Quando, il primo novembre 1979, Bob Dylan sale sul palco del Fox Warfield, piccolo teatro di San Francisco, le anime sono già in subbuglio da tempo. Slow Train Coming, disco pubblicato in agosto, ha sconvolto tutti: il profeta del rock si è convertito al cristianesimo e le canzoni, piene di riferimenti biblici, narrano di un incontro che ha rivoluzionato l’esistenza. Una rivista del tempo titola “sbuffi di assoluto sul treno di Dylan”, ma per molti si tratta di un vero e proprio tradimento, con il critico Greil Marcus a fare da capofila: “ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente sgradevole – scrive – e buona parte dei testi è offensivamente meschina”.
L’attesa di rivedere Bob sul palco, tuttavia, è alta. A San Francisco, luogo d’avvio per il tour, le date previste sono sette, ma la richiesta è tale che vengono raddoppiate. Nessuno, però, in quella prima serata, si aspetta ciò che sta per accadere. Dylan decide infatti di cantare solo i nuovi brani, eseguendo in concerto tutte le canzoni del nuovo disco e quelle che compariranno poi sull’album Saved, pubblicato nel giugno dell’anno successivo. La reazione del pubblico, inizialmente, è buona, tanto più che Dylan, con la sua nuova band, più o meno la stessa con cui ha inciso i dischi, sta producendo una miscela di rock e musica gospel di grandissimo livello.
Ma la critica, ancora una volta, è contro di lui e c’è chi lo definisce addirittura truce. Solo Paul Williams appare più generoso, domandandosi con sincerità “che cosa stia succedendo”. La scaletta dei concerti, nel frattempo, prosegue senza variazioni e, a partire dalla seconda settimana, Dylan diventa più comunicativo, inserendo tra una canzone e l’altra dei veri e propri sermoni. Nei discorsi, che precedono solitamente i brani Slow Train e Solid Rock usa parole accorate, facendo capire che quel che ha a cuore è il desiderio di un annuncio, rendere partecipi i suoi fan della propria esperienza, invitando ciascuno ad un cammino di conversione. Ma spesso impiega anche toni drammatici, con un giudizio severo nei confronti della società del tempo e con riferimenti continui alla guerra tra Iran ed Iraq, interpretata come l’inizio dell’Armageddon, la battaglia finale che precede la fine del mondo e la venuta del Signore. Il pubblico, un po’ alla volta, si divide.
Accanto a chi apprezza le nuove canzoni e lo stato di grazia dell’interpretazione di Dylan e della band, c’è chi inizia a far salire la protesta. Come a Newport nel 1965, e nel corso del tour inglese del 1966, Dylan trova davanti a sé un pubblico che contesta ferocemente ogni suo cambio di rotta. L’apice dello scontro si svolge a Tempe, in Arizona. Gli studenti del college lo interrompono più volte, urlando a gran voce: “rock’n’roll”. Dylan reagisce, alza i toni dello scontro, e quasi come a Manchester, nel 1966, quando uno spettatore gli gridò “Giuda!” e lui rispose con disprezzo “sei un bugiardo”, questa volta invita i presenti ad andarsene piuttosto ad un concerto dei Kiss, per “buttarsi in fondo a un pozzo a suon di rock’n’roll”. Ancora una volta l’artista fa i conti con l’immagine di sé che gli altri, di volta in volta decidono di attribuirgli.
“Anni fa dicevate che ero un profeta – dichiara davanti al pubblico di Omaha, Nebraska – ed io vi dicevo: “No, non lo sono”. “Sì, sei un profeta”, continuavate a dire, ed io lì a rispondervi che non era vero. Ora vi dico che Gesù è la risposta e voi rispondete: “Bob Dylan? Lui non è mica un profeta”. E Dylan, comunque, prosegue per la sua strada; giunto alla fine del tour, la sera del 21 maggio, a Dayton, rivela il proprio animo a Karen Hughes, che lo intervista: “stai parlando della tua vita, non di una parte di essa. E stai parlando di Cristo, che è risorto, non di un uomo che è morto per delle buone idee, di Cristo che è risorto e che è il Signore della tua vita”.
Sta di fatto che Dylan sta facendo anche della musica di grande qualità. Saved, come Slow Train Coming, è prodotto da Jerry Wexler e Barry Beckett, giganti della Atlantic Records, ma il risultato su disco non rende appieno la grandezza che le nuove canzoni assumono quando vengono suonate dal vivo. E, nel frattempo, continua a scrivere nuovi brani, tra cui quella Every Grain Of Sand che Clinton Heylin, critico esperto, definirà come una delle più belle di sempre: “canzone tra le più intime e personali, rimane una delle più universali; una canzone la cui eterea fragilità non verrà mai più raggiunta”.
