Il Rossini Opera Festival (Rof) ha trentasette anni. Ma non li dimostra. È stato inaugurato l’8 agosto da uno spettacolo (La donna del lago) concepito da due giovani amici cha lavorano da anni insieme (il maestro concertatore, Michele Mariotti, alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, e il regista Damiano Michieletto con i suoi consueti collaboratori – Paolo Fantin per le scene, Klaus Buns per i costumi e Alessandro Carletti per le luci). Appena trentenni le due protagoniste (la georgiana Salome Juicia, e l’armena Vardui Abrahamyan), la prima del ruolo della protagonista, Elena, e la seconda in quella del suo fidanzato, e sposo nella scena finale, Malcom. Sono certo che faranno una strepitosa carriera.
Giovane anche l’allestimento anche se si volge in una scena unica, da dove il lago trapela dietro un canneto nel giardino della casa malridotta di due anziani. Elena e Malcom sono sposati da almeno cinquant’anni anni, un matrimonio ormai consunto. Malcom in uno scatto d’ira rovescia il vaso di fiori che Elena porta alla foto di Giacomo di Scozia; probabilmente lo ha amato più di Malcom – ha comunque fatto con lui la prima volta l’amore su un divano. I due vecchietti (sempre in scena) si ricordano le complicate vicende che nella Scozia del romanzo di Walter Scott, del libretto di Andrea Leone Tottola e della musica di Gioacchino Rossini portarono alle loro nozze in un clima di lotte tra clan. L’intreccio è un flashback durante il quale i due anziani ritrovano il loro affetto e Malcom comprende la breve, ma fortunosa avventura, tra La donna del lago e Giacomo.
Una regia che può sembrare più adatta a un dramma di Ibsen o a uno degli ultimi film di Bergman che a una delle due opere di Rossini – l’altra è Guillaume Tell – più densa di presagi romantici. Calza , però, a pennello (nonostante le riserve espresse da alcuni critici) La donna del lago e la rende commovente. Anche il rondò finale e il mi bemolle con cui l’opera apre e chiude diventano commoventi e ci fanno respirare le brume della regione dei Laghi e della Scozia, nonché la melanconia del passaggio degli anni. Una concezione innovativa, densa di sentimento e lontana mille miglia da quella oleografica spesso associata (anche al Rof) a questo titolo della produzione rossiniana.
La produzione di Michieletto non avrebbe retto senza la concertazione di Mariotti, dagli echi iniziali di trombe agli abbandoni appassionati di Elena sia con Giacomo (un Juan Diego Floréz in grandissima forma), sia con Malcom, alla passione di Rodrigo, altro innamorato di Elena (Micheal Spyres), agli appelli di Duglas (Mirko Mimika), padre di Elena e capo clan ribelle al Re di Scozia.
La concertazione di Mariotti non solo tiene bene gli equilibri tra buca e scena e guida i cantati (non si fa guidare da loro), ma mostra che il viaggio di Rossini (se non avesse deciso di andare in pensione a 37 anni) non sarebbe andato né verso il melodramma italiano, né verso il grand-opéra francese ma verso la versione tedesca (Weber, Marschner) in cui i drammi psicologici dei personaggi si rispecchiano nella natura e nei suoi colori. Le varie tinte della natura sono lette egregiamente da Mariotti come specchio dell’azione.
Grande e meritato successo. Il lavoro è coprodotto dall’Opéra Royale de Wallonie a Liegi, ma speriamo che venga proposto dalle maggiori fondazioni liriche italiane.