Per scrivere di ingegneria bisogna conoscere la materia. Non che bisogna per forza essere laureati in ingegneria, ma insomma, almeno averne studiato un po’, essersi informati, avere approfondito l’argomento. Per scrivere di musica rock bisognerebbe almeno sapere come si scrivono i nomi degli artisti, magari non tutti i i titoli dei dischi, ma aver un minimo approfondito la materia. Invece no. Accade che l’ex vicedirettore del maggior quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, in un suo articolo scriva “Patty Smith” quando anche il più sconosciuto scalzacani sa che si chiama “Patti” (con la I) Smith. Ma questa è solo la chicca dell’ennesimo attacco a Bob Dylan, quell’impudente piccolo ebreo che si è permesso di vincere il Premio Nobel per la letteratura. In realtà non è un articolo di musica, per cui chissenefrega di come si scrivono i nomi degli artisti rock. A oltre un anno dalla vincita di quel premio c’è ancora chi sputa rabbia e invidia, come appare dall’articolo di Pierluigi Battista (fra le tantissime cose) già vicedirettore del giornale milanese, dunque si suppone giornalista preparato e colto. Invece sembra un trafiletto di un cronista alle prime armi, se non fosse per un particolare oltremodo fastidioso.



Ancora oggi si sente continuamente gente commentare con grasse risate: “Eh il premio Nobel mica è andato a ritirarlo, però i soldi li ha presi da bravo ebreo”. Già, perché Bob Dylan, sottintendono queste battutacce degne della curva degli ultras della Lazio, quelli che macinano odio e scherno contro Anna Frank, è ebreo e questa colpa non se la toglierà mai. Colpa? L’antisemitismo in Italia ha radici profondissime. Può darsi che Pierluigi Battista abbia ereditato qualche gene dal padre Vittorio, volontario della Repubblica Sociale e poi dirigente del Movimento Sociale. La colpa di Dylan è che adesso vende cento copie numerate del discorso inviato alla Fondazione Premio Nobel a 2500 dollari l’una. La verità è che a venderle è il suo editore, Simon & Schuster, che probabilmente l’idea è venuta all’editore e che l’affare sia stato portato a compimento da avvocati e rappresentanti di Dylan, che come si sa è sempre poco interessato a operazioni de genere: i soldi non gli mancano. Gliela diamo noi una notizia: 2500 per 100 copie vendute fa 250mila dollari. Bob Dylan quella cifra la guadagna con due concerti. Ma per Battista, che evidentemente conosce ogni retroscena dell’episodio Dylan “ha appena ottenuto dal suo fortunatissimo editore Simon & Schuster la pubblicazione di cento preziosissimi esemplari del suo discorso di 23 pagine a un prezzo di appena 2.500 dollari per ogni copia. Un record, non c’ è che dire. Che si aggiunge ai numerosi record che hanno costellato la vicenda del premio Nobel dell’anno scorso a Dylan”. Che vergogna. Quel Bob Dylan, si legge “Sì, proprio lui il menestrello armato soltanto di una chitarra e di un’armonica, il cantautore dell’altra America che ha aperto un’ era di libertà e di critica alle meschinità segnate dal culto del denaro e del potere, proprio lui, Bob Dylan, si sta dimostrando attraverso il Nobel per la letteratura che gli è stato conferito l’ anno scorso un attentissimo amministratore dei suoi beni materiali, beato lui”. Invidia ne abbiamo? Si direbbe proprio di sì, tanta invidia per un piccolo ebreo del Minnesota che è ricco e avido e tirchio. Per Battista infatti “Bob Dylan, reclama imperiosamente i diritti per la preziosa pubblicazione a numero limitato e molto ben pagato. Il senso del menestrello per gli affari, quello no, non era stato considerato”. Che tristezza. Che squallido provincialismo italiota. E per favore, attaccatelo se ci tenete tanto, ma basta definirlo “menestrello”. 

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