La grande saga del jazz internazionale si è conclusa con gli strali del direttore artistico Carlo Pagnotta che, nel corso della conferenza stampa di chiusura, si è giustamente scagliato contro le Istituzioni  (Comune di Perugia) per aver destinato a Umbria Jazz solo cinquantamila euro, quando ad una posticcia rievocazione medievale è stato assicurato più del doppio. Pagnotta ne ha avuto per tutti lamentandosi dello stato in cui versava il Teatro Pavone. “Umbria Jazz è all’asta” ha minacciato, invitando gli altri comuni Umbri a farsi avanti per la prossima edizione. Che dire, un Festival che è considerato un must frequentato da migliaia di persone provenienti da  tutto il mondo, messo in forse dalla cecità delle istituzioni. 



Invariata la formula  dei “tre festival in uno” che vede concentrati all’Arena Santa Giuliana gli eventi di maggior richiamo, nei teatri (Morlacchi e Pavone) i concerti più specialistici e nei palchi all’aperto disposti in centro città le esibizioni gratuite. Quest’anno si sono inoltre aggiunte due prestigiose location come la Sala Podiani della Galleria Nazionale dell’Umbria e la Basilica Benedettina di San Pietro dove di sono esibiti Paolo Fresu e Daniele Bonaventura con due interessanti progetti (Mistico Mediterraneo e Altissima Luce- Il Laudario di Cortona).



Come sempre l’evento ha messo in cartellone il meglio del jazz mondiale, nonostante la mancanza di grandi progettualità. In effetti – ci ha confidato Marc Johnson il grande contrabbassista di Bill Evans, presente al festival con gli Steps Ahead –  oggi è praticamente impossibile montare band stabili con una progettualità a medio e lungo termine causa lo streaming e il dowload che hanno praticamente azzerato la vendita di cd.

Nonostante questo, i concerti hanno presentato momenti di grande interesse. Il festival si è aperto con Massimo Ranieri che ha lasciato piuttosto freddi i suoi estimatori,  probabilmente impreparati alla sua rilettura dei classici napoletani  in chiave jazz. Il trionfatore della rassegna è stato il cantante Mika. Sold out in prevendita Mika  ha portato a Perugia miriadi di giovani. Bello show, scenografie curate, buona band, indubbie capacità sceniche, innata simpatia, immagine positiva hanno decretato un grandissimo successo al cantante franco libanese, autentico fenomeno  mediatico. 



Di ottimo livello l’esibizione del trio composto da John Scofield, Brad Mehldau e Mark Giuliana. I tre hanno proposto una musica i brida in cui elettrico ed acustico si sono fusi in un bel connubio con John Scofield  molto sciolto, con un suono più rock che jazz e un Mehldau a suo agio fra tastiere e piano acustico. Un bel set che ha introdotto una delle esibizioni più attese del Festival quella di Kamasi  Washington,  astro nascente del jazz che con il suo quarto album il triplo cd THE EPIC (il primo non autoprodotto),  aveva fatto sussultare critica e appassionati di tutto il mondo. Il concerto è stato molto al di sotto delle attese, accompagnato da una band variopinta  ed altalenante nelle capacità (imbarazzanti la cantante e il trombonista) Washington ha investito l’arena con una musica tutta muscoli. 

Bravo strumentista, nel suo fraseggio echi di Rollins, Barbieri  e Ayler non ha dimostrato dal vivo di avere una statura tale a quella paventata dal cd. Nonostante il bravissimo contrabbassista  Abraham Mosley e il padre Rickey impegnato al soprano e flauto  e i due torrenziali batteristi, la band ha peccato oltremodo in fatto di precisione non riuscendo minimamente a  rappresentare  al meglio il cd The Epic dal quale erano tratti i brani in scaletta.

Sulla stessa scia la serata funky dedicata a Prince che vedeva all’opera Cory Henry e i Funk Apostles e il veterano George Clinton con i suoi Parlamient Funkadelic  (ben venti elementi sulla scena). La maggior delusione è venuta dal talentuoso Cory Henry noto ai più per essere uno dei tastieristi degli Snarky Puppy.  Due batteristi, due chitarre, seconda tastiera ed una cantante, nei primi due brani il set sembrava decisamente interessante fino a che il leader ha pensato  più  a fare spettacolo che ha suonare. Molto meglio il vecchio Clinton con la sua poderosa ed inarrestabile macchina da guerra. Conferma per  Diana Krall, sempre più vicina al pop di lusso che al jazz. Eccellente il concerto di Brandford Marsalis con qualche riserva per il crooner Kurt Elling  special guest del quartetto. 

Pat Metheny, altro storico protagonista di Umbria Jazz si è presentato in duo con Ron Carter, gigante del contrabbasso. Chi si aspettava di rivivere le emozioni dello storico duo con Charlie Haden è rimasto deluso. Proposti diversi standard insieme ad alcuni brani dello stesso Metheny. Il chitarrista in tour europeo, alterna , a seconda delle date, il suo quartetto a questo duo, e a Perugia, pur suonando molto bene, ha confermato di attraversare un periodo di stasi creativa. Il celebre suono della sua chitarra è un lontano ricordo, ed il suo tocco non sembra essere più lo stesso, soprattutto sull’acustica a corde di nylon, sulla quale ha eseguito Always and Forever. Di grande impatto il brano eseguito alla Manzer Pikasso 42 corde . La serata si è chiusa con la gagliarda esibizione di Enrico Rava che sfidato il vento e la pioggia incombente.

