Quella mattina era uscito di casa con uno solo scopo, recarsi il più in fretta possibile al suo solito negozio di dischi, comprare il nuovo cd del suo cantante preferito che era stato programmato da mesi in uscita proprio quel giorno e quindi tornare ancora più in fretta a casa ad ascoltarselo. Era un vecchio rito a cui era affezionato, lui che comprava dischi da decenni, anche se le nuove tecnologie – la Rete – ormai stavano imponendo una nuova modalità d’acquisto, che per lui era quanto di più spersonalizzato potesse esserci. Seduto comodamente davanti al tuo computer a casa o in ufficio potevi ordinare il disco, pagarlo e riceverlo con un po’ di fortuna il giorno stesso dell’uscita, al massimo il giorno dopo. 



Ma per lui comprare un disco supponeva tutta una serie di valori che avevano dato gusto e complicità alla sua vita: uscire, prendere la metro, mischiarsi in mezzo alla gente, sentirsi parte di una comunità e soprattutto entrare nel negoziato dove aveva un rapporto di amicizia profondo con il proprietario e con gli altri clienti. I sabati pomeriggi passati lì dentro a discutere di musica erano quello che colorava la sua vita di passione e voglia di incontro. Dei nerd, probabilmente li avrebbe definiti qualcuno, vestigia del passato adesso che eravamo entrati trionfalmente nel terzo millennio, ma dei nere con un desiderio grande di bellezza nel cuore.



Quella mattina però sentiva qualcosa di strano dentro, come se quel rito a cui era ancorato stesse per scomparire. Le nuove tecnologie, la rivoluzione 2.0, il mondo virtuale, come una minaccia oscura che pendeva dal cielo. Non sapeva che proprio quella mattina dal cielo sarebbe esploso l’inferno e tutta la sua vita, anche l’ascolto dei dischi, sarebbe cambiata così come per milioni di persone al mondo.

Tornò a casa e c’era il televise acceso. La sua ragazza non lo salutò neanche quando entreò, era incollata allo schermo. “Che succede” chiese, ma lei non rispose, e così anche lui vide.
Today has been a sad ol’ lonesome day I’m just sittin’ here thinking With my mind a million miles away…”. Appoggiò il disco sul divano e nelle settimane seguenti se ne dimenticò. Quando poi finalmente lo ascoltò, gli vennero i brividi sulla pelle a sentire quei verso premonitori che si associavano in modo così inquietante con quello che era successo quella mattina dell’11 settembre 2001. “When I left my home the sky split open wide I never wanted to go back there—I’d rather have die…” (…) “I’m here to create the new imperial empire I’m going to do whatever circumstances require…” (…) “Feel like a fighting rooster—feel better than I ever felt But the Pennsylvania line’s in an awful mess and the Denver road is about to melt…” (…) ” I’m on the fringes of the night, fighting back tears that I can’t control Some people they ain’t human, they got no heart or soul Well, I’m crying to the Lord—I’m tryin’ to be meek and mild” (…) “I’m gonna baptize you in fire so you can sin no more”(…).  



Quello che lo lasciò sgomento in lacrime e raggelato fin nell’anima fu infine questa frase: “Sky full of fire, pain pourin’ down“. Era quello che aveva vista in televisione quell’11 settembre, un cielo pieno di fiamme e fuoco e il dolore che ne cadeva giù. Le altre erano profezie, maledettamente azzeccate, come d’altro canto Bob Dylan aveva semipro fatto nelle sue canzoni. Così era anche in quel disco uscito l’11 settembre 2001, “Love and Theft”.

Lui sale in macchina, esce dalla lussuosa abitazione circondata da cancellate e va in città a fare la spesa. E’ forse la più grande rock star vivente, ma non ha mai perso i suoi connotati di uomo comune. Non ha mai disdegnato fermarsi per una foto, una battuta, a volte anche una canzone per strada con i suoi fan. E’ amato. Rappresenta lo spirito americano più umile, quello che ha costruito questo paese, il working class hero, l’eroe della classe operaia, e la gente questo lo sa. Nei suoi dischi e nelel sue canzoni la gente comune si è sentita rappresentata, raccontata, condivisa. Quello stesso paese che adesso mesi dopo quell’11 settembre sembra però non riprendersi più, smarrito, dolorante, ferito. Anche lui è confuso. La gente lo ferma, gli si avvicina al finestrino e gli chiede di scrivere una canzone, magari anche un disco, su quel dolore: abbiamo bisogno di te, gli dicono. Lui sorride di malavoglia e si allontana in silenzio. Alla fine quel disco lo scriverà, anche se gli costerà parecchia fatica, dolore, ma alla fine sarebbe stata una forza salvifica

