Se per Friedrich Nietzsche, l’inventore del celebre aforisma “Dio è morto” (a cui qualcuno in anni recenti ha aggiunto una divertente constatazione, “e anche io non mi sento molto bene”) quelle parole significavano che dopo quasi duemila anni il principio supremo che aveva generato tutti i valori dell’Europa aveva perso significato e importanza con l’avvento della modernità, per Francesco Guccini che così intitolò il suo primo grande successo, stava invece a significare una speranza. Era il 1967, 50 anni fa, quando i Nomadi, suoi grandi amici e collaboratori, pubblicarono quel 45 giri che in realtà si intitolava Dio è morto (se Dio muore, è per tre giorni e poi risorge) e che dunque indicava qualcosa di completamente diverso dal filosofo tedesco. L’autore, Guccini, non l’avrebbe invece mai incisa in studio, ma proposta solo dal vivo, fino al 2008 quando la cantò in un album del chitarrista Beppe Gambetta. Furono i Nomadi a farne uno degli inni del 68. Come ha spiegato in seguito l’autore, se il titolo ricordava Nietzsche, l’ispirazione era invece il poema del poeta americano Allen Ginsberg Howl, che aveva a sua volta segnato l’epoca della contestazione americana.



Ne usava infatti lo stesso approccio stilistico. Howl cominciava con il celeberrimo incipit  “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa”. Il brano di Guccini ne ripeteva essenzialmente le parole: “Ho visto  La gente della mia età andare via  Lungo le strade che non portano mai a niente Cercare il sogno che conduce alla pazzia  Nella ricerca di qualcosa che non trovano  Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate”. Da lì Guccini partiva per una serie di accuse che in quel periodo storico furono giudicate così pesanti per il potere e la società che la Rai si rifiutò di trasmettere il brano. Curiosamente, a farlo fu invece Radio Vaticana visto il finale di canzone. Guccini con veemenza accusava e distruggeva i non valori della società borghese, in modo impressionante gli stessi ancora oggi: una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione mai col torto. In tutto questo Dio era morto, cioè erano valori a cui i giovani non volevano più fare riferimento. Poi la strofa finale, quella che deve aver fatto balzare sulle seggiole i responsabili di Radio Vaticana (Guccini come tutt i giovani che presero parte al movimento di contestazione veniva anche lui dall’ambiente cattolico): 



Ma penso 

Che questa mia generazione è preparata 

A un mondo nuovo e a una speranza appena nata

Ad un futuro che ha già in mano

A una rivolta senza armi

Perchè noi tutti ormai sappiamo 

Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge

In ciò che noi crediamo, dio è risorto

In ciò che noi vogliamo, dio è risorto

Nel mondo che faremo, dio è risorto

Dunque la speranza tutta intera di quei giorni là di poter davvero cambiare il mondo. Un brano musicalmente molto rock, come non se ne sentivano in quei tempi in Italia, e che Guccini ha definito la sua unica vera canzone politica. Canzone che non ha mai smesso di suonare ai suoi concerti anche 40 anni dopo, quando quelle speranze del 68 si erano rivelate una sconfitta, con la stessa urgenza e carica di 50 anni prima. 

Nel corso degli anni la canzone è stata incisa da Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini.