Aveva pure concordato tramite i suoi legali di pagare a rate i (molti) soldi che doveva al fisco, ben 800mila euro. Invece non pagherà nulla perché, dicono i giudici, siccome non è possibile determinare con certezza quando era cominciata l’evasione, ma sicuramente prima del 2008 – dicono i giudici ma da cosa l’abbiano capito non si sa – allora va automaticamente in prescrizione. Una vicenda, quella finita bene, anzi benissimo per Gino Paoli, cominciata l’anno scorso durante l’inchiesta che aveva coinvolto la banca ligure Carige: in carcere l’ex presidente dell’istituto di credito e il commercialista Andrea Vallebuona. A tal commercialista il cantautore genovese si era rivolto per far “rientrare” dalla Svizzera una cifra pari a due milioni di euro che si trovavano su un conto in una banca del paese elvetico. Soldi in nero, era stato appurato, ricevuti come compensi per la sua attività musicale, in particolare ai festival dell’Unità. L’accusa ha sostenuto che non avendo pagato tasse su quel guadagno milionario, Gino Paoli pagasse “una multa da 800mila euro”. Ai tempi l’autore di classici come Il cielo in una stanza si era difeso digrignando i denti, minacciando fisicamente chi lo accusava di essere un evasore fiscale. Ma saltarono fuori intercettazioni telefoniche. E dire che Paoli era anche il presidente della Siae, la società dei diritti d’autore, quella cioè che deve controllare che gli artisti ricevano le percentuali sui loro spettacoli e sulle loro canzoni incise o passate in radio e tv e che fa pagare le tasse anche a chi fa uno spettacolo di beneficenza per i bambini che muoiono di fame. Non ne scappa uno ai controllori severi della Siae.. Adesso che il reato è prescritto e di euro non ne sgancerà neanche uno, dice che si trattava “di un sistema diffuso” quello di pagare in nero gli artisti alle feste dell’Unità. Vabbè dai siamo genovesi… e poi se il sistema era diffuso, un po’ come diceva Bettino Craxi ai tempi di Tangentopoli, chi siamo noi per sottrarci al sistema? E chissà quanti altri eroi cantautori di una generazione col pugno chiuso, la salamella nel panino e la t-shirt di Che Guevara si sono messi soldi in tasca frodando lo stato e i cittadini che le tasse le pagano su ogni cosa busta paga compresa. D’altro canto uno di loro, Francesco Guccini, lo cantava già negli anni 70: “Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni, voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i c….”. E io pago, diceva ancora prima Totò… La speranza è che i severi controllori della Siae si rechino ai prossimi concerti di Gino Paoli a controllare che tutto sia in regola. Ma ne fa ancora di concerti? E i festival dell’Unità? Esistono ancora pure quelli? Controlliamo che le salamelle non siano in nero, per favore. Nel senso di bruciate eh. Intanto la gente paga le multe arretrate anche precedenti al 2008.
(Paolo Vites)