Esordire a quarant’anni e finire dritto nella finale del Premio Tenco? Si può. Anche se in realtà Andrea Tarquini non è certo un artista alle prime armi. Oltre al bel disco in tributo allo scomparso Stefano Rosso, “Reds”, il cantautore romano (ma residente a Milano) ha alle spalle una lunga carriera musicale, come accompagnatore dello stesso Rosso, di Luigi Grechi De Gregori e una frequentazione assidua di ambienti bluegrass e country italiani. 



“Disco rotto” è allora sì il suo primo disco di inediti, ma proprio perché conosciamo quanto di buono ha già fatto, possiamo avvicinarci senza paura di rimanere delusi. Cosa che infatti non avviene. 

Da grande amante dei suoni acustici anni 70 (per intenderci, il primo James Taylor) Tarquini – anche ottimo chitarrista fingerpicking –  sforna un disco caldo dai suoni scintillanti, tra corde d’acciaio, mandolino, pedal stele, Hammond pastoso, violino e violoncello. E’ inevitabile trovare riferimento al cantautorato di un come Stefano Rosso, di cui Tarquini può legittimamente definirsi l’erede ma anche di tutto quel cantautorato che sbocciò a Roma negli anni 70, con Trastevere e l’America nella testa del cuore, che lui fa rivivere con spontanea delicatezza.



Lo si capisce sin da subito, dal fingerpicking country blues dell’iniziale Bionda o dall’intensa e malinconica La figlia del re, stornello moderno che a Stefano Rosso sarebbe piaciuto molto.  Così come la toccante Gira la testa, solo voce e chitarra, un brano che ricorda i momenti tragici della strage al Bataclan di Parigi. Tarquini spiega che la scrisse dopo aver portato il figlio di 3 anni a lasciare dei fiori davanti al consolato francese in ricordo delle vittime, un modo bel modo di trasmettere sentimenti di rispetto per la vita. Nei testi dei suoi brani, disicanto, nostalgie e simpatia (la divertente L’amore pop) per la vita, ma anche impegno, declinato in modo poetico come in Fiore rosso, che tocca un argomento difficilissimo, il caso di Beppino Englaro e la figlia Eluana, mentre la ballata rock Paure è ispirata al grande scrittore americano Raymond Carver (molto bello qui il pianoforte). Mai sopra le righe, Tarquini si dimostra efficace anche nel bel funk-reggae di Monete, dagli intrecci chitarristi elettrici. A noi piace particolarmente la ballata Traghetto d’estate: lui la definisce “una canzone da boy scout… come quando si canta con gli amici sul ponte di un traghetto”. 



L’unica collaborazione è lo shuffle jazz de Il destino del pianoforte, composta insieme a Francesco Bianconi (Baustelle) e Pippo Rinaldi Kaballà. Un brano volutamente vintage, cinematografico, dai sapori autunnali e notturni: i due al pub si stanno lasciando o ricominceranno? Solo la musica lo sa.

Il disco si conclude con la bella filastrocca country de Il libro degli errori, un ricordo dell’omonimo libro di Gianni Rodari, con il quale in tanti siamo cresciuti.

Prodotto da Anchise Bolchi, già in passato con Ligabue, Tarquini fa affidamento su alcuni suoi usuali compagni di avventure, come Rino Garzia al basso elettrico e al contrabbasso, e Paolo Monesi al mandolino più diversi altri musicisti di vaglia.

Poesia, ricordi, bozzetti di vita quotidiana tra memorie e speranze, auto ironia e capacità di non prendersi troppo sul serio (come fanno invece in troppi): Andrea Tarquini ci dice che la canzone d’autore è viva e gode ottima salute.