Ravenna – abbiamo scritto più volte – è diventata la Salisburgo dell’Adriatico: un festival estivo di circa due mesi, una ‘trilogia d’autunno’ con tre opere a tema (da potersi vedere in tre cicli, in tre serate successive, su un tema preciso), una stagione lirica con sette produzioni, una stagione di concerti.
Quest’anno la ‘trilogia’ riguarda l’affacciarsi del Novecento. Composti nell’arco dell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo, Cavalleria rusticana (1890 Roma, Teatro Costanzi), Pagliacci (1892 Milano, Teatro Dal Verme), Tosca (1900 Roma, Teatro Costanzi), risentono degli influssi delle nuove sensibilità che corrono per l’Europa, incarnando le istanze di un’adesione al reale per quello che è e per come si manifesta, nei suoi aspetti più materiali e crudi, intendendo così darne una rappresentazione più realistica. Da qui il nome verismo al nuovo genere che spazzò via altri generi di teatro in musica (ad esempio, il grand opéra padano) che tentarono di raccogliere l’eredità del melodramma verdiano.
Il progetto ha in Cristina Mazzavillani Muti la mente ispiratrice: ne cura la regia, l’ideazione scenica e l’impaginazione dell’intera operazione. A dirigere i tre titoli è stato chiamato Vladimir Ovodok, uno dei primi allievi dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti. Ovodok è a capo dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati. Il Municipale co-produce Cavalleria e Pagliacci che metterà in scena tra qualche mese. Sono tre spettacoli di alto livello che analizzo in dettaglio su un mensile tecnico del settore.
Quest’anno c’è anche una novità: Cavalleria e Pagliacci, opere brevi ciascuna delle quali non riempirebbe una serata a teatro, sono precedute da un Remix in cui giovani dagli 8 ai 18 anni rivisitano le opere con la loro sensibilità ed i loro stilemi. Le serate si aprono con un racconto originale e inaspettato, frutto del sorprendente incontro fra ragazzi dagli 8 ai 18 anni e due opere più vecchie di un secolo eppure in grado di catturare il cuore e l’immaginazione di generazioni di spettatori. Nelle performance di quaranta minuti ciascuna che precedono l’opera vera e propria, i capolavori di Mascagni e Leoncavallo rivivono nel talento e nell’interpretazione di giovani che si affacciano per la prima volta al mondo della lirica con una curiosità pronta a trasformarsi in passione: a loro disposizione un teatro ottocentesco, dove la magia dell’opera si rinnova anche grazie alla tecnologia più avanzata, e la libertà di mettere alla prova le proprie energie creative. Naturalmente, i libretti sono modificati e le partiture adattate ad un complesso jazz con arie, romanzi e cori riscritti per pop, rock, e rap. C’è, poi, molta danza: i giovani danno sfoggio delle loro capacità ed abilità atletiche
Per noi – dice Cristina Mazzavillani Muti – è sempre stato fondamentale avere idee innovative . Questo volto giovane del festival mi impegna in un modo particolare. Direi ‘da nonna’ perché mi sono accorta che se non interveniamo subito su ragazzi che hanno talento e voglia di sperimentare nuovi orizzonti , crescendo si perdono. A me non piace solo ascoltarli e lasciar finire tutto lì con un giudizio, preferisco far nascere la loro vena artistica , coltivarla, cullarla’.
Da un certo punto di vista il Remix ricorda i pastiche del teatro barocco, con brani tratti da vari lavori di autori con differenti stili. Dei due Remix mi è parso più riuscito Pagliacci probabilmente a ragione di un libretto con molta più azione, mentre Cavalleria viene da un Verga che ha sempre in mente la tragedia greca. Non è però questa la sede di dare pagelle. I giovani autori, adattatori, cantati e ballerini-acrobati (spesso per la prima volta su un palcoscenico e di fronte ad un vero pubblico pagante) sono stati molto bravi,
Esperimento da ripetere e da approfondire.