Grilli, cicale. Un suono in sottofondo che fa pensare, insieme a quei versi animali, immediatamente al caldo torrido di una soffocante giornata estiva. “Killer road is waiting for you… like a finger pointing in the night…”. Fa caldo a Ibiza, molto caldo, quel 17 luglio del 1988. Soprattutto nelle stradine di campagne.



Una donna sta pedalando in bicicletta. Ma fa caldo. Non è in gran forma fisica quella donna, anche se ha solo 49 anni, i 50 li deve compiere fra qualche mese, esattamente tre. “Nella tarda mattinata del 17 luglio 1988, mia madre mi disse che aveva bisogno di andare in centro a comprare della marijuana. Si sedette davanti allo specchio con una sciarpa nera avvolta intorno alla testa. Si fissò allo specchio ed ebbe molta cura nell’assicurarsi che la sciarpa fosse avvolta bene. Mentre scendeva la collina sulla sua bici, mi disse: “Tornerò presto”. Ci ha lasciato nel primo pomeriggio, il giorno più caldo di quell’anno”. 



Christa Päffgen, la donna in bicicletta, cade. Viene soccorsa, è senza conoscenza, viene ricoverata al Cannes Nisto Hospital dell’isola spagnola: la curano per un colpo di sole. Insolazione. Fa caldo quel 17 luglio 1988, maledettamente caldo. La donna muore il giorno dopo. In realtà, cadendo, aveva riportato una emorragia cerebrale. Non se ne accorsero.

Muore così Nico, la femme fatale dei Velvet Underground, la modella tedesca di una bellezza impossibile che Andy Warhol aveva voluto affiancare al gruppo di Lou Reed e John Cale per richiamare attenzione sulla band, non perché sapesse cantare particolarmente bene. Ma le sue incisioni nel primo disco dei VU sono rimaste nella storia lo stesso, così come il suo primo disco solista, “Chelsea Girl”, uscito nel 1967 e inciso con un giovanissimo Jackson Browne. Anche se Nico non sapeva cantare, la sua voce sapeva esprimere l’indicibile: il tormento, la paura, la solitudine, la perdita, la sconfitta, la passione, il cuore. Eroinomane per circa quindici anni, quel 17 luglio 1988 era da poco finalmente ripulita, disintossicata. Ma come accade a quel genere di persone, non seppe rendersi conto, sopravvissuti al veleno devastante, che si può morire cadendo di bicicletta per il troppo caldo, specie se il tuo fisico è ormai compromesso.



Esce in questi giorni un disco che la celebra, “Killing Road”, la strada che uccide, una collaboration tar il Soundwalk Collective, Patti Smith, anche lei femme fatale del rock, ma sopravvissuta, e la figlia Jesse Smith. Si tratta della  rielaborazione di otto testi di canzoni di Nico tratti da disci come “Desertshore” e “Drama of Exile”, più un testo inedito, la title track. “Killer Road”, inizialmente ulna installazione audio e video con la presenza degli artisti citati per la mostra del French Institute Alliance Francaise tenuta a New York come parte del Crossing the Line Festival del 2014 e in seguito portata anche a Londra e a Berlino, è adesso su disco.

Non aspettatevi canzoni (un paio in realtà ce ne sono) in questa sofferto ricordo del giorno in cui la cantante tedesca morì. Tutto si svolge nel caldo abbacinante di quel 17 luglio. Patti Smith declama con la sofferenza di un fantasma inquieto, sussurrando, ipnotizzando, su un tappeto sonico fatto di effetti, rumori, suoni ancestrali, tastiere evocative, versi di animali. 

Tre brani sono registrati dal vivo, due di questi cantati, Fearfully Stranger, I Will Be Seven The Sphinx, ma l’ambientazione non cambia. Le onde del mare di Ibiza introducono la prima con Patti Smith intenta in una performance canora di potenza immaginifica come solo lei sa fare, su rarefatte tastiere elettroniche dietro di lei. In I Will Be Seven sono ancora quelle cicale maledette a fare da contorno, le sole testimoni immobili della morte di Nico, che l’hanno vista nei suoi ultimi minuti e che si sono limitate a continuare il loro canto disperante: “Avrò 7 anni quando ti incontrerò in Cielo”, canta con monotona apatia la Smith. Quale mistero si nascondeva dietro le liriche di Nico? Non è dato saperlo. My Empty Heart è invece una dichiarazione di desiderio che Patti Smith rende con bellezza inquietante, su suoni angosciosi, un urlo trattenuto perché quel desiderio di un cuore apparentemente vuoto si manifesti nella carne finalmente riempito.

Il disco si chiude con My Only Child e il suono di risate sguaiate, bambini che giocano, parole in spagnolo. Nico ebbe in realtà più di un figlio, tra cui il primo, nato da una relazione con l’attore Alain Delon e mai riconosciuto da questi, cresciuto dalla nonna. La recitazione di Patti Smith è qui il momento più toccante. Come le tante foto che la ritraggono nei posti che lei ama di più, i cimiteri, le tombe del marito e dei poeti da lei amati, Patti Smith potrebbe essere qui inginocchiata davanti alla tomba della cantante che un tempo fu una stella, amata e contesa da Brian Jones, Bob Dylan, Jim Morrison, Lou Reed e che alla fine fu lasciata sola da tutti. A morire nel giorno più caldo di quella estate del 1988. Un disco che è come una preghiera, ma che non si eleva dal mondo dei vivi, ma giunge direttamente da quello dei morti a ricordarci che il destino non è quello che ci prepariamo con le nostre mani, ma quello che ci viene dato.