E’ morto Charles Manson. La nazione hippie, battezzata e celebrata nei “3 days of peace & rock music”, tra il 15 e il 18 agosto 1969, nei prati della fattoria di Yasgur a poca distanza da Woodstock da circa un milione di frichettoni, in realtà era nata già morta, ma nessuno lo sapeva.

Una settimana esatta prima che cominciasse “la madre di tutti i festival rock” infatti, dalla parte opposta dell’America, al 10050 di Cielo Drive, sulle colline di Bel-Air nella contea di Los Angeles, veniva portata a compimento la strage che avrebbe schiantato quel sogno che Woodstock aveva illuso essere realtà. Pace & Amore. E buone vibrazioni. Bombe nel cielo che si trasformavano in farfalle. L’era dell’acquario. Un sogno preparato accuratamente per tutto il decennio, dalle marce per i diritti civili di Martin Luther King a quelle contro la guerra in Vietnam, fiorito al suono della musica rock e dell’amore libero. Le comuni dove consumismo, individualismo e capitalismo avrebbero dovuto essere sconfitti. Il colpo finale in realtà sarebbe arrivato il 6 dicembre di quello stesso anno, quando al festival di Altamont voluto dai Rolling Stones uno spettatore sarebbe stato ucciso dal servizio di sicurezza, mandando in soffitta definitivamente ogni utopia di fratellanza globale. In tre episodi, nel giro di quattro mesi, si sarebbe giocato il destino di una generazione.



Quello che era successo in quella villa nei dintorni di Los Angeles, con il senno di poi, avrebbe assunto dettagli e profondità ben più simbolica e devastante di quanto accaduto a Altamont, una sorta di presagio, di profezia demoniaca. Perché in quella strage c’era la versione malata e distorta di tutti gli elementi che avevano caratterizzato lo stesso sogno, ora diventato un incubo infernale: musica, sesso libero, droga, rivoluzione.



Il resoconto di quella estate di sangue sarebbe stato inciso nelle note crude di Revolution Blues, dalla mente del più lucido esponente di quella generazione, Neil Young, qualche anno dopo. Restano a epitaffio di quel male che Charles Manson aveva scatenato. Perché lui, Neil Young, Manson lo aveva anche conosciuto.

Non era difficile infatti in quell’estate del ’69 imbattersi in lui. Dennis Wilson, uno dei Beach Boys, ne sarebbe anche diventato grande amico, ospitandolo nella sua casa e in un certo senso permettendo che lì nascesse quella Family che, come zombie posseduti, sarebbero andati a far strage. Dennis non poteva saperlo. Per lui, quel goffo e basso personaggio era solo uno dei tanti capelloni che capitavano a casa sua, le porte sempre aperte a tutti, bastava divertirsi. Manson poi aveva anche del talento musicale. Scriveva canzoni, un po’ rozze, ma il Beach Boy sentiva che c’era del talento. Una in particolare, intitolata Cease to Exist, un titolo che avrebbe dovuto dar da pensare, “smetti di esistere”: ribattezzata Never Learn Not to Love sarebbe stata incisa dai Beach Boys. Siccome Manson era un tipo insistente al limite della scocciatura e anche chiaramente instabile di mente, capace di minacciare con una pistola in mano, Dennis Wilson cercò di introdurlo a produttori vari, tra cui Terry Melcher, che lavorava addirittura con i Byrds. Ma tutti dicevano di no. E a Manson questo dava fastidio. Molto. Si sentiva ancora una volta rifiutato, come lo era stato tutta la vita.



Figlio di una prostituta, non aveva mai conosciuto il padre. Aveva girato mezza America con la madre, in squallidi e sporchi appartamentini dove lei vendeva il suo corpo per qualche dollaro davanti a lui. Non aveva mai avuto modo di conoscere la differenza fra male e bene, fra pietà e rifiuto. A 13 anni finisce in un istituto per l’infanzia. E’ il 1947. Scappa e comincia a vivere fuori della legge: furti, reati vari. Entra ed esce da istituti di correzione fino a quando a 16 anni porta un auto rubata fuori confine e finisce in un riformatorio vero e proprio. Ma ormai la sua vita è segnata: sodomizza un altro giovane puntandogli un coltello alla gola. Esce, si sposa, viene arrestato nel 1960 per trasporto di donne al fine della prostituzione, furto d’auto, falsificazione di un assegno, violazione della libertà vigilata. Si becca dieci anni di galera, ma esce nel marzo 1967.

