E anche quest’anno è già tempo di Sanremo. Come una maledizione o come una profezia (sarà una citazione, ma ci può stare….), l’eterno Festival sta per arrivare nelle case, sulle tivù, nelle autoradio, nelle compilation, su Spotify e su ogni device che ci possiamo permettere. 

Non importa che ci sia Carlo Conti o Pippo Baudo, Monica Bellucci o Belen, che la manifestazione sia sempre meno canzonettara e sempre di più un contenitore televisivo, rimane infatti un dato: da Sanremo non si scappa. La sua è una funzione ormai scultorea e nello scorrere dell’anno solare assume lo status di punto invariabilmente fisso, di appuntamento percepito come tragicamente inevitabile, simile un po’ alla dichiarazione dei redditi ed al discorso di fine anno dell’inquilino del Quirinale.



Eppure, nonostante questo suo ingrigire inossidabile, il Festival dal 1951 permette all’Italia intera di ascoltare, di farsi influenzare e spesso di specchiarsi in una parata di canzoni e cantanti che – indifferentemente dal loro autentico valore – interpretano o generano un gusto e uno stile, a volte creando un mito, altre volte avviando una via seguita poi da molti.



Abbiamo provato dunque a identificare una mini-classifica di venti canzoni inconsapevolmente eterne, melodie che possono anche non aver vinto all’Ariston, ma che hanno comunque lasciato un marchio nella storia della canzone italiana. Non si giudica qui la “bellezza”, quanto “l’influenza” di queste melodie: tra queste venti non c’è di certo tutto il meglio di Sanremo, ma forse qui c’è il marchio di fabbrica del Festival. Che dà in un certo senso ragione a chi dice che solo “Sanremo è Sanremo”. Alla faccia dei talent.

POSIZIONE NR. 20

2013 – L’Essenziale – Marco Mengoni



Qualcosa di buono dai talent

Forse l’unica canzone di autentico rilievo negli ultimi anni di Sanremo. La sua particolarità sta nel mix tra prodotto e personaggio: Mengoni pare uno dei pochi tra quelli usciti dai talent (che sono il vero format di lancio di personaggi musicali leggerei degli ultimi anni) ad avere davvero… “talento”. Che non è solo voce, ma è personalità, un po’ di background e un briciolo di carisma pop. Altri cantanti, pur vincitori (Marco Carta, Valerio Scanu….) chi li ha visti più? La canzone funziona, il ritornello (inevitabile arma di distruzione di massa per ogni pretendente alla vittoria sanremese) pure. 

POSIZIONE NR. 19 

1990 – Vattene amore – Amedeo Minghi e Mietta 

L’insuperabile tormentone

Il capolavoro dei tormentoni, l’inarrivabile poetica dell’amore zuccheroso rivestito di orchestrazione sinfonica. Gli altri leader del genere (da Toto Cutugno ad Al Bano) sbiadiscono. Quando Minghi e Mietta (arrivando terzi dietro a Pooh e Toto Cutugno in un’edizione che ha visto la partecipazione spettacolare di Ray Charles e Dee Dee Bridgewater) hanno intonato sul palco dell’Ariston l’inedita vocalizzazione di “ancora di chiamerò trottolino amoroso e du du da da da” non pensavano certo di passare alla storia. E invece….

POSIZIONE NR. 18 

1991 – Spunta la luna dal monte – Tazenda e Pierangelo Bertoli 

Il capolavoro del suono etnico

A Sanremo accade di tutto: anche che un trio sardo di profonda radice cultural-linguistica celebri – con il più politico dei cantautori italiani – un autentica lode etno-rock all’amore, al creato, al desiderio di dignità, ai “rifiutati”. Arrivano quinti, ma il duetto Bertoli-Parodi nel ritornello rimane un vertice imbattibile della canzone leggera, proprio negli anni in cui Fabrizio de André (Creuza de Mà) e Ivano Fossati (La pianta del tè) stavano esplorando le infinite vie della musica etnica mediterranea. Da sentire e risentire.

POSIZIONE NR. 17

1964 – Non ho l’età, Gigliola Cinquetti 

Avanti i giovani

Altro che De Filippi e Amici: la Cinquetti vince il Festival a 17 anni e per l’Italia di quei tempi (vecchia, borghesissima e imbolsita) è una rivoluzione inattesa e strisciante. Per non farsi mancare nulla, con la stessa canzone Gigliola va anche a Copenaghen a vincere l’Eurovision Song Contest. Nell’italica canzone la giovanissima veronese esplode come una bomba e non importa se la sua carriera non è stata poi così costante negli anni successivi. Il dado, a quel punto, era tratto: avanti i giovani. 

