Quale è il significato dell’ultima opera di Salvatore Sciarrino, commissionata dal Teatro alla Scala (dove ha debuttato il 14 Novembre) e dalla Operstaat unter den Linden di Berlino (dove sarà in scena il prossimo maggio)?

Credo si debba rispondere a questa domanda prima di analizzare il debutto in una Scala colma di pubblico sino all’ultimo posto disponibile. A 70 anni, Sciarrino omaggia la musica come la maggiore delle espressioni umane. E lo fa riprendendo l’idea di Stefan Zweig che fu all’origine della ‘Conversazione in Musica’  Capriccio di Richard Strauss. Nel lavoro che Strauss, settantottenne, presentò nell’autunno 1942 al Nationaltheater di Monaco, l’azione si svolge pochi decenni prima della Rivoluzione francese (quando infuriava la guerre des bouffons) e verte sull’allestimento di un’opera ‘all’italiana’ in un castello non lontano da Parigi; la querelle riguardava se fosse più importante la poesia o la musica. 



In Ti Vedo, Ti sento, Mi perdo siamo in un salone della Roma barocca dove una Cantatrice sta provando una cantata di Alessandro Stradella che non apparirà mai in scena ma è sempre presente nel background. Discutono di estatica il Musico (Charles Workman) ed il Letterato (Otto Katzameier) con interventi della variopinta servitù. Dura a lungo (chiaramente tra il primo ed il secolo trascorre un certo lasso di tempo). Stradella (e la parte finale della cantata) non arriverà mai; verrà ucciso, a ragione dei suoi numerosi legami sessuali con mogli di aristocratici. Ciò nonostante, la Cantatrice (Laura Aikin) porterà a termine l’omaggio alla Musica.



Naturalmente, il linguaggio musicale di Sciarrino poco o nulla ha a che vedere con quello straussiano. E’ imperniato su figure fluide e finemente elaborate, con grande sensibilità per il timbro e per l’articolazione di microvariazioni, su citazioni (in primo luogo, di lavori di Alessandro Stradella ma anche di altri autori e, nell’intermezzo con cui termina il primo dei due atti, su musica francese del Novecento). Nella scrittura vocale c’è una netta distinzione tra la Cantatrice (un soprano di coloratura) e gli altri che vanno dal declamato allo Sprechgensag al dialogato. Una scrittura vocale che non cede ad  avanguardie o a stilemi ma è personalissimo degli altri lavori di Sciarrino per il teatro. In questa scrittura, spicca ancora di più la distanza e la statura della Musica rispetto alle altre forme di espressione umana.



Il giovane Maxime Pascal, vincitore del concorso per direttori d’orchestra a Salisburgo nel 2014 e fondatore ed animatore dell’ensemble Le Balcon, deve dirigere tre orchestre in parallelo: una in buca, una di archi, in scena, ed una (flauto, oboe, clarinetto, fagotto)fuori scena). Mentre l’orchestra i buca fornisce un tappeto di sonorità contemporanee (o quasi), alle altre sono affidati i richiami al barocco, il tempo dell’azione scenica. La fusione funziona.

La regia è curata da Jurgen Flimm e dalla sua consueta schiera di collaboratori (George Tsypin per le scene; Ursula Kundra per i costumi: Olaf Freese per le luci; Tiziana Colombo per la coreografia): ci porta agevolmente in un palazzo della Roma Barocca. Curata la recitazione, pur se forse troppo marcati sul comico, il Musico ed il Letterato. La sera del debutto si notava una differenza tra Otto Katzameier in piena forma ed Ar Charkes Workman , che pareva appassito.

Grandissima Laura Aikin. La ricordo una grandissima Zerbinetta in Arianna a Nasso al Maggio Musicale Fiorentino. Non ha perso la stupenda coloratura di allora ma vi aggiunto il declamato e lo Sprechgengan, come già mostrato, alla Scala e non solo, in Lulu e Die Soldaten. E’ uno dei rari ‘soprani assoluti’ dei nostri tempi.