Dieci giorni ininterrotti di jazz, 350 performance, 60 diversi palcoscenici, questi i numeri per i venticinque anni dell’EFG London Jazz Festival, la più importante ed estesa manifestazione musicale della capitale inglese.
Concerti gratuiti, concerti per le famiglie, nuovi nomi del jazz britannico, musicisti di tendenza, omaggi ai grandi del passato, tanti big presenti ( Herbie Hancock, Pharoah Sanders, Marcus Miller, Pat Metheny, Dee Dee Bridgewater, Chuco Valdes, Robert Glasper), diversi italiani (Paolo Conte, Fulvio Sigurta, Daniele Sepe, Daniele Di Bonaventura, Stefano Bollani), coinvolti teatri, ristoranti, storici club come il Ronnie Scott’s e il 606 Club; questo il menù predisposto da Serious.
Va anche sottolineata l’efficienza dell’organizzazione che ci ha consentito di lavorare al meglio, facendoci sentire parte di questa grande manifestazione.Ci siamo sentiti graditi ospiti, cosa che non capita molto spesso nel nostro paese, con gestori di locali ed organizzatori assai poco disponibili e poco educati nei confronti di chi da anni fa divulgazione musicale.
Fra tante proposte era difficile, sia per motivi di tempo che di spostamenti, partecipare a più di un concerto al giorno. Il Festival ci ha consentito di conoscere alcune delle straordinarie strutture che fanno di Londra la capitale della musica in Europa.
Herbie Hancock si è esibito in due acclamati concerti esauriti da tempo nella Barbican Hall (oltre 1900 posti). Il leggendario musicista si è presentato alla guida di una formazione molto muscolare, di estrazione R&B e hip-hop. Bel concerto, a tratti divertente, che ha avuto i momenti migliori quando Hancock si è seduto al piano acustico (il nostro Fazioli). In scaletta eseguiti alcuni classici della sua produzione Overture tratto da GERSHWIN’S WORLD del 1998, Actual Proof da THRUST , Come Running To Me da SUNLIGHT (1978), Secret Sauce, per finire con due celebri cavalli di battaglia che hanno acceso il pubblico presente: Cantaloupe Island e Chameleon inclusa nello storico HEAD HUNTERS del 1973. Le esibizioni di Hancock, creano da alcuni anni discussioni circa la loro valenza artistica. Lo consigliamo comunque ai giovani e a chi non lo abbia mai ascoltato perché il suo tocco al piano acustico ancora abbaglia come la luce di un diamante purissimo. Restiamo interdetti quando i concerti diventano una sorta di happening sfociando nel funk e nella improvvisazione fine a se stessa, quasi a mascherare la scarsa cura dei dettagli e degli arrangiamenti. In effetti i suoi compagni di viaggio fin troppo lodati nella lunga presentazione, sono sembrati molto a loro agio quando l’atmosfera si è fatta incandescente. Rumoroso e a volte fastidioso il batterista Trevor Lawrence, il pluripremiato Terrace Martin impegnato alle tastiere e al sax, ci ha a lungo doviziato con il suo vocoder, più contenuto il bassista James Genus. E’ stato un buon concerto ovviamente, ma visto il prestigioso palcoscenico ci saremmo aspettati più concentrazione. A volte ci è sembrato che i musicisti fossero lì per caso, vestiti come capita, con il batterista che a fine esibizione è uscito di scena con un enorme zaino sulle spalle.
Bella atmosfera la sera successiva al 606 il club di Chelsea, uno dei più indicati per ascoltare jazz di qualità a Londra, mangiando del buon cibo. Club strapieno all’inverosimile per l’esibizione dei Printmakers feat. Nikki Iles & Norma Winstone, seguita in rispettoso silenzio.
Il gruppo voluto dalla pianista Nikki Iles e dalla leggendaria cantante Norma Winstone ( imperdibili i suoi album con gli Azimuth incisi per la ECM), da alcuni anni propone un jazz raffinato, reinterpretando alcuni classici, accanto ad inediti della Iles. Da non perdere il loro album WESTERLY THE PRINTMAKERS (Basho Records).