 

POSIZIONE NR. 16 

1981 – Per Elisa, Alice 

Il successo è colto e pop

 

Un autore colto (Franco Battiato) per la stagione più bella del pop italiano, quando si vendevano milioni di dischi con canzoni leggere e di qualità. Voce e presenza impetuose e imponenti, Alice cantando “Per Elisa paghi sempre tu e non ti lamenti/ per lei ti metti in coda per le spese/ e il guaio e’ che non te ne accorgi”, ha aperto la via per tutte le voci che hanno incrociato femminilità poderosa e melodia, carnalità e spirito. Negli anni seguenti Alice (Carla Bissi) non è mai scesa a patti con il suo filo conduttore artistico. E’ lei la vera regina della canzone al femminile?

 

POSIZIONE NR. 15

1986 – Adesso tu, Eros Ramazzotti 

Avanti popolo

 

Dalla borgata al trionfo planetario: il giovane Eros prima vince tra i giovanissimi (con una celebre Terra promessa) e poi azzecca la canzone perfetta della periferia, della riscossa, del riscatto. E parlando d’amore ci infila un versetto, “Tu che per me sei già, una rivincita”, che è poetica da neorealismo, un flash di penombra e catrame che pare sgorgato dal neorealismo cinematografico dell’immediato post-dopoguerra. Da allora Ramazzotti si ritaglia imperterrito uno spazio in quella terra imitata da molti e raggiunta da nessuno.

 

POSIZIONE NR. 14

1987 – Si può dare di più – Morandi, Ruggeri, Tozzi 

L’inno del buonismo

 

Può una canzone interpretare un sentimento di “ripartenza”? La risposta è: si! Questo brano sanremese ci è riuscito e non a caso è andato a vincere all’Ariston. Canzone veloce e briosa, interpretata da un trio perfetto nella composizione dei tipi e dei ruoli (Morandi, la voce che piace a 5 generazioni; Ruggeri, il cantautore letterato-rock; Tozzi, lo sbarazzino della canzone leggera), con un testo che incita al buonismo consapevole sulle fondamenta di un’ottima melodia. E’ a tutti gli effetti la nostra We are the world, ed è anche arrivata qualche anno prima…

 

POSIZIONE NR. 13

1952 – Papaveri e Papere, Nilla Pizzi 

La Dea della canzone

 

Nilla Pizzi non era una star, ma qualcosa di più. Nelle prime edizioni del Festival lei presentava più canzoni (come tutti, in quei giorni: gli interpreti nei primi anni ’50 erano davvero pochi sul palco del Casinò di Sanremo, prima del trasloco all’Ariston) e così alla Pizzi accadeva di arrivare prima (con Vola colomba), seconda (con questa canzone) e terza (con Una donna prega). Quella sua vicenda botanica di “papaveri alti, alti, alti” passerà alla storia per la soleggiata capacità di gioire della natura, mentre (forse) era riferimento politico alla statura di Amintore Fanfani, democristiano piccolo, ma decisamente potente.

 

POSIZIONE NR. 12

1971 – Che sarà, Ricchi e Poveri

Nostalgia di un’altra vita

 

Jimmy Fontana e Migliacci scrivono per i Ricchi e Poveri (al secolo: Angela Brambati, Angelo Sotgiu, Franco Gatti, Marina Occhiena) e per il grandissimo Josè Feliciano questa melodia sulle radici e sullo sradicamento. La canzone è capostipite di molte nostalgie canore ed interprete imbattibile dell’Italia rurale trapiantata nelle metropoli industriali. Arriva seconda (dietro a Il cuore è uno zingaro, cantata da Nada e Nicola di Bari), ma rimarrà tra le canzoni italiane più conosciute e cantate nel mondo: la conoscono tutti, al pari di O Sole Mio e di poche altre.

 

POSIZIONE NR.11 

1983 – L’italiano, Toto Cutugno

Italiani brava gente

 

In quegli anni c’era il verace Sandro Pertini a fare il presidente e Toto Cutugno si presentò a Sanremo cantando “Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente/ E un partigiano come presidente/ Con l’autoradio sempre nella mano destra/ E un canarino sopra la finestra”. Chitarra acustica in mano e sciarpa bianca al collo (aargh!) Cutugno ha lanciato la nuova immagine di “italiano vero” ed ha centrato con questa canzone una colonna sonora internazionale che ancora oggi funziona a Mosca come a Melbourne, dove ci associano anche a pizza e spaghetti. Da molte parti gli italiani ne sono fieri, la qual cosa ha permesso al mitico Toto di vendere decine di milioni di copie dei suoi dischi. Un poco invecchiato, ma inimitabile.