Un lunedì sera di un maggio ancora freddo si scalda all’Auditorium di Milano con il concerto di Niccolò Fabi, prima delle due date milanesi. La seconda ieri sera, martedì 24 maggio, e poi una data aggiunta al tour in provincia, a Desio, il 30 luglio. 

Apre un cantautore scozzese, Fraser Anderson, bella voce, mondo intimo, accordatura aperta e capotasto e ci regala tre pezzi di buona fattura e buona intenzione, ma probabilmente non sarà the next big thing, nemmeno nella nicchia del folk d’autore. 



Intorno alle 21:30 si comincia davvero, ed i primi sei pezzi fluttuano via senza nemmeno una parola nel mezzo e sono tutti tratti dall’ultimo lavoro dell’artista. Si parte con la title-track Una somma di piccole cose, poi il singolo, realista e un po’ disilluso Ha perso la città. Lo stile volutamente e lievemente sgrammaticato di Facciamo finta – tenera ballata in chiave country waltz – richiama il linguaggio dei bambini per manifestare un’assenza che non può essere colmata o sostituita, ma solo guardata in faccia. Filosofia agricola e Non vale più spianano la strada a quella che considero una delle canzoni più poetiche dell’intera produzione di Fabi, Una mano sugli occhi, racconto delicato di come l’amore si trasforma seguendo le sue stagioni.
Intensa fino a dare un tuffo al cuore di chi la ascolti lasciandosi portare dalle parole e dall’insistente ostinato del pianoforte. E guarda un po’, proprio ad Ostinatamente si passa, dopo il primo breve saluto al pubblico, una canzone di una trentina d’anni prima che intende e racconta l’amore in modo molto diverso. È proprio per suonare quest’ultimo brano che uno dei quattro musicisti della band imbraccia il basso elettrico.
Non era ancora apparso, per lasciare i primi sei brani, tutti nuovi, nel loro habitat naturale e rispettare le versioni originali, non per rifarle identiche e plastificate come oggi accade spesso, ma per mantenerne intatto lo spirito.
Piccola parentesi sui musicisti; come è successo non molto tempo fa a Neil Young (o forse ispirandosi a quanto successo a lui), Niccolò ha ascoltato in un locale la band di un cantautore, Bianco,ed ha chiesto a lui ed a suoi soci di accompagnarlo in tour. Così Filippo Cornaglia alla batteria e Damir Nefat alla chitarra elettrica supportano Fabi insieme allo stesso Alberto Bianco e a Matteo Giai, entrambi polistrumentisti e capaci di destreggiarsi abilmente fra chitarre acustiche ed elettriche, basso e tastiere. 



Ma la scaletta procede, e la poeticissima È non èprende un trascinante piglio funky, mentre l’altro classico Il negozio di antiquariato eseguito in solitaria al pianoforte con inevitabile coro del pubblico che gremisce la sala (entrambi i concerti milanesi erano sold out). Non tutte le strade sono un percorso, un verso di quest’ultima canzone, ma Niccolò Fabi il suo percorso lo ha fatto e ne porta i segni. Per chi non lo sapesse, nel 2010 il cantautore ha vissuto lo strazio della perdita della figlia Olivia di due anni per una meningite fulminante. La canzone Ecco arriva a questo punto della serata non viene introdotta da parole, ma dall’accendersi di una serie di lampadine, che non possono non ricordare delle candele, non possono non far pensare ad una preghiera, straziante ma accorata. È uno dei momenti più intensi della serata; le cose accadono e non si può tornare indietro, ma di certo non ti lascerò sparire, il ritornello. Questo grande artista non vuole dimenticare il dolore, ma continuare a farsi interrogare. 

Sedici modi di dire verde permette di illustrare un altro risvolto di questa terribile perdita, l’aiuto a chi sta peggio di noi attraverso la ONLUS Medici per l’Africa. ’apporto di Niccolò è nato proprio dopo la scomparsa della figlioletta. Oriente Vento d’estate due dei pezzi più trascinanti e quasi inevitabili, mentre Giovanni sulla terradal lavoro realizzato in comproprietà con Gazzè e Silvestri, opera precedente alla presente. Solo un uomo,dall’omonimo album è un brano ingiustamente non molto conosciuto ma estremamente intenso, seguito dalla bellissima Costruire merita un applauso a scena aperta e una lunga standing ovation finale. Altro salto nel passato leggermente meno prossimo avviene grazie a Offeso Lasciarsi un giorno a Roma, di festa finale e pubblico in piedi a ballare. 
Si chiude la scaletta ufficiale e tutti escono di scena per qualche minuto. Rientra solo l’artista e si siede al pianoforte per eseguire Vince chi molla, ed intenso inno alla libertà di saper abbandonare tutto per poter viaggiare con un bagaglio leggero. E qui accade un altro episodio inaspettato: l’artista si mette a servizio dell’altro cantautore presente sul palco, il già citato Alberto Bianco, e gli concede l’onore di un suo brano,Aeroplano, come un membro della band al pianoforte e qualche seconda voce. Ecco cosa accade quando ad esibirsi sono veri musicisti, cantautore compreso. Tutta la band spesso canta le parole delle canzoni di Niccolò, anche se non è previsto che faccia i background vocals; di grande coesione, di adesione al progetto, della voglia di fare musica insieme. 
Non c’è un ear monitor (gli orrendi auricolari che isolano dal resto del mondo) neanche a cercarlo con il lanternino. Musica vera, suonata, a tratti non impeccabile; non è tutto perfetto, grazie a Dio, però è tutto vero. Niente sequenze, nessuna necessità di rifare pedissequamente tutti i suoni dei dischi, perché un album è un album e un concerto è un concerto. Ma non è ancora finita. C’è ancora tempo per due brani conclusivi tratti entrambi da Ecco: Una buona idea Lontano da me, quest’ultima che va a citare Country Roads John Denver. Ed anche se sono le strade di città, e non quelle di campagna, a riportarci a casa, ci andiamo certi di aver partecipato ad una serata che ha riempito il cuore, ad un incontro con un grande artista ed un grande uomo, in una cornice veramente live cui tutti gli artisti dovrebbero tornare se e quando ne sono in grado.