“The Rising”, uscito il 30 luglio 2002 a quasi un anno di distanza dagli attacchi alle Torri Gemelle, è tra i migliori dischi di Bruce Springsteen in assoluto, sicuramente il più vario musicalmente. Sebbene sia il primo disco con la E Street Band dopo quasi vent’anni, del suono tipico della sua band storica conserva molto poco, a parte la divertente Mary’s Place. Ed è questa la prima cosa importante, una scelta coraggiosa che sottolinea una ricerca musicale convinta (non sarà più così per Springsteen dopo questo disco) e l’importanza di un messaggio che va oltre il semplice comeback di una delle macchine più potenti della storia del rock, appunto la E Street Band con il suo leader.

Grazie al contributo di Brendan O’Brien, il produttore che lanciò i Pearl Jam, Springsteen mette a punto un suono muscolare ma allo stesso tempo raffinato, dove ritmica preponderante (Max Weinberg non è mai stato registrato in modo così efficace) e partiture di archi si mischiano in modo perfettamente riuscito a riff squadrati e devastanti di chitarra nella loro forza trascinante, assoli sempre di chitarra sporchi e laceranti, e cori di voci trascendenti Su tutto naturalmente una delle voci più carismatiche e “nere” del rock americano catturata in alcuni dei suoi momenti migliori. C’è anche sperimentalismo, elettronica, world music, hip hop e perle acustiche. Tutto quello che serve per raccontare nel modo più efficace e diretto possibile le storie di chi ha perso la vita quell’11 settembre, il dolore, lo smarrimento e la solitudine dei familiari, di una nazione intera e anche di chi era dall’altra parte, il terrorista senza volto e senza pietà.

In modo taumaturgico, Springsteen delinea una galleria di ritratti così realista e così partecipata come non faceva dai tempi di Nebraska. Ma a differenza di quel disco, qua non è una galleria di perdenti e di sconfitti dalla vita, qua è una umanità sì dolente ma che viene colta nella speranza di una rinascita, della risurrezione, come dice la straordinaria title track, un brano che non a caso Springsteen include ancora nei suoi concerti più recenti. E se My City of Ruins era stata scritta prima del”11 settembre, il significato è lo stesso. E’ il gospel della resurrezione, il vangelo della speranza: l’uomo da solo non basta, serve la redenzione.

“Ogni disco che ho fatto è una emanazione di quel panorama che per me è l’America. L’America per me è come una marea montante che solleva tutte le navi e non ho mai veramente cercato ispirazione da qualcosa d’altro” dirà Bob Dylan a proposito di “Love and Theft”. “L’intero album si occupa del potere. Se la vita ci insegna qualcosa, è che non c’è niente che gli uomini e le donne non potranno fare per ottenere il potere. Potere, ricchezza, conoscenza e la salvezza è il mio modo di vedere le cose. Se si tratta di un grande album – che spero che sia – è un grande album perché si occupa di grandi temi. Si parla dei problemi e degli ideali di un’epoca in qualche nazione e, spero, anche attraverso i secoli. Sarebbe buono domani come lo è oggi e sarebbe stato buono ieri” aggiunge. Esattamente come The Rising, anch’esso un disco che trascende il momento storico in cui fu concepito (peraltro, contengono il primo un pezzo che siintitola Lonesome Day Blues e il secondo uno che si chiama Lonesome Day).

Il disco di Bob Dylan ammonisce, mette in guardia e punta il dito; quello di Springsteen accompagna, getta uno sguardo misericordioso e indica la via di una possibile salvezza. Musicalmente, sono tra i più bei lavori discografici delle loro incredibili carriere. Quindici anni dopo suonano e parlano ancora come allora e come allora le Torri Gemelle stanno ancora bruciando e gettando morte giù dal cielo. Per questo ancora oggi quei due dischi vanno conservati come oggetti preziosi, in grado non solo di lenire il nostro dolore, ma di indicarci una strada. Bob Dylan e Bruce Springsteen sono sempre stati la voce dell’America, da angolature diverse, ma con la stessa preoccupazione: un destino condiviso.