C’è una malattia che colpisce gli appassionati di musica (ma non solo, vale anche in altri campi) che si chiama “fandom”. Essa, più familiarmente nota come virus del fan, rende l’appassionato di un artista o di una band, talmente innamorato di lui e della sua produzione, a spingerlo a volere tutto di quell’artista e naturalmente sapere anche tutto di lui. A volte si scoprono particolari privati che sconcertano: ma come, uno che scrive canzoni così belle tratta male la moglie? e amenità del genere. 



Per quanto riguarda la musica, la malattia del fan lo porta a cercare avidamente e spesso con forti spese economiche, ogni registrazione possibile del suo idolo, in concerto ma anche e soprattutto quelle rimaste nei cassetti, nei cosiddetti “archivi”, magari anche quando l’artista era al gabinetto e gli era venuta una intuizione che non riusciva a trattenere insieme alla pipì e si era portato il registratore nel WC. E’ la caccia al Sacro Graal e tutti ne abbiamo sofferto. Da appassionato di Bob Dylan, ad esempio, il sottoscritto avrebbe venduto madre e fratelli per entrare in possesso della fantastica registrazione di un brano scartato da un disco uscito nel 1983, Blind Willie McTell di cui si fantasticava come di un capolavoro assoluto – era vero – fino a quando ci riuscì. Erano le registrazioni clandestine, i bootleg, venduti al mercato nero per cifre esorbitanti.



Questa fandom da circa vent’anni non ha più ragione di esistere, in quanto quasi tutti gli artisti, visto che i loro dischi nuovi non vendono quasi più niente, hanno aperto questi archivi e pubblicano dozzine di cofanetti di inediti, tracce rare, insomma svendono il Sacro Graal. 

Ecco allora che la malattia in questione gioca brutti tiri, come adesso che esce un disco di Bruce Springsteen, “Chapter and Verse” pochi giorni prima dell’uscita dell’attesa biografia dello stesso. Il disco è una sorta di “compagno” audio al libro, una operazione carina. 



Per la maggior parte si tratta di brani famosi della sua discografia, che Springsteen ha scelto perché ognuno di loro sottintende il contenuto di un capitolo del libro. Ma la cosa più interessante sono ovviamente ben cinque brani inediti compresi nel cd. Il fan però dice: accidenti ma io li ho già da anni. E’ un problema tuo caro fan, non dell’acquirente chiamiamolo generalista, ma forse meglio dire semplicemente appassionato che ha aspettato che l’artista stesso decidesse lui quando e come far uscire dei suoi inediti. Una osservazione questa che il fan non ha mai accettato: io ti amo e dunque ho diritto ad ascoltare tutto quello che hai inciso, anche le peggio porcate. 

L’artista ha un’altra concezione del suo lavoro ed è giusto che ne disponga lui: si chiama libertà di espressione.

Così Chapter and Verse stupirà chi questi cinque brani li ascolta solo oggi. Il primo pezzo, Baby I, è probabilmente la più antica incisione del futuro Boss, risale al 22  maggio del 1966 quando Bruce militava in una band del suo New Jersey, i Castiles. Scritta insieme a George Theiss, è un tipico brano del periodo British Invasion, quando Beatles, Stones, Them, Who, Kinks e tanti altri avevano invaso il mercato americano con un rock’n’roll rude e garage, giovanilistico ed eccitante. Doveva uscire come 45 giri ma non successe mai.

Il secondo pezzo risale ancora all’avventura Castiles ed è una ripresa del bluesman Willie Dixon resa famosa da Bo Diddley, You Can’t Judge a Book by It’s Cover, Springsteen imita qui l’amatisismo Van Morrison ai temo con i Them e ne fa una versione acerba ma grintosissima. Dopo i Castiles, Springsteen darà vita agli Steel Mill insieme a futuri membri della E Street Band tra cui il tastierista Danny Federici e Steve Van Zandt.

Ecco il terzo inedito, He’s Guilty: un brano dai riff alla Led Zeppelin (inciso nel 1970)  o dei Free, che ricorda anche certo sperimentalismo dei Cream, soprattutto nella parte vocale. D’altro canto erano i gruppi riferimento di quel periodo storico. Springsteen qui era solo il chitarrista (splendida la sua parte), alla voce tale Robbin Thompson. Il quarto pezzo risale al 1972, è nata la Bruce Springsteen Band e si intitola Ballad of Jesse James. Qua Bruce guarda ai gruppi di successo di questo altro periodo storico, come la Allman Brothers Band e in genere il southern rock.
E’ una rock ballad non molto originale, ma si sente che il ragazzo sta maturando un suo stile soprattutto vocale. Gli inediti si concludono con Henry Boy, registrato sempre nel 1972 quando Springsteen stava preparando il demo acustico che lo avrebbe fatto arrivare alla Columbia in cerca di un nuovo Bob Dylan. La melodia ricorda quella che poi diventerà l’ossatura della famosa Rosalita, la dimostrazione che adesso Springsteen aveva trovato la sua strada. Mancava poco e sarebbe fuggitop da quella città di perdenti per diventare una star.

Noi che non siamo andati a cercare nei bidoni della spazzatura queste registrazioni possiamo allora dirci soddisfatti di questo cd, che poi contiene gemme note e arci note come

Born to Run, Badlands, The River fino alle più recenti The Rising e Wrecking Ball. Lo ascolteremo leggendo l’autobiografia. Tanti auguri Bruce, oggi è anche il suo compleanno…