Il 9 novembre 1980, Dylan ricompare sul palco del Fox Warfield, ma questa volta spuntano fuori dal cilindro anche una manciata di vecchie canzoni. E’ così che Like a Rolling Stone, Girl From The North Country, Just Like A Woman, Simple Twist Of Fate, A Hard Rain’s A-Gonna Fall e molte altre si affiancano alle nuove canzoni. Nel concerto del 22 novembre Roger McGuinn sale sul palco per cantare con lui Mr. Tambourine Man e Knockin’ On Heaven’s Door ed in quello del 15 Mike Bloomfield suona la chitarra in Like A Rolling Stone e in un’altra nuova e bella canzone: The Groom’s Still Waiting At The Altar. E’ partito il Musical Retrospective Tour, destinato a rimanere una delle serie di concerti di Dylan più belle di sempre, che arriva, nel 1981, anche in Europa.
Il pubblico, però, appare ancora distaccato: “il cantante – scrive un giornale dopo il concerto di Londra – è un punto luminoso e lontano ed anche la sua musica sembra fredda e distante”; eppure è lo stesso giornalista a rendersi conto che forse gli sta sfuggendo qualcosa, ammettendo che “è ancora lui e soltanto lui ad avere le chiavi del nostro paradiso”.
Il 16 ottobre 1981 Dylan sbarca nuovamente negli Stati Uniti e in Canada, per una serie di concerti che termineranno il 21 novembre. La formula appare la stessa, ma la voce e la musica si stanno spegnendo, come una batteria che ha esaurito l’energia erogata per tre straordinari anni. Il nuovo album Shot Of Love ha registrato poche vendite e per di più ha lasciato fuori alcune delle più belle composizioni di Bob: Need A Woman, Angelina, Carribean Wind, You Changed My Life e The Groom’s Still Waiting At The Altar. La vita di Dylan, artistica e personale, diviene sempre più silenziosa, si parla di un suo ritorno all’ebraismo e quando, nel 1984, egli sarà pronto per un nuovo tour con una nuova band e scalette piene delle sue vecchie canzoni, i suoi fan tornano ad avere a che fare con l’uomo inafferrabile di sempre: “da questo momento in poi – scrive Clinton Heylin – i suoi seguaci dovranno proseguire a seguirlo leggendo di lui tra le righe”.
La nuova puntata delle Bootleg Series, i cofanetti che la Sony ha pubblicato nel corso degli anni regalandoci vere e proprie gemme del materiale inedito di Dylan, fa giustizia ora anche di questo straordinario periodo. Negli otto cd e nel dvd che compongono l’edizione deluxe, troviamo una raccolta esauriente di brani dal vivo dal 1979 al 1981, un “Live in Toronto” con brani dell’aprile 1980, l’intero concerto di Londra del 27 giugno 1981, oltre a due cd con outtake, versioni alternative in studio, e ben 14 brani inediti, alcuni sconosciuti anche ai più esperti. Il dvd, inoltre, contiene “Trouble No More: A Musical Film”, il nuovo documentario appena presentato al New York Film Festival, con riprese inedite del tour del 1980 e spezzoni recitati dei suoi famosi “sermoni”. Insomma, pare proprio il caso di dirlo, una vera e propria manna dal cielo per gli appassionati e non solo. Un modo per esplorare, finalmente con serenità, uno dei periodi più elettrizzanti della carriera artistica e della vita del “poeta laureato del rock’n’roll”, ora anche Nobel della letteratura.
Quali siano, oggi, le convinzioni personali di Dylan, non è dato sapere con certezza. Quei giorni, in cui frequentava gli ambienti evangelici della Vineyard Fellowship, appaiono lontani ed alcune voci parlano di una sua adesione alla corrente degli ebrei messianici, quegli ebrei, cioè, che, pur non essendo diventati cristiani, credono che Gesù sia il Messia di cui si parla nell’Antico Testamento. Intervistato da Mikal Gilmore, nel 2012, all’indomani dell’uscita di Tempest, Dylan, alla domanda se il suo senso della fede fosse cambiato, aveva risposto: “chi può dire che io abbia una qualche fede di qualche genere? Vedo la mano di Dio dappertutto, in ogni persona, in ogni posto, in ogni situazione”.
E quello stesso Dylan, che si ritrova, nel 1997 a cantare davanti a Giovanni Paolo II in un concerto che non commenterà in seguito, limitandosi però a definirlo come addirittura il più importante della sua intera carriera, dichiarerà, sempre nel corso di quell’intervista: “basta poca fede per fare tanta strada, è la cosa migliore che si possa avere. Quando si ha poco altro, basta quella. Ma ci vuole tempo per acquisirla. Bisogna continuare a cercarla”. Forse il grande segreto di Dylan, l’uomo che è stato tirato in ballo da politici, cantanti, letterati e gente della strada, ciascuno a tentare di tirarlo dalla propria parte, sta tutto qua.
Come in una delle sue ultime canzoni – Ain’t Talkin – egli non parla più, come fece in quegli anni infuocati dal 1979 al 1981, ma cammina solamente e, francamente, questo ci basta. La domanda e la strada, insomma, e nulla più, da percorrere in silenzio e con sincerità. “Tutti abbiamo una chiamata – aggiunge ancora Dylan – devi dare il meglio, qualsiasi cosa tu debba fare”. In tutta onestà, lui sembra proprio non aver ancora smesso di farlo e quel che è certo è che il richiamo può valere benissimo anche per noi. Non è poco, anzi, probabilmente, è tutto. Anche ascoltando una ricca, splendida, manciata di nuove canzoni.