La formazione conta una valida sezione ritmica composta dal bassista Steve Watts (Django Bates, Iain Bellamy) e dal batterista James Maddren (Gwilym Simcock) oltre al sassofonista Mark Lockheart (Polar Bear) e al chitarrista Mike Walker (The Impossible Gentlemen). Sugli scudi Norma Winstone che, a dispetto del passare degli anni, mantiene inalterata la sua classe cristallina con un controllo vocale che la pone di diritto tra le più grandi cantanti bianche di sempre. La Winstone è risultata impeccabile sia quando ha cantato nel suo stile, utilizzando la voce come strumento, sia quando ha cantato i testi di brani celebri come avvenuto per la stupenda versione di Two Grey Rooms di Joni Mitchell ( “She is a my heroin” , dirà presentando il pezzo). Numerosi i gioielli dispensati dal gruppo, inclusi i bei soli del chitarrista Mike Walker. Fra i brani proposti alcune composizioni di Steve Swallow, Kenny Wheeler (con lei negli Azimuth), The Glide di Ralph Towner (Oregon), ‘O’ presentato con una accennata emozione perché composto dal marito, il grande pianista John Taylor, di recente scomparso. Bellissima la versione di Ambivalance di Vince Mendoza; la voce si è fusa con gli strumenti dando vita ad una esecuzione dove gusto, equilibrio ed interplay si sono espressi al meglio. Applauditissima esibizione conclusa con High Lands scritta da Niki Iles a cui si deve il merito di aver assemblato questa formazione. Una vera sorpresa, bella musica, emozioni e la stella di Norma Winstone alla quale auguriamo di splendere ancora per tanti anni.
Molto bello il concerto di Bill Laurance andato in scena al Kings Place, teatro di poco più di quattrocento posti dalla incredibile acustica. Il musicista londinese, si è esibito in un concerto di piano solo, sold out da diversi mesi.
Dinnanzi ad un caloroso pubblico Laurance ha mostrato tutte la sua capacità pianistica. Eccellente tecnica, controllo delle dinamiche, fresca vena compositiva . Concerto diviso in due set: la prima parte di solo pianoforte, secondo tempo con aggiunta di alcune tastiere. La registrazione del concerto dovrebbe essere utilizzata per il nuovo album la cui uscita è schedulata per inizio estate. Brillante nella presentazioni dei brani, Laurance ha messo in luce un notevole sense of humor, come ad inizio concerto quando riconosciutane la voce, ha scherzosamente invitato la madre a stare tranquilla (!).
Chia, December in New York e Denmark Hill tratte dal suo secondo album SWIFT, House of The Rising Sun, sono i brani del primo set concluso con Improv – The Curtain , brano ispirato da una lunga chiacchierata con Herbie Hancock, avvenuta a Los Angeles, nella quale il pianista americano gli partecipò le sue idee circa il concetto di libertà nella musica.
L’utilizzo degli strumenti elettronici non ha alterato il clima del secondo set: Fortitude, Ebb Tide , Kinsmen, Golden Hour (da AFTERSUN) la stupenda Cassini e l’applauditissimo bis Paloma, hanno confermato la bravura di Laurance, non a caso colonna portante degli Snarky Puppy, votati per il terzo anno di seguito come miglior gruppo jazz nel referendum di Down Beat.
Fra i nomi emergenti bella conferma per Becca Stevens, la cantante americana di recente in tour anche nel nostro paese dove ha presentato il suo ultimo album REGINA. Due set al Ronnie Scott’s dove si è esibita accompagnata da Alicyn Yaffee (basso e voce) e Jordan Perlson (batteria, percussioni) ai quali si sono aggiunti il tastierista Oli Rockberger (Will Lee Band) e le violoncelliste Laura Armstrong e Ella Hohnen Ford. Oltre alle doti di cantante, ha impressionato per le capacità mostrate sull’ukelele, a conferma di quanto sia stata importante per la sua formazione l’influenza di Joni Mitchell. Gran personaggio del quale vi riparleremo a breve.
Nella giornata di chiusura del festival, nonostante i tanti avvenimenti proposti, non abbiamo avuto alcun dubbio nell’assistere alla Barbican Hall al doppio concerto che aveva come protagonisti Terence Blanchard con il suo quintetto e la BBC Concert Orchestra ma soprattutto l’esecuzione della sinfonia STORIES OF THE DANUBE composta dallo scomparso Joe Zawinul, lo straordinario musicista austriaco leader dei Weather Report e fra i padri nobili del jazz moderno.
Primo set con il quintetto di Blanchard accompagnato dai sessantasette elementi della BBC Concert Orchestra. In programma le musiche del Requiem for Katrina composte dal trombettista per il documentario firmato da Spike Lee A Requiem in Four Acts che documentava la tragedia dell’uragano Katrina nel 2005. Non sempre la fusione fra gruppi jazz o rock ed orchestra sinfonica riescono al meglio, ma l’ esecuzione del Requiem ha riservato diversi momenti interessanti anche se la collocazione della band di Blanchard, sui bordi del palco davanti all’orchestra, non si è rivelata felice in termine di acustica. Molto bravo il batterista Kendrick Scott mentre gli altri componenti a partire dal sassofonista Brice Winston, al pianista Shai Maestro e il giovane e acerbo Tabari Lake al basso si sono limitati a svolgere il loro compito senza particolare coinvolgimento. Lo stesso Blanchard, uno dei migliori trombettisti in circolazione, raramente è riuscito a dispiegare tutto il suo talento, probabilmente perché ingabbiato dalle partiture. Decisamente noioso il lungo prologo che ha visto i prima assoluta per il Regno Unito la composizione Herbie Hancock:By Himself scritta da Terrie Blanchard ed ispirata ad uno dei più celebri soli del pianista contenuto in Dolphin Dance tratto da MAYDEN VOYAGE album del 1965.
