente! strepitano gli addetti stampa e i critici faciloni, pur sapendo che non c’è niente di miracoloso)  sono fasulli o comprati.



Nonostante questo, i  prodotti di qualità non mancano. Quello che stupisce di questi dischi auto prodotti è innanzi tutto l’ottima qualità delle registrazioni. E’ vero, la tecnologia “casalinga” ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, ma ci vuole comunque buon gusto e capacità per produrre dischi che non abbiano nulla da invidiare a quelli prodotti con budget milionari. Poi piace questo desiderio impossibile da sconfiggere pur consapevoli della poca notorietà che si avrà, a esprimersi comunque, a prescindere dai risultati. E’ bello sapere che c’è ancora gente che ha voglia di mettersi “in piazza” comunque. 



Ne citeremo allora alcuni tra i tanti, con la caratteristica importante di cantare in italiano. Da anni in Italia è legge che, solo per il fatto di essere cresciuti ascoltando i vari Dylan e Springsteen, bisogna esprimersi in inglese. E’ importante invece ricordare chi siamo e di conseguenza esprimerci, cosa non facile, con la nostra lingua.

I primi sono un gruppo milanese che si presenta anonimo con il disco  “Verso la collina (I cardini della storia)”. A guidarli Nicola Lonato, una lunga discografia solista alle spalle, e Stefano Rizza, membro del gruppo di Irish folk, Shamrock. Lonato è la voce solista e autore di quasi tutti i pezzi, Rizza è polistrumentista, banjo, chitarre acustiche, mandolino e anche autore e voce di un pezzo, L’incidente della sera. Il loro immaginario musicale è facilmente identificabile sin dal primo pezzo, Come un clown, che riprende il riff di chitarra e in parte la melodia di I Don’t Believe You di Bob Dylan. Ma non solo: in mezzo il bluegrass, il blues (Nonno Toni inizia con il giro di chitarra di 32-20 Blues di Robert Johnson), Johnny Cash e numi italiani come il Guccini degli anni 70, Jannacci e il primissimo Fabio Concato. Sono canzoni che suonano come canzoni. Non è un gioco di parole, ma la controtendenza in un periodo storico dove ci si inventa di tutto per coprire la mancanza di capacità compositive, fingendosi “originali” a tutti i costi.

Sono canzoni che sputano fuori verità e onestà, melodie intrise di nostalgia o di rabbia, la voce di Lonato a tratti è un urlo lacerante, le sue parole pongono questioni, incalzano, non lasciano tranquilli. Al contro canto la moglie Lucia, al basso il fratello Benedetto, alla batteria Mattia Martini. 

A incantare di più sono i brani lenti, splendidi acquerelli di notturna preghiera che rimandano a una coscienza musicale profondamente radicata nel cuore (riuscitoanche l’unico brano dove la voce solista è di Rizza, dall’incedere delicatamente jazzy). Il bello è che il disco non è neanche in vendita. Il gruppo chiede un contributo dai dieci euro in su che serve al 60% a coprire le spese vive di produzione e il 40% da mandare in Siria a istituti religiosi che si occupano di bambini e vittime di guerra. Chi è interessato può scrivere a info@versolacollina.com.

 

Dalla Liguria, La Spezia, arriva invece Renzo Cozzani. Nome noto fra i fan di Neil Young, da anni è specializzato nel proporre dal vivo e su disco le canzoni del leggendario cantautore canadese, ma anche Cohen e Dylan. Ha però già pubblicato diversi dischi di canzoni a sua firmam ma con il nuovo “In bilico” confeziona la sua opera probabilmente più riuscita. Arrangiamenti eleganti, raffinati, impreziositi da violoncello, sassofono e voci femminili, un suono magnifico con tocchi di chitarra elettrica “satura” (alla Neil Young di Zuma per capirsi), il disco propone solo in parte le influenze estere di Cozzani, che invece lascia fuoriuscire una poetica melodica originale e intensa, ricca di spunti, impreziosita dalla voce similare per certi versi a quella di Angelo Branduardi. Canzoni introspettive, ballate morbide, intrise di malinconia e nostalgia come la bella A letto presto o l’iniziale A metà. I rimandi sonori sono inevitabilmente agli anni 70, illuminati dai tanti ascolti dell’artista. Testi altrettanto intensi, meditazioni sull’instabilità della natura umana però alla luce di una speranza forte che illumina l’esistenza. Il disco è disponibile a questo indirizzo 

