Nel nostro viaggio alla scoperta delle band americane che si muovono nel sottobosco Folk/Rock, che valorizzano e rivisitano i suoni della tradizione e che si esibiscono incessantemente da una costa all’altra degli Stati Uniti, gli Avett Brothers sono tra i più conosciuti e apprezzati in patria. La passione per la musica dei fratelli Seth e Scott nasce tra le mura domestiche e sin dai primi anni duemila la nuova famiglia è con Bob Crawford e Joe Kwon, le altre colonne portanti della band.



I fratelli Avett non raggiungeranno mai la fama dei celeberrimi fratelli Allman o dei fratelli Blues ma… da quando il produttore Rick Rubin si è accorto di loro nel 2008, li ha presi sotto braccio e li ha portati nella sua American Recordings, le opportunità per la band del North Carolina si sono moltiplicate. Da allora non li ha più mollati e insieme hanno inciso quattro dischi incluso l’ultimo True Sadness pubblicato in questi giorni. 



Nella lettera indirizzata ai fan (Dear Friends) scritta a marzo, Seth Avett aveva già svelato la linea stilistica e le influenze musicali del nuovo album: “Queen, Sister Rosetta Tharpe, Jimmie Rodgers, Tom Petty, Nine Inch Nails, Gillian Welch, Aretha Franklin, Walt Disney, Pink Floyd, Kings of Convenience, calypso degli anni cinquanta e country degli anni trenta. E come sempre, ovviamente, del Rock and Roll”. Alcuni nomi certamente sorprendono ma non c’è motivo per cui nel corso degli anni si debba rimanere sempre fedeli alla linea originaria ed è proprio quando i fratelli osano di più, proprio dove le “nuove contaminazioni” musicali sono più marcate che il risultato ottenuto è meno soddisfacente. Forse troppo ricco di arrangiamenti,  l’album ci impiega un po’ ad ingranare: dei primi sei pezzi si salva solo la bellissima Smithsonian, una ballata tradizionale con una armonia di voci davvero suggestiva.  



Il suono del primo singolo Ain’t No Man invece spiazza un po’ perché non sembra affatto una canzone della band del North Carolina: dimenticano il banjo nella soffitta di casa lo sostituiscono con un battito ritmico di mani e piedi alla “We will rock you”. Per niente irresistibili anche You Are Mine e Satan Pulls the Strings, quest’ultima peraltro non del tutto nuova in quanto già presente nella versione dal vivo dello splendido Live Volume 4 uscito alla fine dello scorso anno. Delle successive sei invece non sbagliano un colpo, o quasi.  True Sadness parla di Tristezza Vera che fortunatamente non cade nella disperazione grazie ad un ritmo accattivante che crea buonumore e ad un buon amico: “Mi sei stato amico quando le mie ruote erano fuori strada, lo so che mi dici che non c’è bisogno ma ho intenzione di sdebitarmi”.

Gli Avett Brothers hanno sempre scritto da un punto di vista autobiografico e non potevano certo esimersi proprio ora che Seth ha dovuto affrontare la prova difficile del divorzio: “Ogni evento che porti ad un cambiamento di vita non può che alimentare il processo di scrittura delle canzoni. Se sei onesto con la tua arte, credo che sia inevitabile parlare di queste cose”. 

Proprio in Divorce Separation Blues, per quanto poi Seth si sia risposato e abbia avuto una bimba dalla nuova relazione, racconta in maniera molto lucida ed efficace il fallimento del divorzio: “No celebration, Bad communication, Worse interpretation, Love deprivation, Pain allocation, Soul disruption, Cold desolation, Life complication, Resuscitation”. Detto tutto. I wish I was ha quel tocco malinconico che non guasta mai mentre Victims of Life, a dispetto del titolo, ha un ritmo “solare” come The Sound of Sunshine di Michael Franti. L’album si chiude poi con un walzer, May it last che svela la veste orchestrale della band.

Giunti al nono album, sapientemente guidati da Rick Rubin, gli Avett Brothers stanno lentamente virando verso nuovi orizzonti musicali. 

Da un suono più grezzo e diretto si stanno spostando verso uno più raffinato e ricercato. Rubin ha avuto il merito di farli conoscere ad una platea più ampia ma questo ha comportato la perdita della freschezza dei primi album. Che piaccia o no questa è la loro evoluzione. Gli Avett Brothers dal vivo spaccano e difficilmente potranno tradire: che sia in un piccolo club della Baia o in un’arena spaziosa, l’entusiamo e la carica che sanno trasmettere è contagiosa. Il grande pubblico ne ha avuto un assaggio in occasione dei Grammys del 2011 quando hanno eseguito la loro Head Full of Doubt/Road Full of Promise e poi insieme ai Mumford & Sons hanno accompagnato Bob Dylan in una Maggie’s Farm selvaggia e sfrenata. 

Facciamo un appello, firmiamo una petizione, o come è stato per i Foo Fighers organizziamo un mega raduno, stavolta una sessione per soli banjo e chitarre acustiche dove suonare tutti insieme Swept Away o Salvation Song. Vale tutto, ma portiamoli in Italia!