Questo inizio d’anno – lo abbiamo detto su Il Sussidiario del tre gennaio – presenta due versioni de Il Pipistrello di Johann Strauss jr. che competono per attenzione sui cieli di Roma.

Ambedue prodotte dalle maggiori istituzione musicali della capitale, il Teatro dell’Opera e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sono profondamente differenti: una è un balletto, sulla musica di Strauss jr, l’altra è una versione da concerto del secondo atto e di parte del terzo interpolata con musiche anche di altri autori. 



Abbiamo recensito la produzione del Teatro dell’Opera il tre gennaio. Ora veniamo a quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ha debuttato la sera dell’Epifania, il 5 gennaio, ’una notte di follia, di sogno e di magia’ come sostiene acutamente William Shakespeare nel suo La Dodicesima Notte. 

Non credo che Strauss jr, o i suoi librettisti Carl Haffner e Richard Genée (e tanto meno i commediografi boulevardiers Henry Meilhac e Ludovic  Halévy dalla cui pièce ‘Le Revellion il lavoro è tratto) conoscessero il play del bardo di Stratford-upon-Avon. Lo spirito è però, molto simile: una serie di intrighi tra personaggi bizzarri, storditi, inconsueti. Tutti, però, anche eleganti e sentimentali.



Il secondo atto dell’operetta (la festa a casa del Principe Orlovsky) è quello in cui tutti i personaggi (in maschera e senza necessariamente riconoscersi al primo incontro) si ritrovano con i loro imbrogli ed intrighi e gli intrallazzi si dipanano. E’ l’atto su cui punta la produzione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Lo fa precedere dall’ouverture piena di brio (ed anche di languore) e concludere con l’inno allo champagne, che è il finale del terzo atto e del lavoro. Un scelta che corrisponde allo spirito dell’originale più dell’eleganza e raffinatezza (unitamente a nostalgia di un’epoca che non ritornerà) del balletto firmato da Roland Petit al Teatro dell’Opera.



Non si tratta di una versione ‘da concerto‘ in senso stretto; è piuttosto prossima a un tipo di produzione che i francesi chiamano mise en éspace e i tedeschi hall opera. Sul boccascena c’è un minimo di attrezzeria e i cantanti recitano con grande efficace (anche se il regista non è indicato nel programma di sala). Inoltre, l’operetta è cantata in lingua originale (con sopratitoli in Italiano) ed un narratore (Neri Marcoré) racconta l’antefatto e raccorda i vari numeri musicali. Quindi, il pubblico si diverte al complesso intrigo.

Andiamo con ordine. Dall’ouverture avvertiamo che il giovane Gustavo Gimeno, al suo debutto sul podio dell’Accademia, ha il tocco appropriato per concertare l’orchestra in modo che ci siano le dosi esatte di brio, allegria ed anche languore. La partitura è stata concepita per un teatro relativamente piccolo lo an der Wiendove debuttò nell’aprile 1874, ma Gimeno e l’orchestra hanno fatto sì che nell’enorme Sala Santa Cecilia (3000 posti) ci si sentisse avvolti dal brio, dall’allegria e da un languore sensuale. Lo si è avvertito nell’accompagnamento ai cantanti e ai cori (magnificamente guidati da Ciro Visco) e nell’introduzione, a mo’ di intermezzo, della ‘Sinfonia Spagnola’ dello stesso Strauss jr quasi a metà concerto.

Seguendo una prassi introdotta da Gustav Mahler quando era direttore generale dell’Opera di Vienna, nel secondo atto de Il Pipistrello vengono introdotte ‘sorprese’ ossia brani di altri opere di Strauss jr o anche di altri autori. La prassi è mantenuta. Ciascuno dei protagonisti ha proposto un’aria: così durante la festa nella magione del Principe Orlovsky , ascoltiamo anche la cavatina del Barbiere di Siviglia, il walzer di Musetta da La Bohème , due arie de Les Contes de Hoffman, e via discorrendo,

Tutti di primo livello i solisti (Markus Werba, Silvana Dussmann, Michaela Selinger, Jochen Kupfer, Sofia Fomina) a cui nel ruolo piccolo ma determinante del direttore delle carceri si è aggiunto Massimo Simeoli del coro dell’Accademia.

In breve, una scelta ideale per le Feste dell’Epifania. Il pubblico ha risposto riempiendo la sala e con calorosi applausi.