 

L’altro nome che ci piace citare è quello di Giorgio Biancalana, quarantenne esordiente di Pisa anche se con un passato giovanile nei giri underground. Il suo Sguardi obliqui è uno splendido lavoro di cantautorato che negli anni 70 non avrebbe sfigurato accanto ai suoi maestri, Fabrizio De André e Claudio Lolli, la voce di quest’ultimo in particolare. Anche qui spicca la capacità di costruire canzoni vere, e non artifizi intellettualoidi. Sono ballate dal forte accento melodico, cariche di mestizia e introspezione ma per nulla noiose, come si rischia a volte in casi come questi. in un tempo antico, l’iniziale Menvoviadiqua sarebbe stata una hit della musica d’autore. La capacità musicale di Biancalana esprime anche qui profondi ascolti musicali accumulati negli anni, tradotti e attualizzati, con un piacevolissimo sapore vintage. Ricco l’accompagnamento musicale: violino, mandolino,chitarre, doro, pedal steel, da parte di accompagnatori decisamente all’altezza, che sanno creare un mix tra atmosfere popolari nostrane e nordamericane. Il disco è disponibile su iTunes e Amazon, ma anche direttamente dall’artista scrivendo a Luvio76@libero.it.

Una segnalazione particolare da Brescia. Loro sono giovanissimi, poco più che ventenni, sono fratelli e al momento hanno pubblicato un ep di quattro pezzi Some Sky in my Pocket. Si chiamano The Crowsroads, Andrea voce e armonica a bocca e Matteo Corvaglia voce e chitarra acustica. Cantano in inglese, il riferimento sono Simon and Garfunkel e la scena folk degli anni 60. Nonostante l’età hanno tecnica eccellente e capacità di costruire melodie vocali di fortissimo impatto, incantevoli e penetranti. E’ una meraviglia che due ventenni vadano a riscoprire questo genere musicale fatto di folk e pop in egual misura invece di perdersi dietro i fuochi fatui delle mode del momento. In realtà i ragazzi ad andare a X Factor ci avevano provato, ma un “genio artistico” come Fedez li ha bocciati, dicendo loro di no. Uno che se ne intende di buona musica… Il disco in realtà risale al 2012 ma noi lo abbiamo scoperto solo ora. A fine maggio è atteso l’esordio sulla lunga distanza, l’album “Reels” con l’abile produzione di Antonio Lancini in cui, dicono, ci saranno anche brani in italiano. Intanto è uscito lo scorso anno un bel singolo, Athens. Informazioni sulla loro pagina facebook

Concludiamo con una voce femminile, un’artista di cui abbiamo già parlato in diverse occasioni su questo giornale. Rita De Cillis, milanese, ha anche avuto l’onore di vedere un suo brano incluso nella colonna sonora di un film americano. La sua voce soffice, vellutata, dagli spunti jazzy e bluesy, e le sue canzoni, ballate folk acustiche, ricordano le prime Nancy Griffith e Mary Chapin Carpenter ossia un folk nordamericano moderno. Un’artista ancora alla ricerca del suo vero volto e il suo ultimo disco, Falling in Love, lo dimostra: brani in inglese accompagnati da sola chitarra acustica (quella del sempre ottimo Walter Muto e citiamo solo What It Is That Really Matters, Back Home, Snow, Au claire de lune, quest’ultima il pezzo migliore della raccolta), brani in italiano con accompagnamento di batteria, chitarra elettrica e basso (Marta e Maria potrebbe far parte del repertorio di Mina o Ornella Vanoni prima maniera ed è questa la direzione che Rita dovrebbe prendere) e il folk sincopato della chitarra di Filippo Bertipaglia, il cui stile ricorda lo scomparso Michael Hedges in Dimmi chi sei. Alla fine il disco è comunque un esperimento vittorioso, tanto la De Cillis incanta specie nei brani più intimi, sorta di preghiera dell’ora del tramonto, quel momento in cui ci si chiude nella riflessione e si china il capo, grati di quello che la vita ci dà, nel bene e nel male. E grati alla musica che ci contiene (ritadecillis.it).