Una volta fuori, scopre che il mondo è cambiato. Si trasferisce là dove è il cuore della scena, San Francisco e grazie al carisma che ha sempre avuto, raduna intorno a sé una vera e propria famiglia, soprattutto di giovani e ingenue ragazze, che ne fanno il loro guru. In carcere Manson ha studiato magia nera, massoneria, scientologia, ipnotismo. Si inventa una sorta di movimento ambientalista, gira con i suoi a bordo di un bus. Sono disadattati come lui, giovani rifiutati dalle famiglie e dalla società o che hanno rifiutato loro la vita borghese dei genitori, il lavoro dalle 9 alle 5. Quelli erano giorni in cui sembrava che tutto fosse possibile, anche scardinare l’ordine costituito. E quando un personaggio sapeva convincerlliche la rivoluzione era vicina, gli andavano dietro. 

Lui diceva loro di essere la reincarnazione allo stesso tempo di Gesù e di Satana e probabilmente ci credeva anche. Del clima di quel periodo storico rimane colpito soprattutto dalle lotte dei neri. Profetizza la rivoluzione finale, dandole il nome di una canzone del suo gruppo preferito, i Beatles: Helter Skelter, il giorno in cui i neri di tutta America si ribelleranno e il sangue scorrerà per tutto il paese. Da quella guerra si salverà solo un gruppo di eletti, la sua Family, che dominerà il mondo (anche gli afro americani, naturalmente).

Molto più prosaicamente, Manson è un grande furbo, vuole sfruttare tutto quel che accade per diventare una star della musica rock. Ma quando Terry Melcher gli dice no, la rabbia covata tutta la vita esplode nel suo fragore mortale. Dopo aver fatto piccole attività criminali per sostenersi, la Family è pronta per l’Helter Skelter, il gesto che darà vita alla rivoluzione. Facile per un paranoico psicopatico individuare l’obbiettivo: è la villa dove fino a poco prima aveva vissuto Terry Melcher. Adesso era proprietà del regista Roman Polanski e della bella moglie Sharon Tate, in quel periodo incinta all’ottavo mese e mezzo di gravidanza, insomma sul punto di partorire. 

E’ il 9 agosto 1969, fra pochi giorni dall’altra parte dell’America si sarebbe radunato un milione di giovani festanti. Qua, invece, nella terra promessa, sta per scatenarsi l’apocalisse. Il demonio sta uscendo dalla sua grotta imputridita, il male è stato scatenato. Manson ha istruito bene il suo commando perché lui si guarda bene dal prendervi parte (l’uomo più pericoloso d’America, come lo definirà l’Fbi, non ha mai ucciso nessuno nella sua vita). Polanski la sera del 9 agosto non c’è, si trova a Londra per lavoro. Il regista, che ancora oggi è accusato di stupro di una 13enne e che non può rimettere piede in America perché su di lui pende l’arresto immediato, ha appena finito di registrare il film satanista Rosemary’s Baby. Coincidenze?

In casa oltre a Sharon Tate ci sono Jay Sebring, parrucchiere dell’attrice; Abigail Folger, figlia di un imprenditore, il suo fidanzato Voityck Frykowski. Verso la casa si dirigono Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian, tre donne, guidate da Charles Tex Watson. Con loro portano coltelli, una pistola e una corda di nylon lunga 13 metri. Appena arrivati, si trovano davanti la macchina di un amico del guardiano, Stephen Parent, che sta andando via dalla villa. La fermano e lo ammazzano. A Linda Kasabian viene data l’incombenza di fare il palo; non parteciperà alla strage. Il resto lo faranno gli altri tre, imbottiti di droga, con una ferocia e violenza che ha pochi paragoni nella storia fino ad allora. 

