Stanco della moglie Zaida, il bel Turco Selim sbarca a Napoli (poiché crede che le italiane siano belle e disponibili). Vi incontra Fiorilla, coniugata con il vecchio Geronio, ma corteggiata del fatuo Narciso (trasformato in un seminarista nella versione al Rossini Opera Festival 2016), mentre Zaida (travestita da zingara), con l’aiuto del poeta Prosdocimo, vuole riconquistarlo. Dopo una catena di equivoci ciascuno finisce sotto le lenzuola giuste.
Nel Settecento, ciò avrebbe innescato una farsa, mentre nel 1814, il ventiduenne Giacchino Rossini e il venticinquenne Felice Romani, ambedue già pieni di esperienza non solo di teatro in musica ma anche con il gentil sesso, costruiscono una commedia cinica e amara (ma non priva di momenti divertenti) che, alla “prima”, lasciò perplesso il pubblico della Scala. Venne rappresentata come opera buffa per qualche anno e ignorata sino a quando, nel 1950, venne riscoperta da Gianandrea Gavazzeni con Maria Callas nelle piccole stagioni per esordienti al Teatro Eliseo di Roma.
Ora “Il Turco” è opera che viene eseguita con una certa frequenza in Italia ed è in repertorio nei maggiori teatri tedeschi e americani. La difficoltà principale consiste nel mantenere il fondo amaro nonostante l’intreccio da pochade. Alcuni anni fa, a Roma Stefano Viezoli (un veterano de “Il Turco”) ci riuscì bene in allestimento in cui la vicenda è spostata agli anni ‘30, tra i vitelloni della Napoli di Piazza Amedeo: gli aspetti comici dominano la prima parte mentre il cinismo è a tutto tondo nella seconda.
In questa nuova edizione al Rossini Opera Festival (Rof) Il turco in Italia, Davide Livermore (regista e scenografo) e i suoi collaboratori (Gianluca Falaschi per i costumi, D-work per i video, Nicolas Bovey per le luci) situa l’azione all’inizio degli anni Sessanta, a Cinecittà sul set di Otto e ½ con richiami anche a La dolce vita e a Lo sceicco bianco. L’opera da “commedia per adulti” sulla fedeltà coniugale diventa una colorita farsa piena di gag. Un’interpretazione che è piaciuta al pubblico, ma ha sollevato qualche perplessità tra alcuni critici in sala. L’idea è originale e divertente, ma lontana dalla concezione di Rossini e Romani, e alla lunga i continui riferimenti felliniani stancano un po’. Comunque, grazie alla velocissima azione (tra aerobica e slanci atletici), le tre ore dello spettacolo passano rapidamente e con allegria.
La Filarmonica Gioacchino Rossini è affidata a una giovane direttrice (una rarità in Italia), Speranza Scappucci, che ha già fatto esperienze anche all’estero; ha concertato in modo spigliato, in armonia con una regia piena di ritmo. Una direzione puntuale pur se gli ottoni qualche volta sbavano, gli archi non scivolano mai nel languido (come avviene in altre esecuzioni del “Turco”) e il fortepiano è protagonista dei recitativi (così importanti in quest’opera). L’orchestra è buona, ma ha ancora strada da fare prima di affrontare partiture complesse.
Di alto livello, tutte le voci (Erwin Schrott, Nicola Alaimo, Rene Barbera, Pietro Spagnoli). Ottima Olga Peretyatko nel ruolo della protagonista (Fiorilla); ha una splendida coloratura, specialmente nel rondò finale, anche se, a nostro avviso, sarebbe preferibile una voce leggermente più brunita e meno da “soprano soubrette”. Maria Callas propose una Fiorilla sfavillante ma con un timbro scuro. Quale quello che Olga Peretyatko sfoggiò un anno e mezzo fa alla Scala e alla Staatsoper unter den Linder ne “La sposa dello Zar” di Rimsky-Korsakov.