Sempre all’Arena Santa Giuliana  sono andati in scena gli Steps Ahead che dividevano il concerto con la band di Marcus Miller.

Gli Steps Ahead  seppure lontani dal leggendario concerto  concerto degli anni ’80 quando in formazione vantavano Michael Brecker e Peter Erskine, sono stati protagonisti di un gran bel set, probabilmente datato come suoni ma decisamente all’altezza come gusto e bellezza dei pezzi. In grande spolvero il leader Mike Manieri al vibrafono e la pianista Eliane Elias, recente vincitrice di un Grammy. Gran bel fraseggio del sassofonista Donny Mccaslin ascoltato nell’ultimo album di David Bowie . Ottimo  Billy Kilson con il suo drumming elegante,  ineccepibile Marc Johnson, uno dei grandi del contrabbasso moderno. Applauditissima l’esecuzione di Pools classico dei vecchi Steps. 

A seguire il concerto di Marcus Miller, dove impegno e buona musica si sono fusi, con qualche eccesso  negli assoli del leader. Ottimo il sound della band, facilitato dallo stupendo impianto audio di Umbria Jazz. Proposti oltre al classico  Tutu di Miles Davis, brani tratti dall’ultimo lavoro AFRODEEZIA. Il concerto finale all’Arena Santa Giuliana prevedeva Stefano Bollani con il suo Napoli Trip e Chick Corea con Homage To Heroes con il quale festeggia i suoi settantacinque anni. A sorpresa il concerto ha visto in scena la rivelazione del Festival, il tredicenne pianista Joey Alexander . Originario di Bali si è messo in luce al recente International Jazz Day alla Casa Bianca ed è stato subito “catturato” da Pagnotta come resident artist per i concerti delle 17 al Teatro Pavone. Giusto consentirgli un breve set all’Arena; considerato il grande talento messo in mostra, il gran tocco e le  buone capacità di improvvisazione, farà senz’altro parlare di sè a lungo.

Bello, divertente, con momenti strumentali di altissimo livello, il concerto di Stefano Bollani, particolarmente in forma, ha presentato sul palco due grandissimi musicisti quali Daniele Sepe al tenore e Nico Gori  al clarinetto, capaci di giganteggiare alla pari del leader. Ottimo Jim Black alla batteria. Toccante omaggio a Pino Daniele ad alcuni classici della canzone napoletana e momenti esilaranti quando Sepe ha preso la scena in una sorta di monologo alternando musica a parlato con la band alle prese con un’inedita forma di teatro canzone .

Gran chiusura con Chick Corea e la sua band composta da Christian Mc Bride al contrabbasso, Kenny Garrett al sax, Wallace Roney alla tromba e Marcus Gilmore alla batteria. Corea in gran serata si è diviso fra piano acustico e piano elettrico, dando vita ad un gran set. Molti i classici proposti, toccante la esecuzione di Sicily dedicata a Pino Daniele il quale ne fece una bellissima versione cantata accompagnato dal piano dello stesso Corea. Stupendo Affinity,  un altro dei classici del repertorio di Corea. Niente di nuovo qualcuno ha detto ma ben vengano, diciamo noi, concerti di questo livello.

Tanti gli italiani presenti da Danilo Rea impeccabile in duo con Ramin Bahrami con progetto In Bach,a Ezio Bosso in concerto al Morlacchi, a Gianluca Petrella con  Cosmic Renaissance, a Fabrizio Bosso con il progetto Duke. Bosso è stato insignito del premio 2016 della Fondazione della Cassa di Risparmio di Perugia.  The Golden Circle ha riunito Enzo Pietropaoli, Rosario Giuliani, Fabrizio Bosso e Marcello Di Leonardo nel loro Omaggio a Ornette Coleman. Successo per l’esibizione di Jacob Collier, uomo orchestra, con il suo spettacolo multimediale, che si è esibito in un Teatro Pavone stracolmo, suscitando grande entusiasmo. Gran talento indubbiamente, ma non crediamo sia questo il futuro della musica. Una doverosa nota di merito per I Funk Off la marching band guidata da Dario Cecchini che anima da anni le strade e le location della kermesse umbra, sempre bravi e coinvolgenti. Presentazioni di Libri alla Feltrinelli e altre attività collaterali al festival hanno animato l’intera città. Bella l’iniziativa dei pianoforti Fazioli che ha esposto l’intera produzione nella sala Raffaello dell’Hotel Brufani, consentendo agli appassionati di vedere da vicino questi capolavori della nostra liuteria. Il Fazioli Point è stato visitato da molti dei pianisti presenti inclusi Mehldau e Joey Alexander. L’arrivederci  è a Orvieto per Umbria Jazz Winter, con l’augurio che i nostri politici consentano di lavorare a chi ha fatto dell’Umbria una delle capitali del jazz mondiale.

(Filippo Bruson)