Il primo a essere ucciso è il parrucchiere Jay Senring, che supplicava di lasciare in vita Sharon State in quanto incinta. Poi è la volta di Frykowski accoltellata dalla Atkins e quindi anche la Folger, brutalmente finita con numerose coltellate. In particolare gli assassini si accaniscono sull’ultima persona, Sharon State. La squartano aprendole la pancia dove si tra il bambino. Il sangue scorre a litri e con uno straccio intriso del sangue della moglie di Polanski scrivono sui muri le parole “pig”, maiale, con cui gli esponenti della controcultura etichettavano poliziotti e borghesi, nonché la fatidica frase “Helter Skelter”, la firma. Piggies, al plurale, peraltro è il titolo di una canzone dei Beatles contenuta come Helter Skelter (che viene scritta col sangue sullo specchio del bagno) nel doppio “album bianco” dei Beatles da cui Manson sosteneva di aver ricevuto, tramite messaggi nascosti percepiti solo da lui, l’indicazione di dar via alla rivoluzione con la strage di Bel Air. “Pigs”, usato anche dagli afro americani intende poi sviare le colpe della strage su di loro.

La follia omicida non finisce quella notte. Il giorno dopo tornano a colpire. E’ la volta dell’imprenditore Leno LaBianca e la moglie, ucciso con più di quaranta colpi alla testa con una forchetta. Col loro sangue scrivono sui muri “Death to Pigs” e ancora Helter Skelter (peraltro sbagliando e scrivendo “Healter). Sarà poi la volta di Gary Hinman che mesi prima aveva dato loro ospitalità poi cacciandoli e infine di un membro stesso della Family, Donald Shorty Shea, perché a conoscenza di quanto accaduto. Il cadavere venne fatto a pezzi, impacchettato e gettato in un torrente.

Ci sarebbero voluti sei mesi di indagini per arrivare a Manson e alla sua famiglia grazie al procuratore Vincent Bugliosi anche grazie al tradimento di alcuni membri. Nel processo che ne seguì, durato oltre un anno e mezzo, fu decisiva la testimonianza di Linda Kasabian. Fuori del tribunale, membri della Family protestavano chiedendo la liberazione di Manson con una svastica sulla fronte come quella che si era inciso Manson durante il processo. Il 29 marzo 1971 il processo si chiude con la condanna a morte di tutti i componenti della Family; per loro fortuna nel 1972 lo stato della California abolisce la pena di morte e passano direttamente all’ergastolo. 

La storia della Family, la strage di Bel Air sono rimaste ben impresse nell’immaginario americano fino ai giorni nostri. Fanno parte del sangue stesso dell’America, che nelle stragi continue scopre il suo volto malato. C’è stato chi, come il cantante dei Guns n Roses si è esibito con una maglietta con il suo volto; c’è chi ha pubblicato un disco contenente le registrazioni amatoriali di sue canzoni; una ragazza poco più che ventenne due anni fa voleva sposarlo. Poi cambiò idea, spiegando che le interessava solo poter disporre del cadavere di Manson una volta morto per far pagare chi voleva vederlo. lL’America d’altro canto è la patria del business. Ma la cosa più sconvolgente rimane quanto accaduto a un dj di Los Angeles, Matthew Roberts che nel 2009 decise di scoprire chi erano i suoi genitori biologici, in quanto figlio adottivo. La sua famiglia di adozione lo avvisò di non farlo. Scoprì che suo padre era Charles Manson, che nel 1967 in una comune di San Francisco aveva messo incinta una ragazza di nome Terry durante una nottata a base di droga e sesso libero. “E’ stato come scoprire che tuo padre è Adolf Hitler” commentò. Manson ha confermato di essere suo padre. Non si sono mai incontrati. Ha solo scritto delle lettere al figlio definite “senza senso, folli”. Tutte erano firmate con una svastica. 
In un unico momento di lucidità, forse, durante il processo, Manson disse qualcosa che risuonava di verità: “Questi ragazzi che vengono da voi armati di coltello sono i vostri figli, voi avete insegnato loro queste cose, io li ho solo aiutati a stare in piedi”. C’era un fondo di realismo: in Manson, i figli di un mondo fondato sul nulla e dedito solo alla ricerca della ricchezza e dei posti in prima fila nella società del “benessere” avevano trovato la persona che aveva tirato fuori di loro l’odio che coltivavano verso padri e madri.