Angelo Branduardi non è semplicemente un cantautore, è molto di più: polistrumentista, moderno trovatore ed artista a 360 gradi. Ancora oggi continua a riempiere le piazze ed i teatri non solo d’Italia, coinvolgendo giovani e meno giovani. Come molti altri artisti completi, Branduardi con la sua spettacolarità e unicità può piacere o non piacere, senza alcuna via di mezzo. Sono numerosi i brani che hanno fatto la storia del repertorio italiano e tra i tanti spunta anche una chicca inaspettata, una straziante canzone su Ernesto “Che” Guevara. Lui, che non ha mai condiviso l’uso della violenza tipica dell’essere “rivoluzionario di professione”, a Il Giornale Off ha spiegato di essere rimasto molto colpito dall’ultima lettera che il Che scrisse ai genitori: “Una lettera commovente, di grande amore filiale, da cui è nato il brano”, racconta il grande maestro. A differenza di molti altri colleghi, negli anni degli esordi Branduardi non si schierò mai politicamente, nonostante in tanti avessero una tessera. “In effetti non appartenevo a scuole di pensiero preconcetto. Io avevo un’altra strada…”, dice oggi. Guardando alla carriera dei tanti cantanti di oggi, l’artista fa fatica a vedere il suo esordio nei tempi attuali. Riconosce la diversità rispetto a quando iniziò lui ma di una cosa è certo: “Non parteciperei mai a un talent show”. Angelo Branduardi non smette intanto di fare musica e in attesa del suo nuovo lavoro discografico è pronto a toccare alcune tappe italiane, prima di cimentarsi in un tour europeo.
IL PUBBLICO EUROPEO E IL RICORDO DI FALETTI
Da decenni Branduardi e la sua arte trovano spazio in numerosi palcoscenici d’Europa: non solo in Francia e Germania, ma anche in Spagna. Oggi l’artista non riconosce alcuna differenza tra il pubblico europeo e quello italiano, ma 40 anni fa era tutto molto diverso: “Ricordo che rimasi quasi paralizzato dal silenzio e dall’attenzione del pubblico del mio primo concerto a Monaco di Baviera, abituato a quello italiano che era molto più “esuberante”, all’epoca”, racconta. Nella sua carriera non si sente di identificare alcun episodio “Off”, ma ricorda, strappandoci un sorriso, un aneddoto legato ai suoi esordi come comparsa alla Scala, quando durante il “Simon Boccanegra” fece cadere l’intera scenografia con una lancia. Nel 1998 Branduardi si rece interprete dell’album dal titolo Il dito e la luna, i cui testi erano interamente scritti dall’amico Giorgio Faletti. Qual è il suo ricordo oggi, a tre anni dalla sua scomparsa? Difficile citarne solo uno, ma di lui racconta quell’amicizia nata per caso. “In un periodo in cui era amareggiato perché alcune cose non andavano bene, gli dissi: perché non provi a scrivere qualcosa?”, ricorda. Pochi mesi più tardi gli parlava del romanzo che aveva scritto, Io Uccido: “Da quel momento, prima che uscisse un libro, me lo veniva a raccontare. Era diventata una bellissima abitudine, interrotta, purtroppo, con la sua morte”.