Nel luglio 2008 su “Il Foglio” , allora diretto da Giuliano Ferrara, grande melomane, venne lanciato, tra gli antidoti della incipiente recessione – nessuno pensava che nel 2016 non ne saremmo completamente usciti – lo slogan “Esportar Cantando”. Uno slogan mutuato dal “Recitar Cantando” della fiorentina Camerata Bardi alle fine del Quattrocento.
Il ragionamento è semplice. Oltre il 30% circa degli abbonati al mensile di divulgazione musicale “L’Opera”, scritta in italiano e per italiani, risiede all’estero; il 20% in Giappone e Corea. Nel mio blog personale con recensioni a volte italiano a volte in inglese, oltre la metà dei lettori sono tedeschi, nordamericani o asiatici. Stanno crescendo molto i lettori in Cina, dove negli ultimi dieci anni sono stati costruiti 28 teatri per rappresentarvi opere europee, in gran italiane. L’italiano del teatro d’opera è diventato la seconda lingua franca – dopo l’inglese – in gran parte dell’Asia dove il pubblico è assetato dal desiderio d’opera italiana.
Le convenzioni del teatro in musica nostrano (dal barocco al melodramma al verismo e anche alla contemporaneità più sfrenata) non sono molto dissimili da quelle del “Gran Kabuki” giapponese e di alcune delle numerosissime forme d’opera cinese: di norma, c’è un intreccio più o meno complicato che viene declinato coniugando parole con canto e accompagnamento musicale, nonché danza ed effetti speciali. I sovrintendenti locali stanchi di ingaggiare compagnie dell’Asia centrale a basso prezzo (e scarsa qualità), invitano con sempre maggiore frequenza le produzioni dei nostri teatri, mentre i loro conservatori e le loro scuole di canto addestrano i loro connazionali con insegnanti italiani.
Nel 2011 il festival pucciniano di Torre del Lago è stato tenuto (dato che per un pasticcio burocratico era saltato il finanziamento ministeriale) grazie al provvido intervento di Cina e Giappone: La Bohème, giunse Hong-Kong, Madame Butterfly a cura di una compagnia giapponese che serve vari teatri dell’Impero.
Torniamo all’”esportar cantando”. Non dovrebbe il Dipartimento Internazionalizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico condurre analisi specifiche dell’indotto in termini d’export delle tournée di compagnie liriche italiane (si dispone già dei dati sul contributo finanziario che tali tournée hanno sui bilanci dei teatri)? E se le analisi confermano valutazioni qualitative che tale indotto è positivo e significativo, non dovrebbe il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo prevedere una “premialità”, nella ripartizione del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus), a favore dei teatri che più e meglio sanno contribuire all’”esportar cantando”?
Queste riflessione non potevano non venire al gala del 22 maggio per la nuova produzione di La Traviata. Non era forse presente tutta la Roma ‘che canta’ ma lo era tutta la Roma ‘che conta’. Il Teatro dell’Opera ha sfidato le serate di Sant’Ambrogio alla Scala. Smoking ed abiti da sera di rigore; ovazioni al termine dello spettacolo.
La serata è stata preceduta da un’anteprima per i giovani il 20 maggio. La ‘’prima’ vera e propria per abbonati ha avuto luogo il 24 maggio. Al 20 maggio, la biglietteria aveva già venduto biglietti dello spettacolo per 1,2 milioni di euro. Oltre all’anteprima per i giovani e il gala, per questa stagione sono in programma 15 repliche, ma è probabile che la produzione verrà ripresa l’anno prossimo e portata in tournée in Europa e Giappone. Il 19 maggio, l’International New York Times ha dedicato allo spettacolo, ancora in preparazione, mezza pagina; non è escluso che alcuni grandi teatri americani si facciano avanti.
Quali ragioni di tanta attesa? E’ la prima volta che Sofia Coppola si dedica all’opera e che i costumi sono firmati dalla ‘maison’ di alta moda Valentino Garavani e Giancarlo Giannetti oltre che da Maria Grazia Curi e da Pierpaolo Piccoli, nonché dalla sartoria del teatro romano. Le scene sono di Nathan Crowley La concertazione è affidata ad un giovane direttore d’orchestra che si specializza in opere verdiane, Jader Bignamini- Si alternano due cast, con cantanti giovani nei ruoli dei due protagonisti.
Il Sovrintende della Fondazione ha precisato che questa non è una co-produzione. Tuttavia, non solo per le 15 recita in cartellone quest’anno al 20 maggio erano stati venduti biglietti per i 1.20 milioni di euro,ma prima ancora che si tenesse l’anteprima giovani sono giunte richieste di tournée o noleggio dal Giappone e dalla Spagna. Questa produzione verrà esportata certamente e sarà un ambasciatore del ‘made in Italy’:
Ho trattato altrove degli aspetti più tecnico musicali. In questa sede, voglio ricordare che Silvia segue letteralmente il libretto, ma sposta l’azione a fine Ottocento- inizio Novecento, rendendola un ‘dramma borghese’ (quali quelli alla Ibsen) . Molto efficacia le scene. Ogni quadro è di un differente colore: Molto eleganti indubbiamente tutti i costumi, non solo i quattro abiti di Violetta creati personalmente da Valentino.
Buona la concertazione di Bignamini. I due protagonisti (Francesca Dotto ed Antonio Poli) sono stati scelti anche per la loro avvenenza che rende credibile il ‘dramma borghese’. Antonio Poli è un Alfredo maturo (la parte comunque non presenta grandi difficoltà). Francesca Dotto è cresciuta molto rispetto all’autunno-inverno 2014 quando ascoltai la sua Violetta a La Fenice; ha anche affrontato brillantemente il ‘mi bemolle’ al termine del primo atto. Roberto Frontali è un veterano del ruolo di Giorgio Germont ed Anna Malavasi un’impeccabile Flora. Di livello i caratteristi nei ruoli minori.