Durante il lungo intervallo abbiamo constatato la scarsa presenza di pubblico che ha gremito la sola platea della grande Barbican Hall. Un vero peccato! Probabilmente il pubblico è portato a dimenticare, anche a causa di certi atteggiamenti dell’infingarda critica jazz, che non ha mai visto di buon occhio musicisti fuori dai canoni. Josef Zawinul, è stato straordinario protagonista di alcune delle più importanti album del jazz moderno. Circa dieci anni nel gruppo di Cannoball Adderly per poi partecipare alle incisioni degli album IN A SILENT WAY e BITCHES BREW che segnarono la svolta elettrica di Miles Davis. Nel 1970, Zawinul fondò insieme a Wayne Shorter i Weather Report nei quali cominciò ad elaborare il suo stile, fondendo strumenti elettronici ed acustici, definendo così un vero e proprio genere nel quale confluirono influenze musicali contemporanee ed etniche . A dir poco entusiasmanti i concerti che videro protagonisti la band in ogni parte del mondo fino allo scioglimento avvenuto nel 1986. Per ben quindici anni Weather Report vinsero il referendum di Down Beat quale miglior gruppo jazz e Zawinul per ben ventidue anni fu proclamato miglior tastierista. Nato nel 1932 a Vienna, di origine Ceca, Ungherese e Sinti, Zawinul è scomparso nel 2007 a causa di un male incurabile. THE STORIES OF DANUBE presentata a Londra è una sua composizione pubblicata nel 1996 su etichetta Philips e registrata dal vivo fra novembre 1995 e febbraio 1996 insieme al suo gruppo e alla Czech State Philharmonic Orchestra di Brno. Un album desueto ma perfettamente riuscito nel quale il grande musicista riuscì a coniugare il sound del suo gruppo con l’orchestra sinfonica.
Sette movimenti composti e orchestrati dallo stesso Zawinul che hanno come tema il Danubio: In the Beginning, Mountain Waters narrano la nascita e il fluire del grande fiume, Empire rievoca il regno dell’Imperatore Franz Joseph, Introduction- Gipsy narra i popoli nomadi, Voice of Danube, Unknown Soldier fanno rivivere i drammatici momenti della seconda guerra mondiale. A chiudere il settimo movimento Introduction, suddiviso in Sultan ,ispirato ai novecento anni dell’impero Ottomano e il liberatorio Finale con le nazioni del Danubio a celebrare la pace.
Oltre alla BBC Concert Orchestra, disposto sulla sinistra a centro palco, il trio di Django Bates (tastiere) con Jeremia Keller al basso e Martin France alla batteria ai quali sono state demandate le parti di Zawinul e della sua band. Proprio il pur talentuoso Bates ha sollevato qualche perplessità, del resto il suo era compito a dir poco improbo nel riproporre suoni e partiture del musicista austriaco.
Vero protagonista della serata il direttore di orchestra estone Kristjan Järvi che collaborò con Zawinul nell’ultimo album ABSOLUTE ZAWINUL. “ E’ stato e rimane il mio punto di riferimento– ha ricordato Järvi – il mio mentore; Joe è stato per me una sorta di padre e di fratello”. La sua direzione appassionata e coinvolgente ha infiammato la BBC Concert Orchestra, ensemble dalle grandi capacità. Momenti di grande commozione prima della esecuzione della sinfonia che ha avuto come preludio Introduction to a Mighty Theme tratto dal cd MY PEOPLE con la voce e le tastiere di Zawinul.
THE STORIES OF DANUBE è stata accolta con grande entusiasmo dal pubblico presente. Merito al London Jazz Festival di aver degnamente ricordato quello che per noi rimane uno dei grandi assoluti della musica moderna.
Degna chiusura di Festival, lodevole la capacità di fare sistema, coinvolgendo operatori, club, location, teatri, nello spirito del jazz, una musica che da sempre rappresenta forza, libertà, creatività e passione, al contrario del nostro paese, nel quale, a parte alcune rare eccezioni, tali manifestazioni sono appannaggio di consorterie governate dai soliti noti, alla faccia di pubblico e musicisti (i più penalizzati). Appuntamento alla ventiseiesima edizione che andrà in scena dal 16 al 25 novembre 2018.